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10. La Chiesa: segno e strumento di unità (At 2,42-48)

 

Dagli Atti degli Apostoli:

 

Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati (2, 42-48).

 

Il secondo capitolo degli Atti degli Apostoli descrive la discesa dello Spirito Santo sul gruppo dei discepoli, la trasformazione avvenuta negli apostoli e l’adesione sempre più massiccia all’iniziale comunità di Gerusalemme. Pietro sembra irriconoscibile, non è più il timoroso discepolo che segue da lontano le vicende giudiziarie del Maestro e ha paura di essere riconosciuto come suo seguace dalle servette del sinedrio, ora professa pubblicamente la sua fede in Gesù di Nazarene: “… fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato…” (At 2,23)

 

1. La Chiesa scende in piazza

 

La comunità dei centoventi (At 1,15), resa coraggiosa dallo Spirito Santo, lascia il chiuso di una sala e scende in piazza per l’annuncio e la testimonianza: la comunità cresce rapidamente, tremila il giorno di Pentecoste (At 2,41), cinquemila poco dopo (At 4,4). Lo Spirito, promesso da Gesù durante l’ultima cena, viene e trasforma gli apostoli rendendoli coraggiosi fino al martirio, dona potenza alle parole dell’annuncio e converte il cuore di chi ascolta, così come aveva reso madre una vergine dopo averle toccato il grembo e aveva dato la pienezza della vita al cadavere di un crocifisso. Nell’impegno pastorale e nelle difficoltà della testimonianza la comunità cristiana non deve dimenticare le ultime parole di Gesù prima di ritornare al Padre: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

La Chiesa è per sua natura missionaria, il suo compito fondamentale è quello di “comunicare il vangelo” con un annuncio caldo, capace di sciogliere i cuori resi gelidi dalla solitudine, offrendo motivi di speranza e di gioia all’uomo di oggi alla ricerca di ragioni per vivere. La Chiesa sa che:

 

 “La speranza si fonda soprattutto sulla fiducia che è Dio stesso a condurre in modo misterioso i fili invisibili della storia. Ma questo non può affatto deresponsabilizzarci: lo Spirito Santo opera normalmente nel mondo attraverso la nostra cooperazione” (Episcopato italiano, Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000. Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 29.06.2001, n. 33).

 

Non è la vite che fa i grappoli, ma i tralci, tuttavia l’uva è possibile trovarla solo in quei tralci nei quali continua a fluire la linfa che arriva dalla vita (Gv 15,11-17).

La perla del vangelo è il tesoro più prezioso che hanno ricevuto i cristiani: non possono nasconderlo in preziosi scrigni, ma devono offrirlo a tutti. Come Gesù, la Chiesa deve aiutare l’uomo a ritrovare se stesso, anche quando fosse posseduto da una legione di spiriti immondi, perché la liberazione di un uomo vale più di una mandria di porci, anche se la valutazione economicista della gente è diversa, tanto da pregare Gesù di andarsene del proprio territorio (Mc 5,1-20). E’ significativo che all’indemoniato geraseno Gesù non permetta di seguirlo: il suo compito è di annunciare la misericordia di Dio a quelli della sua casa e ai miscredenti della Decapoli.

Vedere Gesù e contemplare il suo volto è l’aspirazione profonda nascosta nel cuore dell’uomo, alla quale devono dare risposta l’evangelizzazione e l’azione pastorale della Chiesa. “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,14), è la richiesta che i greci fanno a Filippo. Sono persone che vengono da un’altra cultura e si rivolgono a Filippo perché, essendo di Betsaida, al confine, li può capire. Filippo è un uomo ponte, è vicino a Gesù ma di cultura greca, e quindi può accompagnarli fino a lui.

La Chiesa deve gettare questi ponti per non abbandonare la gente più lontana, che si trova ai confini della vita di fede. E’ necessario interrogarsi su come intercettare le richieste dell’uomo di oggi e quale risposta pastorale dare alle domande dei giovani, degli immigrati, delle persone in difficoltà, dei poveri.

 

2. L’unità è possibile

 

Il concilio definisce la Chiesa come “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1: EV 1/284). Essa quindi ha il compito, non solo di offrire gli strumenti perché sia possibile l’unione con Dio, ma anche essere per il mondo segno visibile che l’unità fra gli uomini è possibile.

La Chiesa è “casa e scuola di comunione” (NMI 43). “La Chiesa è casa, edificio, dimora ospitale che va costruita mediante l’educazione a una spiritualità di comunione. Questo significa far spazio costantemente al fratello, portando i pesi gli uni degli altri (Episcopato italiano, Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000. Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 29.06.2001, n. 65) e condividendo gioie e dolori, contraddizioni e speranze. Solo sperimentando “in casa” l’importanza e la bellezza della comunione, la Chiesa potrà diventare la scuola nella quale si insegna come costruire l’unità fra gli uomini. La carità, cioè l’amore più intimo e profondo, che ha trovato casa nella Chiesa riunita intorno all’eucaristia, diventa sorgente e modello di solidarietà per le strade della città e negli ambienti di vita degli uomini.

La Pentecoste, durante la quale si verifica l’irruzione dello Spirito nella “casa di comunione dei discepoli”, diventa anche il giorno di un nuovo soffio di vita che dona slancio e coraggio alla comunità primitiva per farla diventare strumento di riunificazione per gli uomini di mille razze presenti a Gerusalemme.

Pentecoste è l’anti-Babele (Gen 11,1-9): la disgregazione provocata dal peccato e dalla sfida dell’uomo contro Dio ora può essere vinta grazie allo Spirito presente nella Chiesa, che annuncia il vangelo nella lingua e nella cultura di tutte le nazioni, con la convinzione che il fermento del vangelo non è un bene esclusivo dei cristiani, ma un dono da condividere, per creare condizioni di piena umanità per tutti” (Episcopato italiano, Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000. Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 29.06.2001, n. 61).

Se la comunione è dono di Dio quale partecipazione alla stessa vita trinitaria, la comunità si costituisce quando viene accolto questo dono, vivendo la fraternità e la solidarietà: la comunione viene donata, la comunità va costruita.

Nella Chiesa di Gerusalemme descritta dagli Atti il rapporto comunitario è fondato sulla Parola, l’eucaristia, la preghiera e la condivisione dei beni per aiutare i pellegrini, i mendicanti e i poveri che nel vangelo annunziato dagli apostoli avevano trovato il fondamento di una nuova speranza. La risposta ai bisogni avveniva mettendo in comune spontaneamente i beni, consegnando agli apostoli il ricavato di ciò che era stato venduto perché venisse distribuito a ciascuno secondo le necessità (At 4,34-35), con il servizio dei sette diaconi perché nessuno venisse discriminato o rimanesse senza mangiare (At 6,1-6). La stessa celebrazione eucaristica prevedeva lo “spezzare il pane” e il consumare il pasto in comune: fede, fraternità ecclessiale e solidarietà con i più poveri devono essere vissute insieme.

La condivisione dei beni non avveniva in nome della povertà, ma della solidarietà, non come scelta ascetica ma come risposta ai bisogni dei più poveri. La comunità dei credenti, che “aveva un cuor solo e un anima sola”, doveva tradurre questa comunione spirituale in nuovi rapporti sociali. La stessa colletta che Paolo organizzerà per i cristiani poveri della Chiesa madre di Gerusalemme (2Cor 8,1-15) vuole essere espressione di fede in Cristo che si è fatto povero per arricchire noi, ma è anche segno di unità e occasione di solidarietà con la Chiesa dalla quale è partito il dono del vangelo. Le Chiese di Palestina e di Grecia devono esprimere ciò che sono: un popolo nuovo fondato su comunione, unità e solidarietà.

La comunità cristiana deve essere, nel territorio dove si trova e negli ambienti di vita dove sono i suoi membri, strumento di sempre maggiore unità fra le persone; l’attività pastorale deve contribuire a tessere una trama di rapporti nuovi fondati sull’accoglienza, sul rispetto reciproco e sull’amore.

 

3. Chiesa e società

 

Fin dall’inizio Gesù ha riservato ai discepoli un ruolo di mediazione fra lui e la gente. All’inizio del discorso della montagna (Mt 5,1) Gesù affida ai suoi discepoli il suo insegnamento perché lo portino alle folle. Nei racconti delle moltiplicazioni dei pani il coinvolgimento dei discepoli è ancora più diretto e impegnativo. Anche i discepoli hanno compassione della folla, ma essi ritengono che non sia compito loro dar da mangiare “a cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini” (Mt 14,13-21). La compassione di Gesù, invece, si traduce in intervento diretto, prima per guarire i malati, poi per sfamare la folla. Ai discepoli, che invitano Gesù a congedare tutta quella gente perché vada personalmente a procurarsi da mangiare, Gesù contrappone una logica diversa. Non quella del “chi può si arrangi”, ma il metodo della responsabilità diretta: “date voi stessi da mangiare”.

Occorre sentirsi responsabili del bisogno di chi ha fame, mettendo in gioco se stessi per aiutare il povero, condividendo quel poco di cui si dispone: la solidarietà fa miracoli.

La comunità ecclesiale, oltre che “fontana del villaggio” può essere vista anche come “oasi”, cioè luogo dell’incontro, del dialogo, della convivialità, dell’accoglienza calda, del ristoro dove si fa il pieno di acqua, dove si sperimenta la gratuità in una società che è guidata da una logica utilitaristica che rischia di strumentalizzare le persone. Nell’oasi si ascoltano le testimonianze delle persone sul cammino fatto, si confrontano le mappe, si verificano i diversi percorsi, si raccolgono informazioni sulle difficoltà incontrate.

La comunità cristiana deve allenarsi a fare revisione di vita, a operare un discernimento sulle scelte alla luce della Parola, deve formare all’impegno indicando anche piste nuove con intelligenza, creatività e coraggio. E’ sempre più importante la presenza significativa dei fedeli laici negli ambienti di vita. “Il riconoscimento della laicità dello Stato e delle sue istituzioni non ci sottrae dal dovere di collaborare al bene del paese: costituisce piuttosto il terreno della piena cittadinanza dei cattolici italiani” (Episcopato italiano, Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000. Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 29.06.2001, n. 61).

Se, come afferma Paolo VI, l’uomo di oggi apprezza di più i testimoni dei maestri, occorre saper unire la testimonianza dell’amore all’annuncio della verità. “La carità cristiana ha in se stessa una grande forza evangelizzatrice. Nella misura in cui sa farsi segno e trasparenza dell’amore di Dio, apre mente e cuore all’annuncio della parola di verità” (Episcopato italiano, Orientamenti pastorali per gli anni ’90. Evangelizzazione e testimonianza della carità, 08.12.1990, n. 24).

La Chiesa è in cammino con l’uomo: “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS 1: EV 1/1319).

La Chiesa nella società deve svolgere il compito di annunciare la verità circa l’uomo e i suoi diritti fondamentali e inalienabili; denunciare i mali e le ingiustizie che offendono la dignità della persona; offrire un contributo per orientare i cambiamenti affinché si realizzi un autentico progresso dell’uomo e della società. E questo lo fa con la propria dottrina sociale.

Il cristiano è straniero e pellegrino sulla terra con il desiderio della patria celeste (1Pt 2,11). Vive l’attesa nella speranza e nella vigilanza attiva. La speranza stimola distacco dai bei materiali, mette in guardia dai trabocchetti del potere, apre alle novità. La vigilanza operosa spinge all’impegno per costruire una convivenza sociale fondata sulla pace, sulla giustizia, sulla libertà, sull’amore.

 

4. Dottrina sociale, evangelizzazione e promozione umana.

 

Mediante la dottrina sociale, la Chiesa svolge il compito di annunciare la verità sull’uomo e sui suoi diritti fondamentali e inalienabili. Per questo la dottrina sociale è parte integrante del ministero di evangelizzazione della Chiesa. Tutto ciò che riguarda la comunità degli uomini - situazioni e problemi relativi alla giustizia, alla liberazione, allo sviluppo, alle relazioni tra i popoli, alla pace- non è estraneo all’evangelizzazione e questa non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell’uomo (EN 29: AAS 68(1976) 25). Tra evangelizzazione e promozione umana ci sono legami profondi:

 

“Legami di ordine antropologico, perché l’uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell’ingiustizia da combattere, e della giustizia da restaurare. Legami di ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l’autentica crescita dell’uomo?” (EN 31: AAS 68(1976) 26).

 

La dottrina sociale “ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione” (CA 54: AAS 83(1991)860) e si sviluppa nell’incontro sempre rinnovato tra il messaggio evangelico e la storia umana. Così compresa, tale dottrina è via peculiare per l’esercizio del ministero della Parola e della funzione profetica della Chiesa (SRS 41: AAS 80(1988) 570-572):

 

“Per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore” (CA 5: AAS 83(1991) 799).

 

Non siamo in presenza di un interesse o di un’azione marginale, che si aggiunge alla missione della Chiesa, ma al cuore stesso della sua ministerialità: con la dottrina sociale la Chiesa, “annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l’uomo a se stesso” (CA 54: AAS 83(1991) 860). E’ questo, un ministero che procede non solo dall’annuncio, ma anche dalla testimonianza.

La Chiesa non si fa carico della vita in società sotto ogni aspetto, ma con la competenza sua propria, che è quella dell’annuncio di Cristo Redentore (CCC 2420):

 

“La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d’ordine politico, economico o sociale: il fine che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure, proprio da questa missione religiosa derivano un compito, una luce e delle forze che possono servire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina” (GS 4).

 

Questo vuol dire che la Chiesa, con la sua dottrina sociale, non entra in questioni tecniche e non istituisce né propone sistemi o modelli di organizzazione sociale (SRS 41: AAS 80(1988) 570-572): ciò non attiene alla missione che Cristo le ha affidato. La Chiesa ha la competenza attinta al Vangelo: al messaggio di liberazione dell’uomo annunciato e testimoniato dal Figlio di Dio fatto uomo.

 

Per la preghiera personale

 

Dal Salmo 72:

 

Dio, dà al re il tuo giudizio,
al figlio del re la tua giustizia;
regga con giustizia il tuo popolo
e i tuoi poveri con rettitudine.
Le montagne portino pace al popolo
e le colline giustizia.
Ai miseri del suo popolo renderà giustizia,
salverà i figli dei poveri
e abbatterà l'oppressore.
Il suo regno durerà quanto il sole,
quanto la luna, per tutti i secoli.
Scenderà come pioggia sull'erba,
come acqua che irrora la terra.
Nei suoi giorni fiorirà la giustizia
e abbonderà la pace,
finché non si spenga la luna.
E dominerà da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
A lui si piegheranno gli abitanti del deserto,
lambiranno la polvere i suoi nemici.
Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte,
i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi.
A lui tutti i re si prostreranno,
lo serviranno tutte le nazioni.
Egli libererà il povero che grida
e il misero che non trova aiuto,
avrà pietà del debole e del povero
e salverà la vita dei suoi miseri.
Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso,
sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue.
Vivrà e gli sarà dato oro di Arabia;
si pregherà per lui ogni giorno,
sarà benedetto per sempre.
Abbonderà il frumento nel paese,
ondeggerà sulle cime dei monti;
il suo frutto fiorirà come il Libano,
la sua messe come l'erba della terra.
Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole persista il suo nome.
In lui saranno benedette
tutte le stirpi della terra
e tutti i popoli lo diranno beato.
Benedetto il Signore, Dio di Israele,
egli solo compie prodigi.
E benedetto il suo nome glorioso per sempre,
della sua gloria sia piena tutta la terra. Amen, amen.

Per la vita

 

Vedere Gesù e contemplare il suo volto è l’aspirazione profonda nascosta nel cuore dell’uomo, alla quale devono dare risposta l’evangelizzazione e l’azione pastorale della Chiesa.

·         Sono capace di essere un uomo-ponte per l’uomo di oggi che desidera vedere Gesù?

 
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