Inserisci username e password nei campi sottostanti.
Username:
Password:

 

14. Zaccheo: conversione è condivisione (Lc 19,1-10)

 

Dal vangelo secondo Luca:

 

Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È andato ad alloggiare da un peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto" (19,1-10).

 

Anche la curiosità può essere una strada che porta alla conversione, specialmente quando è sostenuta dal desiderio di “vedere Gesù”. L’incontro fra il Maestro e il capo dei pubblicani di Gerico è stato possibile per l’iniziativa di Gesù, ma anche perché Zaccheo “cercava” Gesù ed è stato disponibile ad accoglierlo a casa sua: un incontro che ha cambiato la sua vita.

Nel lungo viaggio di Gesù presentato da Luca (9,51-19,27), Gerico segna l’ultima tappa prima della salita a Gerusalemme, dove la morte in croce sarà l’espressione più evidente di una donazione totale e di un amore senza limiti. I pubblicani raccoglievano le tasse di “pedaggio” per conto dei romani; erano odiai dal popolo perché collaborazionisti con gli oppressori e venivano considerati persone disoneste perché abituate a far “la cresta”: quello che incassavano in più rimaneva nelle loro tasche. Superfluo aggiungere che Zaccheo era ricco, dato che era il “capo dei pubblicani” e la dogana di Gerico era molto frequentata.

Prima di salire verso Gerusalemme, Gesù compie il “miracolo di Gerico”: un peccatore si converte e un ricco si salva, perché restituisce ciò che ha rubato e dona la metà dei suoi beni ai poveri. Poco prima di Gerico un notabile ricco, pio osservante dei comandamenti, si era sentito rispondere da Gesù:

 

“Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi". Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco. Quando Gesù lo vide, disse: "Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!". Quelli che ascoltavano dissero: "Allora chi potrà essere salvato?". Rispose: "Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio" (Lc 18,22-27).

E’ proprio quello che è successo a Gerico: Zaccheo, benché ricco, si converte e cambia vita. L’incontro con Gesù può essere ostacolato dalla folla che spinge in altre direzioni; la ricerca di fede può arenarsi nelle sabbie mobili degli interessi economici e del desiderio di possesso che assorbe le migliori energie personali; il desiderio del cambiamento può essere soffocato dall’illusione effervescente del piacere o dall’ubriacatura del potere, ma alla fine a tutti, anche a chi è “piccolo di statura”, è offerta la possibilità di salire sul sicomoro della natura per contemplare l’esistenza di Dio e sull’albero della Parola per vedere Gesù, purché sia vinta la paura di essere considerati ridicoli, se sorpresi in ricerca, e sia superata la tentazione di non avere tempo da perdere nel confrontare la propria vita con la volontà di Dio.

Solo l’accoglienza di Gesù nella casa della propria vita dà gioia e trasforma l’esistenza, allora la conversione diventa condivisione.

 

1. La proprietà privata e “l’universale destinazione dei beni” nella dottrina sociale della Chiesa

 

Tra le molteplici implicazioni del bene comune, immediato rilievo assume il principio della destinazione universale dei beni:

 

“Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all’uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità” (GS: AAS 58(1966) 1090).

 

Tale principio si basa sul fatto che “la prima origine di tutto ciò che è bene è l’atto stesso di Dio che ha creato la terra e l’uomo, ed all’uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti. Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. E’ qui la radice dell’universale destinazione dei beni della terra. Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell’uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana” (CA 31: AAS 83(1991) 831). La persona, infatti, non può fare a meno dei beni materiali che rispondono ai suoi bisogni primari e costituiscono le condizioni basilari per la sua esistenza; questi beni le sono assolutamente indispensabili per alimentarsi e crescere, per comunicare, per associarsi e per poter conseguire le più altre finalità cui è chiamata.

Il principio della destinazione universale dei beni della terra è alla base del diritto universale all’uso dei beni. Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo: il principio dell’uso comune dei beni è il “primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale” (LE 19: AAS 73(1981) 525) e principio tipico della dottrina sociale cristiana” (SRS 42: AAS 80(1988) 573).

Per questa ragione la Chiesa ha ritenuto doveroso precisarne la natura e le caratteristiche. Si tratta innanzi tutto di un diritto naturale, inscritto nella natura dell’uomo, e non di un diritto solo positivo, legato alla contingenza storica; inoltre, tale diritto è “originario” (Pio XII, Radiomessaggio per il 50º anniversario dell’enciclica Rerum Novarum: AAS 33(1941) 199). Esso inerisce alla singola persona, ad ogni persona, ed è prioritario rispetto a qualunque intervento umano sui beni, a qualunque ordinamento giuridico degli stessi, a qualunque sistema e metodo economico-sociale:

 

“Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa (destinazione universale dei beni): non devono quindi intralciare, bensì al contrario facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria” (PP 222: AAS 59(1967) 268.

 

Il principio della destinazione universale dei beni invita a coltivare una visione dell’economia ispirata a valori morali che permettano di non perdere mai di vista né l’origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere un funzione positiva. La ricchezza, in effetti, presenta questa valenza nella molteplicità di forme che possono esprimerla come il risultato di un processo produttivo di elaborazione tecnico-economica delle risorse disponibili, naturali e derivate, guidato dall’inventiva, dalla capacità progettuale, dal lavoro degli uomini, e impiegato come mezzo utile per promuovere il benessere degli uomini e dei popoli e per contrastare la loro esclusione e il loro sfruttamento.

La destinazione universale dei beni comporta uno sforzo comune teso ad ottenere per ogni persona e per tutti i popoli le condizioni necessarie allo sviluppo integrale, così che tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano, “in cui ciascuno possa dare e ricevere, ed in cui il progresso degli uni non sarà un ostacolo allo sviluppo degli altri né un pretesto per il loro assoggettamento” (Congr. per la Dottrina della fede, Ist. Libertatis conscientia, 90: AAS 79 (1987) 594). Questo principio corrisponde all’appello incessantemente rivolto dal Vangelo alle persone e alle società di ogni tempo, sempre esposte alle tentazioni della brama del possesso, a cui lo stesso Signore Gesù ha voluto sottoporsi per insegnarci la via per superarle con la sua grazia.

Mediante il lavoro, l’uomo, usando la sua intelligenza, riesce a dominare la terra e  a farne la sua degna dimora: “In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. E’ qui l’origine della proprietà individuale (CA 31: AAS 83(1991) 832). La proprietà privata e le altre forme di possesso privato dei beni “assicurano ad ognuno lo spazio effettivamente necessario per l’autonomia personale e familiare, e devono essere considerati come un prolungamento della libertà umana. Costituiscono in definitiva una delle condizioni delle libertà civili, in quanto producono stimoli ad osservare il dovere e la responsabilità” (GS 71: AAS 58(1966) 1092-1093). La proprietà privata è elemento essenziale di una politica economica autenticamente sociale e democratica ed è garanzia di un retto ordine sociale. La dottrina sociale richiede che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti (CA 6: AAS 83(1991) 800-801) così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari, ed esclude il ricorso a forme di “comune e promiscuo dominio” (RN: Acta Leonis XIII 11 (1892) 102).

La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto e intoccabile: “Al contrario, essa l’ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell’intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell’uso comune, alla destinazione universale dei beni” (LE 14: AAS 73(1981 613). Il principio della destinazione universale dei beni afferma sia la piena e perenne signoria di Dio su ogni realtà, sia l’esigenza che i beni del creato rimangano finalizzati e destinati allo sviluppo di tutto l’uomo e dell’intera umanità (GS 69; CCC 2402-2406). Tale principio non si oppone al diritto di proprietà, ma indica la necessità di regolamentarlo. La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo (PP 22-23: AAS 59 (1967) 268-269).

L’insegnamento sociale della Chiesa esorta a riconoscere la funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato con il chiaro riferimento alle esigenze imprescindibili del bene comune (cf. MM: AAS 53 (1961) 430-431); Giovanni Paolo II, Discorso alla Terza Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, Puebla (28 gennaio 1979), III/4: AAS 71 (1979) 199-201). La destinazione universale dei beni comporta dei vincoli sul loro uso da parte dei legittimi proprietari. La singola persona non può operare a prescindere dagli effetti dell’uso delle proprie risorse, ma deve agire in modo da perseguire, oltre che il vantaggio personale e familiare, anche il bene comune. Ne consegue il dovere da parte dei proprietari di non tenere inoperosi i beni posseduti e di destinarli all’attività produttiva, anche affidandoli a chi ha desiderio e capacità di avviarli a produzione.

 

Già il papa Leone XIII nella Rerum Novarum, alla fine del XIX secolo, contro il socialismo del suo tempo che proponeva il collettivismo, affermava il carattere naturale della proprietà privata, come diritto fondamentale per l’autonomia e lo sviluppo della persona. La Chiesa, però, ha sempre insegnato che la proprietà privata porta in sé una forte ipoteca sociale. E’ come dire: ciò che hai è per te e per la tua famiglia, ma anche per gli altri. Il possesso dei beni è lecito perché assicura una necessaria autonomia personale e familiare che garantisce la libertà, ma occorre tener conto che la terra è di Dio ed è quindi destinata al bene di tutti gli uomini. Afferma il concilio Vaticano II:

 

“L’uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri… La proprietà privata ha per sua natura anche una funzione sociale, che si fonda sulla legge della comune destinazione dei beni” (GS 69.71: EV 1/1551.1558).

 

E’ l’unico Creatore che ha affidato la terra all’uomo perché la coltivi con il suo lavoro e ne goda i frutti. Il lavoro è la risposta dell’uomo al dono di Dio e per mezzo di esso egli prende possesso di una parte della terra, ma ciò non può avvenire escludendo qualcuno, bensì in una visione solidale e universale.

Se i due fattori che sono al principio di ogni società umana sono il lavoro e la terra, nel nostro tempo è soprattutto il lavoro che ha acquistato rilevanza per produrre ricchezza e si intreccia con quello degli altri:

 

“Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e per gli altri; è un fare qualcosa per qualcuno. Il lavoro è tanto più fecondo e produttivo, quanto più l’uomo, è capace di conoscere le potenzialità produttive della terra e di leggere in profondità i bisogni dell’altro uomo, per il quale il lavoro è fatto” (CA 31: EV 13/173).

 

L’attuale fase storica, mettendo a disposizione della società beni nuovi, del tutto sconosciuti fino ai tempi recenti, impone una rilettura del principio del destini universale dei beni della terra, rendendone necessaria un’estensione che comprenda anche i frutti del recente progresso economico e tecnologico. La proprietà dei nuovi beni, che provengono dalla conoscenza, dalla tecnica e dal sapere, diventa sempre più decisiva, perché su di essa “si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che su quella delle risorse naturali” (CA 32: AAS 83(1991) 832).

Le nuove conoscenze tecniche e scientifiche devono essere poste a servizio dei bisognosi primari dell’uomo affinché possa gradualmente accrescersi il patrimonio comune dell’umanità. La piena attuazione del principio della destinazione universale dei beni richiede, pertanto, azioni a livello internazionale e iniziative programmate da parte di tutti i paesi: “Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti -individui e nazioni- le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo” (CA 35: AAS 83(1991) 837).

La proprietà della conoscenza, della tecnica e del sapere è oggi ancora più importante di quella delle risorse naturali, come ben sottolineava Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica sociale:

 

“ Nonostante i grandi mutamenti avvenuti nelle società più avanzate, le carenze umane del capitalismo, col conseguente dominio delle cose sugli uomini, sono tutt’altro che scomparse, anzi, per i poveri alla mancanza di beni materiali si è aggiunta quella del sapere e della conoscenza, che impedisce loro di uscire dallo stato di umiliante subordinazione” (CA 33: EV 13/179).

 

L’universale destinazione dei beni richiede la condivisione anche della proprietà del sapere e della tecnica che è in mano ai paesi ricchi, perché l’interdipendenza fra i popoli si trasformi in solidarietà.

 

2. Per un nuovo stile di vita

 

Alla domanda delle folle sul cosa fare, Giovanni il Battista risponde dando indicazioni molto concrete: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. E ai pubblicani comanda: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Ai soldati ordine: “Non maltrattare e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre parghe” (Lc 3,10-14). Solidarietà, onestà, nonviolenza, giustizia: ecco i punti principali di un programma non ideologico per un nuovo stile nei rapporti sociali.

Il cristiano nella preghiera e nella meditazione della Parola di Dio scopre sempre più la natura intima di un Dio-amore, quindi si sente chiamato sulla strada della responsabilità e della partecipazione, della condivisione e del prendersi cura gli uni degli altri. Per costruire rapporti più veri e fraterni sono necessari ascolto e dialogo, impegno per la giustizia e per il rispetto dei diritti di ogni persona.

La cultura e la concezione globale della vita personale e di un popolo sono manifestate anche nelle scelte di produzione e di consumo:

 

 “Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da un’immagine integrale dell’uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere subordinati quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali” (CA 36: EV 13/191)

 

L’eccessiva disponibilità di beni materiali rende facilmente gli uomini schiavi del possesso e del godimento immediato. La civiltà del consumo genera una mentalità materialistica e una radicale insoddisfazione perché

 

Quanto più si possiede tanto più si desidera, mentre le aspirazioni più profonde restano insoddisfatte e forse anche soffocate” (SRS 28: EV 10/2599).

 

L’austerità e la sobrietà sono una scelta di liberazione dalla schiavitù delle cose e dai falsi bisogni per assaporare il gusto e la gioia dell’essenziale. Quando lo sviluppo viene limitato alla sola dimensione economica, esso rischia di ritorcersi contro l’uomo: uno sviluppo autentico è quello che riguarda tutto l’uomo e tutti gli uomini.

 

3. Ecologia: solidarietà con la natura

 

Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così occorre promuovere lo sviluppo fra i popoli per costruire condizioni di pace. Da ciò può derivare anche la necessità di modificare il proprio stile di vita per limitare lo spreco delle risorse ambientali.

Il problema dell’abuso delle risorse e dell’inquinamento ambientale è venuto drammaticamente alla ribalta negli ultimi decenni: inquinamento delle acque, smaltimento dei rifiuti, centrali atomiche, effetto serra, nuove malattie… Le cause vanno ricercate nel consumismo sfrenato:

 

“L’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio… Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui” (CA 37: EV 13/194).

 

Le risorse della natura che il Creatore ha consegnato all’uomo devono servire all’umanità di oggi, ma anche alle generazioni future: pure loro sono destinatari dei doni del Signore. L’integrità della natura e i suoi ritmi vanno rispettati. L’uomo è stato posto nel “giardino” perché lo custodisca e lo coltivi (Gen 2,15), non deve comportarsi da sfruttatore e padrone dispotico, ma seguire la volontà di colui che lo ha posto nel “giardino del mondo”.

L’uomo deve imparare a conoscere e a rispettare le leggi biologiche e morali che regolano l’universo, consapevole dello stretto rapporto esistente fra le molteplici realtà del creato, della limitatezza delle risorse naturali e delle conseguenze che uno sviluppo incontrollato può avere sulla qualità della vita di oggi e di domani (SRS 34: EV 10/2632-2633).

Come ribadisce Giovanni Paolo II nel messaggio per la giornata mondiale del turismo, l’ecologia rimanda alla verifica dello stile di vita e alla solidarietà:

 

“Di fronte allo sfruttamento sconsiderato della creazione, originato dall’insensibilità dell’uomo, la società odierna non troverà soluzione adeguata, se non rivedrà seriamente il suo stile di vita. L’attenzione e il rispetto per la natura potranno favorire sentimenti di solidarietà verso uomini e donne, il cui ambiente umano viene costantemente aggredito dallo sfruttamento, dalla povertà, dalla fame e dalla mancanza di educazione e di salute” (26.06.2002)

 

Per la preghiera personale

 

Dal Samo 8: grandezza di Dio e dignità dell’uomo


O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.
Con la bocca dei bimbi e dei lattanti
affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l'uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell'uomo perché te ne curi?
Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti,
tutte le bestie della campagna;
Gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
che percorrono le vie del mare.
O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

Per la vita.

           

Solidarietà, onestà, nonviolenza, giustizia: ecco i punti principali di un programma non ideologico per un nuovo stile nei rapporti sociali

 

  • In quale misura sono presenti e caratterizzano il mio modo quotidiano di rapportarmi con gli altri?

 

P. Fidel Anton

 

 
2007 © Congregazione di S. Giuseppe - Giuseppini del Murialdo - Tutti i diritti riservati • Informativa sulla Privacy
Design & CMS: Time&Mind