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La solidarietà di Dio,

paradigma della solidarietà umana

 

 

 

 

Dal libro dell’Esodo:

 

“Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti, conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Hitita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ora dunque il grido degli degli israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l’oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. “Ora va! Io ti mando dal faraone. Fa’ usciere dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!” (3,7-10).

 

 

 

Il filo rosso che lega tutti i libri della Scrittura è l’amore e la solidarietà che Dio manifesta verso l’uomo, modello del comportamento che ogni persona deve vivere verso gli altri.

Nella mente di Dio l’umanità viene pensata come un’unica famiglia, capace di vivere rapporti di comunione. L’uomo e la donna, creati a immagine e somiglianza di Dio, hanno il compito di rappresentare Dio di fronte al mondo e di presentarsi insieme davanti a lui. Questa unità originaria, come appare dai primi capitoli della Genesi, viene prima di qualsiasi divisione in popoli o razze ed è più importante del lavoro dell’uomo e delle sue conquiste.

Il peccato di Adamo ed Eva vuole sovvertire l’ordine dei valori e mettere la creatura al posto del creatore. Allontanando l’uomo da Dio, il peccato spezza la solidarietà fra gli uomini (Gn 3,11-12) e spinge il fratello contro il fratello (Gn 4,1-16). Come risultato dell’assalto al cielo e dell’attentato a Dio c’è la confusione delle lingue e la dispersione dei popoli (Gn 11,1-19): uno sviluppo senza etica frantuma l’unità della famiglia umana provocando incomprensione e lotte.

In una società che ha perso il senso di Dio e non accetta il progetto di Dio sull’uomo, tutto diventa lecito: la dignità della persona viene calpestata, l’ingiustizia nei rapporti sociali viene eretta a legge, l’emarginazione e lo sfruttamento sono coltivati e sviluppati.

Ma Dio non abbandona l’uomo a se stesso. Attraverso le ripetute alleanze, Dio offre il suo aiuto in un atteggiamento di solidarietà disinteressata e con la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e dalla prigionia dell’esilio si mostra al popolo ebraico come il suo “go’el”, cioè come suo Redentore. La redenzione sarà totale con l’incarnazione e la morte in croce del Figlio.

Dio vuole fare riscoprire il piano iniziale di fraternità di tutto il genere umano: la legge e i profeti, Gesù di Nazaret e la Chiesa primitiva richiamano l’importanza di vivere concretamente la solidarietà verso tutti.

 

1. La creazione

 

Dio, con la creazione, si inserisce nel tempo e dà inizio alla storia: è la prima opera di solidarietà e di salvezza di JHWH, alla quale altre ne  seguiranno. Dio sarà continuamente presente nella storia del suo popolo.

Il Creatore dimostra il suo amore paterno trasmettendo la sua stessa vita: “allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gn 2,7). L’uomo è formato da un pugno di polvere del suolo e dalla potenza vitale di Dio stesso.

La creazione viene descritta come frutto di un intenso lavoro durato sei giorni. A sera, contemplando ciò che ha prodotto, Dio esprime il suo compiacimento: “Dio vide che era cosa buona”. Ma all’ultimo giorno lavorativo il Creatore si supera: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1,31). Oggetto di tanta meraviglia è l’uomo. “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gn 1,27). C’è un rapporto di tale intimità fra il Creatore e la creatura da rendere l’uomo superiore a tutti gli altri esseri viventi; la persona umana viene dotata di caratteristiche divine: spirito, intelligenza, volontà.

La solidarietà di Dio verso l’uomo e la donna arriva fino al punto di renderli responsabili di tutto il creato e continuatori della creazione stessa. E’ all’uomo che Dio affida il giardino perché lo coltivi e lo custodisca (Gn 2,15). L’uomo è l’unica creatura capace di collaborare con Dio: “creato ad immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all’opera del Creatore, e in misura delle proprie possibilità continua a svilupparla e la completa” (LE 25: EV 7/1499).

Alla coppia Dio affida anche il compito di continuare la creazione dell’uomo stesso, la creatura posta al vertice dell’universo. La pro-creazione è la risposta della coppia al comando divino: “siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (Gn 1,28). Donandosi reciproco amore essi partecipano dell’azione creatrice di Dio e manifestano la sua natura divina: Dio è amore e l’amore di Dio è fecondo e genera vita.

 

2. L’alleanza

 

Tutta la religione del popolo ebraico è determinata dall’alleanza. Il Creatore che ha dato inizio all’universo, il Dio trascendente e continuamente presente nella storia dell’uomo, ha voluto formarsi un popolo e stabilire con lui un rapporto di profonda familiarità. La realtà dell’alleanza viene definita dalle parole del Levitico: “Camminerò in mezzo a voi, sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo” (26,12). Non è un patto fra uguali, ma è Dio che decide di offrire la propria alleanza a Israele.

L’alleanza viene presentata come un dono di Dio che costituisce il suo popolo, lo libera dalla schiavitù, lo aiuta nelle difficoltà perché sia testimone della salvezza che Dio stesso ha operato. Non è un contratto bilaterale in vista di un reciproco servizio, ma è frutto di una libera iniziativa di Dio. Essa pone il popolo ebraico in un rapporto di profonda intimità e comunione con Dio, ma, in nome dell’unica paternità, esige che tutti i membri del popolo vivano rapporti di fraternità e solidarietà. Aderendo al patto dell’alleanza diventa consanguineo di Dio e stabilisce vincoli di stretta parentela con gli altri.

Come segno dell’alleanza con Abramo viene richiesta la circoncisione che permette a ogni membro del popolo di partecipare alle promesse, a patto che a quella della carne sia legata anche la circoncisione del cuore (Ger 4,4). L’alleanza conclusa con Abramo viene rinnovata, tramite Mosè, sul Sinai, con tutto il popolo. Israele diviene il popolo di Dio: “ora se vorrete ascoltare la mia voce e custodire la mia alleanza, voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,5-6). Al momento di concludere l’alleanza il popolo dirà: “Quanto il Signore ha ordinato noi lo faremo e lo seguiremo” (Es 24,7). L’alleanza, infatti, va accolta responsabilmente e la legge stabilirà le condizioni di questa accettazione. Dio attraverso la legge, vuole manifestare la sua volontà agli uomini che, essendosi allontanati da lui, hanno smarrito la coscienza del suo volere e il senso della propria vita. Il principio che sta alla base della legge è l’amore da vivere sempre, nei rapporti con Dio e con il prossimo, nella vita religiosa e civile.

L’osservanza non ritualistica dell’alleanza con Dio va verificata nel comportamento con il prossimo: questo è richiesto dalla legge. L’alleanza del Sinai è il modello di tutte le alleanze di Dio con il suo popolo, e il rito attraverso il quale viene conclusa vuole significare il legame profondo che stabilisce. “Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tute queste parole” (Es 24,8). Il sangue è il principio vitale secondo la Bibbia, è la vita di ogni carne (Lv 17,14): essere bagnati con lo stesso sangue, come mangiare insieme una vittima offerta in sacrificio, esprimeva profonda solidarietà nella vita.

L’alleanza non è un impegno preso una volta per tutte, ma richiede una fedeltà sempre rinnovata. Ai profeti toccherà il compito di sentinelle, che richiamano le violazioni della volontà di Dio e ricordino gli obblighi di solidarietà derivanti dalla legge. Essi aiuteranno il popolo a leggere anche i castighi, come la distruzione di Gerusalemme e l’esilio, quali segni dell’amore di Dio e pressanti inviti alla conversione da parte di un Padre misericordioso e sempre pronto al perdono. Saranno ancora i profeti a tenere viva nel popolo l’attesa del Messia, portatore di gioia e di pace a tutte le nazioni.

 

3. L’incarnazione

 

Dio, nella pienezza dei tempi, per stabilire la nuova alleanza manda lo stesso suo Figlio, che assume la natura umana e si inserisce così nella condizione storica dell’uomo. L’incarnazione è il segno più evidente della solidarietà di Dio verso l’uomo. Perché uomo-Dio, Cristo è il mediatore della nuova ed eterna alleanza. Durante l’ultima cena Gesù, dopo aver distribuito il pane, prende il calice del vino, lo benedice e afferma: “questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti” (Mc 14,24). Non è più il sangue dei capri e dei tori, ma il sangue stesso di Gesù (Eb 9,12) versato per la purificazione e il perdono dei peccati, per la giustificazione e la liberazione dell’umanità. Il sangue di Cristo non viene sparso sull’altare, ma, con il corpo, viene offerto in nutrimento per esprimere l’alleanza della comunità con Dio e la comunione dei fratelli tra loro.

L’incarnazione manifesta la solidarietà di Dio per l’uomo perché il Figlio ne condivide natura e condizione. Cristo Gesù, infatti, “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana umiliò se stesso facendosi obbediente fino ala morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-8).

Nella Parola che si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14), l’uomo può contemplare il volto di Dio e sperimentare il suo amore. Dio non parla più attraverso intermediari, ma per mezzo del Figlio che, nascendo dalla vergine Maria, diventa pienamente solidale con l’uomo. E’ verso la pienezza di vita che verrà donata nel Regno che l’umanità è incamminata, quando si realizzerà “il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1,10).

Ma se Cristo nella sua divinità ci rivela il volto di Dio, con la sua umanità ci presenta anche l’uomo nuovo, che “svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione. Egli è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato… Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito i8n certo modo a ogni uomo (GS 22: EV 1/1385-1386).

Nell’incarnazione Gesù non si è solo “abbassato” alla condizione dell’uomo, ma lo ha anche innalzato fino a divinizzarlo: “solo perché il Figlio di Dio è diventato veramente uomo, l’uomo può, in lui e attraverso di lui, divenire realmente figlio di Dio” (NMI 23).

Cristo ha manifestato il volto di un Dio pienamente coinvolto nelle vicende umane: è un Dio che si fa carne, pone la sua tenda in mezzo a noi, entra in relazione con l’uomo, parla, ascolta, stimola al dialogo, si dona totalmente. Con l’incarnazione Cristo ha assunto la storia umana per redimerla e illuminarla con l’amore e la solidarietà di Dio.

 

4. La redenzione

 

L’incarnazione e la redenzione scaturiscono dallo slancio di solidarietà di Cristo. Il Dio biblico è un Dio che, oltre a impegnarsi nel patto di alleanza, redime l’uomo e il suo popolo in forza del suo amore solidale.

La Bibbia, come per descrivere l’alleanza con Dio ha presentato i modelli di alleanza fra i popoli, così per descrivere la redenzione fa riferimento ai rapporto che esistevano fra i membri della famiglia, del clan e della tribù.

La solidarietà di Dio viene espressa con la categoria del “go’el”, il parente prossimo che il diritto-dovere di intervenire per liberare e riscattare il parente caduto in schiavitù, il suo campo e i suoi beni (Lv 25,27). Il titolo dato a Dio di redentore (go’el), con il compito cioè di redimere e riscattare, risponde a questa prospettiva di solidarietà liberatrice e salvifica.

Il salmo 72 vede nel re ideale il “go’el” capace di liberare gli oppressi e riscattarli dalla violenza e dal sopruso: “Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri. Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso, sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue” (12-14).

Il fondamento dell’istituzione del “go’el” è la solidarietà: la redenzione implica innanzitutto solidarietà. Dio non è legato a Israele per motivi di sangue o di razza, ma è suo redentore (Is 41,14) perché se lo è scelto liberamente come suo popolo con l’alleanza.

La nuova alleanza, come l’antica, è stabilita con il sangue; non di capri o di vitelli, ma dello stesso Figlio di Dio: “il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).

L’autore e il protagonista della redenzione è il Padre; Cristo ne è l’esecutore e il mediatore: “Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,5).

L’uomo vive in stato di schiavitù: idolatria, ingiustizia, peccato, morte. La situazione di schiavitù non è degna dell’uomo, ma egli da solo non può riacquistare la libertà.

Allora interviene il Padre in Cristo, divenuto con l’incarnazione fratello di ogni uomo, riscatta l’umanità dalla schiavitù e si fa “vendicatore di sangue” (go’el) uccidendo la stessa morte.

In Cristo, che ama l’uomo e per lui dà la sua vita (Gal 2,20), si rivela pienamente la solidarietà del Padre: “… Gesù Cristo ha dato se stesso per i nostri peccati, per stapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro” (Gal 1,4).

Figlio di Dio e fratello degli uomini, Cristo è il mediatore perfetto, un sommo sacerdote misericordioso che vive una vera solidarietà con l’uomo perché conosce e condivide la stessa condizione umana. Con la sua incarnazione e morte Cristo realizza ciò che non era mai stato possibile ottenere con gli antichi sacrifici, unire gli uomini fra loro e con Dio. Il discepolo di Cristo che vuole essere associato alla sua opera di redenzione deve percorrere la stessa strada di solidarietà umana.

Nel “libro della consolazione” attribuito al Deuteroisaia (Is 40-55), il profeta, che esercitò il proprio ministero in mezzo alla comunità dei deportati a Babilonia, vivendo in piena solidarietà con i suoi fratelli d’esilio e condividendone stanchezza e sfiducia, descrive la figura del “servo del Signore” che sopporta pazientemente persecuzioni e dolori.

Non soffre per le proprie colpe, ma per i peccati di tutti. La disponibilità alla donazione di sé è piena nel Servo, che accetta il suo compito di vittima espiatrice senza lamentarsi né protestare.

E’ facile vedere il collegamento fra la figura del Servo e quella del Figlio:

 

“La croce è diventata la suprema cattedra per la rivelazione della sua nascosta e imprevedibile identità: il volto dell’amore che si dona e che salva l’uomo condividendone in tutto la condizione, escluso il peccato. La Chiesa non lo dovrà mai dimenticare: sarà questa la sua strada a servizio dell’amore della rivelazione di Dio agli uomini” (CEI, Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000. Comunicare il vangelo in un mondo che cambia (29.06.2001), n. 14).

 

5. La liberazione

 

La liberazione è un modo attraverso il quale Dio realizza la sua opera di redenzione tanto che nella Bibbia, a volte, i due termini sono usati con lo stesso significato. Il Dio che libera, porta fuori dalla schiavitù e dall’esilio e conduce in una terra di libertà, è un Dio redentore e solidale.

La liberazione è opera della potenza di Dio che riscatta il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto (Dt 15,15). Il popolo ebraico viveva in Egitto da quattrocentotrenta anni (Es 12,40), ma oramai le condizioni di vita e di lavoro erano diventate insopportabili: lavori forzati, oppressione, matrattamenti, uccisione dei figli maschi (Es 1,8-22). Dalla schiavitù gli israeliti rivolgono a Dio i loro lamenti e le loro grida di sofferenza. E il Signore non rimane insensibile:

 

“Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti, conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, dove scorre latte e miele… Ora dunque il grido degli israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l’oppressione con cui gli Egiziani li tormentano” (Es 3,7-9).

 

E’ in nome del suo amore gratuito che Dio interviene nella storia del suo popolo: “Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli israeliti e se ne prese pensiero” (Es 2,24-25). E’ un Dio vivo, attento a quello che capita agli uomini: ascolta le grida di lamento, vede l’ingiustizia e l’oppressione, ricorda l’alleanza fatta con i patriarchi e decide di intervenire (Es 3,7-12). E’ un Dio pronto a operare la redenzione a favore dell’uomo e del suo popolo.

Dio si impegna direttamente per vincere il faraone e con questa lotta di liberazione rivela il suo amore per Israele. Dio si serve degli uomini per portare a termine le sue imprese di salvezza; ma è lui che agisce e nessuno può mai dire: “E’ la mia mano che mi ha salvato” (Gdc 7,2).

La terra promessa sarà dono di Dio, un Dio fedele e sempre presente nella vita del suo popolo. Avverrà così anche sette secoli dopo, al tempo dell’esilio. I profeti hanno aiutato il popolo a leggere con occhi di fede il drammatico periodo dell’esilio. Esso è stato presentato come il castigo di Dio per i peccati dei responsabili politici e religiosi, che avevano cercato le alleanze con i potenti anziché affidarsi all’alleanza divina; per l’egoismo dei ricchi, che avevano fatto violenza e frodato i poveri calpestando l’invito alla fraternità che veniva dalla legge di Mosè; per l’idolatria e l’immoralità di tutto il popolo che aveva ridotto Gerusalemme a una città corrotta.

I profeti portarono anche parole di conforto e di speranza ai deportati: la durezza della pena era espressione della gravità della colpa, ma anche dell’amore di un Dio geloso. La speranza degli esiliati ebbe compimento nel 538 a.C. con la promulgazione dell’editto di Ciro: la strada del ritorno ormai era aperta. Ancora una volta Dio era stato misericordioso con il suo popolo.

Ma la liberazione che supera tutte le altre è quella attuata con la risurrezione: Cristo vincendo la morte ha liberato l’uomo dall’ultimo ostacolo, insuperabile con le sole sue forze. La risurrezione è il fondamento della fede e della speranza, ma è anche la conferma che la strada dell’amore totale e del dono di sé porta alla pienezza della vita. La solidarietà e la capacità di perdono permettono di fare esperienza della liberazione dall’egoismo e dall’odio e testimoniano la fede nella risurrezione. I gesti e le scelte di solidarietà e di condivisione fanno arrivare fino a noi un raggio di vita eterna: solo l’amore libera dalla paura della morte

 

6. La fede in Gesù e l’umanesimo solidale nel Magistero sociale

 

La fede in Gesù Cristo permette una corretta comprensione dello sviluppo sociale, nel contesto di una umanesimo integrale e solidale. A questo scopo risulta assai utile il contributo di riflessione teologica offerto dal Magistero sociale:

 

“La fede in Cristo Redentore, mentre illumina dal di dentro la natura dello sviluppo, guida anche nel compito della collaborazione. Nella lettera di san Paolo ai Colossesi leggiamo che Cristo è “il primogenito di tutta la creazione” e che “tutte le cose sono state create per mezzo di lui ed in vista di lui” (1,15-16). Infatti, ogni cosa “ha consistenza in lui”, perché “piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose (Ibid. 1,20). In questo piano divino, che comincia dall’eternità in Cristo, “immagine” perfetta del Padre, e che culmina in lui, “primogenito di coloro che risuscitano dai morti” (Ibid. 1,15-18), s’inserisce la nostra storia, segnata dal nostro sforzo personale e collettivo di elevare la condizione umana, superare gli ostacoli sempre risorgenti lungo il nostro cammino, disponendoci così a partecipare alla pienezza che “risiede nel Signore” e che egli comunica “al suo corpo che è la Chiesa” (Ibid., 1,18), mentre il peccato,  sempre ci insidia e compromette le nostre realizzazioni umane è vinto e riscattata dalla “riconciliazione operata da Cristo (cfr Col. 1,20)” (SRS, 31: AAS 80(1988)554-555.

 

Cristo, donando il suo Spirito e cambiando i cuori, viene ad instaurare il “Regno di Dio”, così da rendere possibile una nuova convivenza nella giustizia, nella fraternità, nella solidarietà e nella condivisione. Il Regno inaugurato da Cristo perfeziona la bontà originaria del creato e dell’attività umana, compromessa dal peccato. Liberato dal male e reintrodotto nella comunione con Dio, ogni uomo può continuare l’opera di Gesù, con l’aiuto del suo Spirito: rendere giustizia ai poveri, affrancare gli oppressi, consolare gli affitti, ricercare attivamente un nuovo ordine sociale, in cui si offrano adeguate soluzioni alla povertà materiale e vengano arginate più efficacemente le forze che ostacolano i tentativi dei più deboli di riscattarsi da una condizione di miseria e di schiavitù. Quando ciò accade, il Regno di Dio si fa già presente su questa terra, pur non appartenendole. In esso troveranno finalmente compimento le promesse dei Profeti.

 

Per la preghiera personale

 

Salmo 72: Dio ascolta il grido del povero e lo libera da ogni suo male

 

E’ un salmo dedicato a Salomone, re giusto e pacifico, ricco e glorioso. Intende fare, quindi riferimento al re ideale dell’avvenire. La tradizione giudaica e cristiana vi ha visto il ritratto anticipato del re messianico predetto da Isaia (9,5).

Intende mettere in luce che Dio non abbandona l’uomo a se stesso. Attraverso le ripetute alleanze, Dio offre il suo aiuto in un atteggiamento di solidarietà disinteressata e con la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e dalla prigionia dell’esilio si mostra al popolo ebraico come il suo “go’el”, cioè come suo Redentore. La redenzione sarà totale con l’incarnazione e la morte in croce del Figlio.


Dio, dà al re il tuo giudizio,
al figlio del re la tua giustizia;
regga con giustizia il tuo popolo
e i tuoi poveri con rettitudine.
Le montagne portino pace al popolo
e le colline giustizia.
Ai miseri del suo popolo renderà giustizia,
salverà i figli dei poveri
e abbatterà l'oppressore.
Il suo regno durerà quanto il sole,
quanto la luna, per tutti i secoli.
Scenderà come pioggia sull'erba,
come acqua che irrora la terra.
Nei suoi giorni fiorirà la giustizia
e abbonderà la pace,
finché non si spenga la luna.
E dominerà da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

A lui si piegheranno gli abitanti del deserto,
lambiranno la polvere i suoi nemici.
Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte,
i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi.
A lui tutti i re si prostreranno,
lo serviranno tutte le nazioni.
Egli libererà il povero che grida
e il misero che non trova aiuto,
avrà pietà del debole e del povero
e salverà la vita dei suoi miseri.
Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso,
sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue.
Vivrà e gli sarà dato oro di Arabia;
si pregherà per lui ogni giorno,
sarà benedetto per sempre.
Abbonderà il frumento nel paese,
ondeggerà sulle cime dei monti;
il suo frutto fiorirà come il Libano,
la sua messe come l'erba della terra.
Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole persista il suo nome.
In lui saranno benedette
tutte le stirpi della terra
e tutti i popoli lo diranno beato.
Benedetto il Signore, Dio di Israele,
egli solo compie prodigi.
E benedetto il suo nome glorioso per sempre,
della sua gloria sia piena tutta la terra.
Amen, amen.

 

Per la vita:

 

Quanto la contemplazione dell’amore paterno, solidale di Dio illumina ed informa il mio amore concreto verso chi mi sta attorno, soprattutto se povero ed indifeso?

 
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