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13. Il ricco Epulone: l’egoismo rende ciechi (Lc 16,19-31)

 

Dal Vangelo secondo Luca:

 

      C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi.

 

      Dopo le parabole della misericordia, raccontate nel capitolo quindicesimo, Luca affronta il tema del rapporto con la ricchezza. Con la parabola dell’amministratore infedele (Lc 16,1-8) “l’evangelista degli ultimi” vuole affermare che per garantirsi un futuro di salvezza occorre liberarsi della ricchezza a favore dei poveri: “procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9). La ricchezza viene spesso accumulata con metodi disonesti, accompagnati da ingiustizie e sfruttamento che offendono Dio e calpestano il povero. Solo la condivisione dei beni materiali con i bisognosi può stabilire condizioni nuove, anche nella prospettiva eterna: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma” (Lc 12,33).

Il buon uso del denaro costituisce una verifica importante per una vita autenticamente cristiana. Fra Dio e il denaro il discepolo deve fare una scelta: “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona” (Lc 16,13).

Chi è attaccato al denaro, come i farisei, si fa beffe dell’insegnamento di Gesù, ma il giudizio di Dio legge in profondità: “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio” (Lc 16,15).

 

1. Appiattimento sul presente

 

Il ricco che è affetto da avidità insaziabile e pone sull’accumulo la garanzia di sicurezza nella vita, commette un grave errore di valutazione e di prospettiva: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta  la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula per sé, e non arricchisce davanti a Dio” (Lc 12,30-31).

La strada dell’egoismo e dell’attaccamento ai beni materiali porta alla perdizione. Vivere da ricchi rende ciechi, non fa vedere il povero, anche se è alla porta di casa, e distoglie dalla conoscenza della parola di Dio, la sola che può orientare nelle scelte per non prendere abbagli. Il potente, che si sente padrone della propria vita, pretende fatti clamorosi anche nel cammino di fede, ma chi non è abituato ad ascoltare e a confrontarsi con “Mosè e i profeti, nemmeno se uno risuscitasse dai morti” sarebbe persuaso. Anche i miracoli più spettacolari sono inutili per chi è chiuso nel suo mondo dorato. La ricerca affannata della ricchezza e il suo uso sfacciato e gaudente, espongono al rischio di chiusura verso gli altri ed eliminano la prospettiva del futuro, rinchiudono nel presente e negano ogni possibilità di cambiamento. Per questo la fede e la conversione, per maturare, hanno bisogno di far esplodere le contraddizioni personali e trasformare le situazioni sociali ed economiche ingiuste.

Nella parabola del ricco e del povero Lazzaro, Luca spiega, dipingendo i personaggi del racconto, quanto era già stato annunciato nel brano delle beatitudini: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati” (Lc 6,20-21). Il povero, cioè l’affamato, l’afflitto, il perseguitato, l’oppresso, colui che si trova socialmente emarginato ed è privo di sicurezza, trova un posto di particolare accoglienza nel cuore di Dio. “Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete” (Lc, 6,24-25). Chi ha posto lo scopo della propria vita sul possesso egoistico e sullo star bene, non attende più nulla perché ha già ricevuto la propria liquidazione; appiattito sul presente si condanna a essere un uomo senza futuro, torturato dalla fiamma della solitudine. Il ricco, che sulla terra non ha avuto neanche la sensibilità dei cani, che andavano “a leccare le piaghe” del povero Lazzaro, dopo la morte non può trovarsi “nel seno di Abramo” ed essere nella pienezza della gioia, perché la felicità è possibile solo nella fraternità e nella condivisione.

La ricerca della ricchezza e l’attaccamento ai beni materiali sono visti spesso come una polizza di assicurazione contro il tempo che tende a fare scivolare via la vita dalle mani: in realtà sono un’arma spuntata per affrontare la morte e possono diventare idoli. In una visione religiosa “money-teistica”, la nuova trinità è formata dal mercato, dal profitto e dal denaro e i più frequentati luoghi di culto sono le banche, le borse e i tabernacoli dell’alta finanza. Ma il cristiano deve combattere contro ogni forma di idolatria, portatrice di morte e non di vita, causa di illusione e indicatrice di traguardi sbagliati.

 

“Ebbene, nella nostra società sono presenti dei “miti” che vanno smascherati. Il cristianesimo non può accettare ad esempio la logica del più forte, l’idea che la presenza dei poveri, sfruttati e umiliati, sia frutto dell’inesorabile fluire della storia: Gesù ha annunciato che saranno proprio i poveri a regnare, a precederci nel regno dei cieli. Sono essi i nostri “signori”. Su questo punto il cristianesimo non può scendere affatto a compromessi: il povero, il viandante, lo straniero non sono cittadini qualunque per la Chiesa, proprio perché essa è mossa verso di loro dalla carità di Cristo e non da altre ragioni” ( Episcopato italiano, Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000. Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 29.06.2001, n. 43).

 

Il messaggio di gioia e di speranza che Gesù rivolge ai poveri non è destinato a stimolare rassegnazione in attesa di un futuro migliore, ma deve tradursi in impegno di vera liberazione. La missione della Chiesa non può essere ridotta al solo impegno per la giustizia, ma sarebbe tradita anche se fosse limitata alla sola dimensione spirituale e alla preghiera per il regno dei cieli.

 

2. Etica ed economia nella dottrina sociale della Chiesa

 

Anche oggi, nei rapporti fra i popoli ricchi e quelli in via di sviluppo, sono riprodotte le condizioni di vita descritte nella parabola.

 

“Il nostro mondo comincia il nuovo millennio carico delle contraddizioni di una crescita economica, culturale, tecnologica, che offre a pochi fortunati grandi possibilità, lasciando milioni e milioni di persone non solo ai margini del progresso, ma alle prese con condizioni di vita ben al di sotto del minimo dovuto alla dignità umana. E’ possibile che, nel nostro tempo, ci sia ancora chi muore di fame? Chi resta condannato all’analfabetismo? Chi manca delle cure mediche più elementari? Chi non ha una casa in cui ripararsi? (Episcopato italiano, Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000. Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 29.06.2001, n. 50).

L’impegno economico e finanziario che si sviluppa in un contesto di libera e creativa attività della persona, deve essere sempre guidato da precisi principi etici, come afferma l’insegnamento sociale della Chiesa: “Anche nella vita economico-sociale sono da tenere in massimo rilievo e da promuovere la dignità e l’integrale vocazione della persona umana come pure il bene dell’intera società. L’uomo, infatti, è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale” (GS 63: EV 1/1533).

Se si vuole evitare il rischio di una mentalità economicistica e di una cultura finanziaria guidate solo dal possesso egoistico dei beni, occorre affermare, nei principi e nella prassi, che il fine ultimo e fondamentale dello sviluppo economico consiste nel porsi a servizio di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.

Il libero mercato è uno strumento valido per collocare il prodotto del lavoro dell’uomo e per dare risposta efficace ai suoi bisogni. Tuttavia ci sono bisogni e risorse umane che non hanno accesso al mercato (CA 34: EV 13/183). Il profitto svolge una funzione giusta perché indica che i fattori produttivi hanno positivamente funzionato. Però il profitto non può essere l’unico indice delle condizioni dell’azienda (CA 35: EV 13/187).

In realtà, come l’economia è solo un aspetto dell’attività umana, così la libertà economica è soltanto un elemento della libertà dell’uomo. Senz’altri principi e valori che lo trascendono e lo guidano, il sistema economico non avrebbe “al suo interno criteri che consentano di distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità” (CA 36: EV 13/191).

Lo Stato deve intervenire per garantire all’economia vera libertà, che si attua solo nel contesto del bene comune, e assicura servizi efficienti, stabilità monetaria e sicurezza, sorvegliare e guidare l’esercizio dei diritti umani nel settore economico (CA 48: EV 13/229).

 

3. La globalizzazione

           

Uno degli aspetti che caratterizzano i rapporti fra le nazioni nel nostro tempo è certamente la globalizzazione. L’economia capitalistica, che ha invaso tutto il mondo dopo il crollo del sistema collettivistico dei paesi dell’est europeo e di quelli del terzo mondo influenzati dall’ideologia comunista, oggi è sostenuta dalla libertà di mercato, ma anche dalla facilità di circolazione dei capitali e del lavoro. Con le nuove tecnologie, oggi è possibile trasferire velocemente somme finanziarie e imprese in tutto il mondo.

La globalizzazione, con le sue luci e le sue ombre, ha tali potenzialità da portare con sé grandi speranze, ma anche inquietanti preoccupazioni. Il grido di allarme, già lanciato da Paolo VI, non è stato accolto: “Non bisogna correre il rischio di accrescere ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti, ribadendo la miseria dei poveri, e rendendo più pesante la servitù degli oppressi”.

L’attuale concentrazione della ricchezza mondiale nelle mani di pochi provoca un solco profondo che spacca il mondo e produce ingiustizia ed emarginazione. Le distanze sono accresciute da mancanza di riferimenti etici nelle nazioni ricche; preoccupate di elevare a tutti i costi il proprio tenore di vita, partecipando a spericolati giochi di finanza e di accaparramento di risorse che tendono ad aggravare il già drammatico divario che separa il nord dal sud del mondo: oggi pochi “epuloni” fanno aumentare il numero dei “poveri Lazzari” che giacciono alla porta, coperti di piaghe, bramosi di sfamarsi di quello che cade dalla mensa dei ricchi.

Perché, se è vero che la globalizzazione produce nuova ricchezza e quindi tende a far diminuire la povertà assoluta, non è altrettanto capace di ridistribuirla, facendo così crescere la povertà relativa. Nei paesi che già hanno raggiunto un certo livello di sviluppo si stanno generando nuove povertà soprattutto nelle fasce sociali di età e ceto medio. La forte competitività, figlia della globalizzazione, produce privatizzazioni generalizzate e abbattimenti dello Stato sociale, diventando potenziale causa di tensioni e guerre civili e provocando un calo di democrazia e partecipazione.

La globalizzazione va guidata nel rispetto dei valori etici fondamentali per lo sviluppo dell’umanità. Le potenzialità della globalizzazione possono avere sbocchi positivi per l’unità dei popoli e la crescita del loro tenore di vita, ma se l’unica bussola di orientamento è l’economia e il profitto, non potrà essere colmato il divario fra i paesi poveri e quelli ricchi, e l’attacco all’ambiente non avrà ostacoli. La sfida della globalizzazione richede oggi un supplemento d’etica che può essere offerto solo da chi conosce l’uomo e sa quali sono i valori che lo rendono felice.

La globalizzazione va posta a servizio di ogni uomo e di tutte le nazioni, per uno sviluppo guidato dai principi di solidarietà, partecipazione e sussidiarietà. Non ci può essere pace senza giustizia, ma i rapporti di vera giustizia, in un tempo in cui il mercato è globale, devono essere costruiti su una cultura globale della solidarietà, attenta ai bisogni dei più deboli: occorre una nuova cultura, nuove regole e nuove istituzioni per arrivare a nuove politiche di distribuzione delle risorse e della ricchezza  a livello mondiale.

La comunità cristiana, attraverso progetti di solidarietà e strumenti di riflessione, deve educare e stimolare concretamente le coscienze a una vita più sobria e austera e a una condivisione operosa con chi è nel bisogno, cominciando dall’accoglienza degli immigrati e dalla lotta contro le vecchie e nuove povertà di casa nostra. La globalizzazione, prima che un problema economico, è un problema etico.

Ha affermato Giovanni Paolo II nel discorso per i trent’anni della Caritas:

 

“E’ necessario fronteggiare le sfide della moderna globalizzazione. Non si sono globalizzate solo tecnologia ed economia, ma anche insicurezza e paure, criminalità e violenza, ingiustizie e guerre. Urge pertanto costruire insieme la “civiltà” dell’amore”, e per questo educare al dialogo rispettoso e fraterno tra culture e civiltà. Occorre dar corpo a un azione caritativa globalizzata, che sostenga lo sviluppo dei “piccoli”d della terra. Vicini a ogni situazione di povertà, a partire dalle ricorrenti emergenze nazionali e internazionali, voi potete fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità, come “ a casa loro”.

Più si riesce a coinvolgere i singoli e l’intera comunità, più efficaci risulteranno gli sforzi per prevenire l’emarginazione, incidere sui meccanismi generatori di ingiustizia, difendere i diritti dei deboli, rimuovere le cause della povertà, e mettere in “collegamento solidale” sud e nord, est e ovest del pianeta.

In questo campo quante possibilità si aprono al volontariato! Alle fresche energie di tanti ragazzi e ragazze che, grazie al servizio civile, possono dedicare una parte del loro tempo a interventi socio-caritativi in Italia e in altri paesi.

In tal modo potrete contribuire a dar vita a un mondo in cui tacciano finalmente le armi e trovino attuazione progetti di sviluppo sostenibile”.

 

Alla globalizzazione dei mercati occorre rispondere con la globalizzazione della solidarietà, come ben ricorda Benedetetto XVI nel messaggio per la giornata mondiale della pace del 2009:

 

Una delle strade maestre per costruire la pace è una globalizzazione finalizzata agli interessi della grande famiglia umana. Per governare la globalizzazione occorre però una forte solidarietà globale tra Paesi ricchi e Paesi poveri, nonché all'interno dei singoli Paesi, anche se ricchi. È necessario un « codice etico comune », le cui norme non abbiano solo un carattere convenzionale, ma siano radicate nella legge naturale inscritta dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano (cfr Rm 2,14-15). Non avverte forse ciascuno di noi nell'intimo della coscienza l'appello a recare il proprio contributo al bene comune e alla pace sociale? La globalizzazione elimina certe barriere, ma ciò non significa che non ne possa costruire di nuove; avvicina i popoli, ma la vicinanza spaziale e temporale non crea di per sé le condizioni per una vera comunione e un'autentica pace. La marginalizzazione dei poveri del pianeta può trovare validi strumenti di riscatto nella globalizzazione solo se ogni uomo si sentirà personalmente ferito dalle ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse connesse. La Chiesa, che è « segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano », continuerà ad offrire il suo contributo affinché siano superate le ingiustizie e le incomprensioni e si giunga a costruire un mondo più pacifico e solidale (Combattere la povertà, costruire la pace, n. 8).

 

Per la preghiera personale

 

Dal Salmo 49: Le ricchezze sono un nulla

 

Ascoltate, popoli tutti,
porgete orecchio abitanti del mondo,
voi nobili e gente del popolo,
ricchi e poveri insieme.
La mia bocca esprime sapienza,
il mio cuore medita saggezza;
porgerò l'orecchio a un proverbio,
spiegherò il mio enigma sulla cetra.
Perché temere nei giorni tristi,
quando mi circonda la malizia dei perversi?
Essi confidano nella loro forza,
si vantano della loro grande ricchezza.
Nessuno può riscattare se stesso,
o dare a Dio il suo prezzo.
Per quanto si paghi il riscatto di una vita,
non potrà mai bastare
per vivere senza fine,
e non vedere la tomba.
Vedrà morire i sapienti;
lo stolto e l'insensato periranno insieme
e lasceranno ad altri le loro ricchezze.
Il sepolcro sarà loro casa per sempre,
loro dimora per tutte le generazioni,
eppure hanno dato il loro nome alla terra.
Ma l'uomo nella prosperità non comprende,
è come gli animali che periscono.
Questa è la sorte di chi confida in se stesso,
l'avvenire di chi si compiace nelle sue parole.
Come pecore sono avviati agli inferi,
sarà loro pastore la morte;
scenderanno a precipizio nel sepolcro,
svanirà ogni loro parvenza:
gli inferi saranno la loro dimora.
Ma Dio potrà riscattarmi,
mi strapperà dalla mano della morte.
Se vedi un uomo arricchirsi, non temere,
se aumenta la gloria della sua casa.
Quando muore con sé non porta nulla,
né scende con lui la sua gloria.
Nella sua vita si diceva fortunato:
"Ti loderanno, perché ti sei procurato del bene".
Andrà con la generazione dei suoi padri
che non vedranno mai più la luce.
L'uomo nella prosperità non comprende,
è come gli animali che periscono.

Per la vita

 

La parabola del ricco Epulone ci ricorda che la felicità è possibile solo nella fraternità e nella condivisione…

·         La mia vita sostanzialmente è impostata sull’altruismo e la solidarietà? Quali sono i principali segni di conferma?

 

                                                                                                          J.F. Antón

 

 

 
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