“Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e
ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti, conosco infatti le sue
sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire
da questo paese verso un paese bello e spazioso, dove scorre latte e miele,
verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Hitita, l’Amorreo, il Perizzita,
l’Eveo, il Gebuseo. Ora dunque il grido degli degli israeliti è arrivato fino a
me e io stesso ho visto l’oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. “Ora
va! Io ti mando dal faraone. Fa’ usciere dall’Egitto il mio popolo, gli
Israeliti!” (3,7-10).
Il filo rosso
che lega tutti i libri della Scrittura è l’amore e la solidarietà che Dio
manifesta verso l’uomo, modello del comportamento che ogni persona deve vivere
verso gli altri.
Nella mente di
Dio l’umanità viene pensata come un’unica
famiglia, capace di vivere rapporti di comunione. L’uomo e la donna, creati
a immagine e somiglianza di Dio, hanno il compito di rappresentare Dio di
fronte al mondo e di presentarsi insieme davanti a lui. Questa unità
originaria, come appare dai primi capitoli della Genesi, viene prima di
qualsiasi divisione in popoli o razze ed è più importante del lavoro dell’uomo
e delle sue conquiste.
Il peccato di
Adamo ed Eva vuole sovvertire l’ordine dei valori e mettere la creatura al
posto del creatore. Allontanando l’uomo da Dio, il peccato spezza la
solidarietà fra gli uomini (Gn 3,11-12) e spinge il fratello contro il fratello
(Gn 4,1-16). Come risultato dell’assalto al cielo e dell’attentato a Dio c’è la
confusione delle lingue e la dispersione dei popoli (Gn 11,1-19): unosviluppo
senza etica frantuma l’unità della famiglia umana provocando incomprensione
e lotte.
In una società
che ha perso il senso di Dio e non accetta il progetto di Dio sull’uomo, tutto
diventa lecito: la dignità della persona viene calpestata, l’ingiustizia nei
rapporti sociali viene eretta a legge, l’emarginazione e lo sfruttamento sono
coltivati e sviluppati.
Ma Dio non
abbandona l’uomo a se stesso. Attraverso le ripetute alleanze, Dio offre il suo
aiuto in un atteggiamento di solidarietà disinteressata e con la liberazione
dalla schiavitù dell’Egitto e dalla prigionia dell’esilio si mostra al popolo
ebraico come il suo “go’el”, cioè come suo Redentore. La redenzione sarà totale
con l’incarnazione e la morte in croce del Figlio.
Dio vuole fare
riscoprire il piano iniziale di fraternità di tutto il genere umano: la legge e
i profeti, Gesù di Nazaret e la
Chiesa primitiva richiamano l’importanza di vivere
concretamente la solidarietà verso tutti.
1. La creazione
Dio, con la
creazione, si inserisce nel tempo e dà inizio alla storia: è la prima opera di solidarietà e di salvezza
di JHWH, alla quale altre neseguiranno.
Dio sarà continuamente presente nella storia del suo popolo.
Il Creatore
dimostra il suo amore paterno trasmettendo
la sua stessa vita: “allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del
suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere
vivente” (Gn 2,7). L’uomo è formato da un pugno di polvere del suolo e dalla
potenza vitale di Dio stesso.
La creazione
viene descritta come frutto di un intenso lavoro durato sei giorni. A sera, contemplando
ciò che ha prodotto, Dio esprime il suo compiacimento: “Dio vide che era cosa
buona”. Ma all’ultimo giorno lavorativo il Creatore si supera: “Dio vide quanto
aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1,31). Oggetto di tanta
meraviglia è l’uomo. “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo
creò; maschio e femmina li creò” (Gn 1,27). C’è un rapporto di tale intimità
fra il Creatore e la creatura da rendere l’uomo superiore a tutti gli altri
esseri viventi; la persona umana viene dotata di caratteristiche divine:
spirito, intelligenza, volontà.
La solidarietà
di Dio verso l’uomo e la donna arriva fino al punto di renderli responsabili di tutto il creato e
continuatori della creazione stessa. E’ all’uomo che Dio affida il giardino
perché lo coltivi e lo custodisca (Gn 2,15). L’uomo è l’unica creatura capace
di collaborare con Dio: “creato ad immagine di Dio, mediante il suo lavoro
partecipa all’opera del Creatore, e in misura delle proprie possibilità
continua a svilupparla e la completa” (LE 25: EV 7/1499).
Alla coppia
Dio affida anche il compito di continuare la creazione dell’uomo stesso, la
creatura posta al vertice dell’universo. La pro-creazione è la risposta della
coppia al comando divino: “siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra”
(Gn 1,28). Donandosi reciproco amore essi partecipano dell’azione creatrice di
Dio e manifestano la sua natura divina: Dio è amore e l’amore di Dio è fecondo
e genera vita.
2. L’alleanza
Tutta la
religione del popolo ebraico è determinata dall’alleanza. Il Creatore che ha dato inizio all’universo, il Dio
trascendente e continuamente presente nella storia dell’uomo, ha voluto
formarsi un popolo e stabilire con lui un rapporto di profonda familiarità. La
realtà dell’alleanza viene definita dalle parole del Levitico: “Camminerò in
mezzo a voi, sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo” (26,12). Non è un
patto fra uguali, ma è Dio che decide di offrire la propria alleanza a Israele.
L’alleanza
viene presentata come un dono di Dio che
costituisce il suo popolo, lo libera dalla schiavitù, lo aiuta nelle
difficoltà perché sia testimone della salvezza che Dio stesso ha operato. Non è
un contratto bilaterale in vista di un reciproco servizio, ma è frutto di una
libera iniziativa di Dio. Essa pone il popolo ebraico in un rapporto di
profonda intimità e comunione con Dio, ma, in nome dell’unica paternità, esige
che tutti i membri del popolo vivano rapporti di fraternità e solidarietà.
Aderendo al patto dell’alleanza diventa consanguineo di Dio e stabilisce
vincoli di stretta parentela con gli altri.
Come segno
dell’alleanza con Abramo viene richiesta la
circoncisione che permette a ogni membro del popolo di partecipare alle
promesse, a patto che a quella della carne sia legata anche la circoncisione
del cuore (Ger 4,4). L’alleanza conclusa con Abramo viene rinnovata, tramite
Mosè, sul Sinai, con tutto il popolo. Israele diviene il popolo di Dio: “ora se
vorrete ascoltare la mia voce e custodire la mia alleanza, voi sarete per me un
regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,5-6). Al momento di concludere
l’alleanza il popolo dirà: “Quanto il Signore ha ordinato noi lo faremo e lo
seguiremo” (Es 24,7). L’alleanza, infatti, va accolta responsabilmente e la
legge stabilirà le condizioni di questa accettazione. Dio attraverso la legge,
vuole manifestare la sua volontà agli uomini che, essendosi allontanati da lui,
hanno smarrito la coscienza del suo volere e il senso della propria vita. Il
principio che sta alla base della legge è l’amore da vivere sempre, nei
rapporti con Dio e con il prossimo, nella vita religiosa e civile.
L’osservanza
non ritualistica dell’alleanza con Dio va verificata nel comportamento con il prossimo: questo è richiesto dalla legge.
L’alleanza del Sinai è il modello di tutte le alleanze di Dio con il suo
popolo, e il rito attraverso il quale viene conclusa vuole significare il
legame profondo che stabilisce. “Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo,
dicendo: ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla
base di tute queste parole” (Es 24,8). Il sangue è il principio vitale secondo la Bibbia, è la vita di ogni
carne (Lv 17,14): essere bagnati con lo stesso sangue, come mangiare insieme
una vittima offerta in sacrificio, esprimeva profonda solidarietà nella vita.
L’alleanza non
è un impegno preso una volta per tutte, ma richiede una fedeltà sempre
rinnovata. Ai profeti toccherà il compito di sentinelle, che richiamano le
violazioni della volontà di Dio e ricordino gli obblighi di solidarietà
derivanti dalla legge. Essi aiuteranno il popolo a leggere anche i castighi,
come la distruzione di Gerusalemme e l’esilio, quali segni dell’amore di Dio e
pressanti inviti alla conversione da parte di un Padre misericordioso e sempre
pronto al perdono. Saranno ancora i profeti a tenere viva nel popolo l’attesa
del Messia, portatore di gioia e di pace a tutte le nazioni.
3. L’incarnazione
Dio, nella
pienezza dei tempi, per stabilire la nuova alleanza manda lo stesso suo Figlio,
che assume la natura umana e si inserisce così nella condizione storica
dell’uomo. L’incarnazione è il segno più
evidente della solidarietà di Dio verso l’uomo. Perché uomo-Dio, Cristo è
il mediatore della nuova ed eterna alleanza. Durante l’ultima cena Gesù, dopo
aver distribuito il pane, prende il calice del vino, lo benedice e afferma:
“questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti” (Mc
14,24). Non è più il sangue dei capri e dei tori, ma il sangue stesso di Gesù
(Eb 9,12) versato per la purificazione e il perdono dei peccati, per la
giustificazione e la liberazione dell’umanità. Il sangue di Cristo non viene
sparso sull’altare, ma, con il corpo, viene offerto in nutrimento per esprimere
l’alleanza della comunità con Dio e la comunione dei fratelli tra loro.
L’incarnazione
manifesta la solidarietà di Dio per l’uomo perché il Figlio ne condivide natura
e condizione. Cristo Gesù, infatti, “pur essendo di natura divina, non
considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso
assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in
forma umana umiliò se stesso facendosi obbediente fino ala morte e alla morte
di croce” (Fil 2,6-8).
Nella Parola
che si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14), l’uomo può
contemplare il volto di Dio e sperimentare il suo amore. Dio non parla più
attraverso intermediari, ma per mezzo del Figlio che, nascendo dalla vergine
Maria, diventa pienamente solidale con l’uomo. E’ verso la pienezza di vita che
verrà donata nel Regno che l’umanità è incamminata, quando si realizzerà “il
disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle
della terra” (Ef 1,10).
Ma se Cristo
nella sua divinità ci rivela il volto di Dio, con la sua umanità ci presenta
anche l’uomo nuovo, che “svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua
altissima vocazione. Egli è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di
Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del
peccato… Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito i8n certo modo a ogni
uomo (GS 22: EV 1/1385-1386).
Nell’incarnazione
Gesù non si è solo “abbassato” alla condizione dell’uomo, ma lo ha anche
innalzato fino a divinizzarlo: “solo perché il Figlio di Dio è diventato
veramente uomo, l’uomo può, in lui e attraverso di lui, divenire realmente
figlio di Dio” (NMI 23).
Cristo ha
manifestato il volto di un Dio pienamente coinvolto nelle vicende umane: è un
Dio che si fa carne, pone la sua tenda in mezzo a noi, entra in relazione con
l’uomo, parla, ascolta, stimola al dialogo, si dona totalmente. Con
l’incarnazione Cristo ha assunto la storia umana per redimerla e illuminarla
con l’amore e la solidarietà di Dio.
4. La redenzione
L’incarnazione
e la redenzione scaturiscono dallo slancio di solidarietà di Cristo. Il Dio
biblico è un Dio che, oltre a impegnarsi nel patto di alleanza, redime l’uomo e il suo popolo in forza del
suo amore solidale.
La Bibbia, come per descrivere
l’alleanza con Dio ha presentato i modelli di alleanza fra i popoli, così per
descrivere la redenzione fa riferimento ai rapporto che esistevano fra i membri
della famiglia, del clan e della tribù.
La solidarietà
di Dio viene espressa con la categoria del “go’el”,
il parente prossimo che il diritto-dovere di intervenire per liberare e
riscattare il parente caduto in schiavitù, il suo campo e i suoi beni (Lv
25,27). Il titolo dato a Dio di redentore (go’el), con il compito cioè di
redimere e riscattare, risponde a questa prospettiva di solidarietà liberatrice e salvifica.
Il salmo 72 vede nel re ideale il “go’el”
capace di liberare gli oppressi e riscattarli dalla violenza e dal sopruso:
“Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, avrà pietà
del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri. Li riscatterà dalla
violenza e dal sopruso, sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue” (12-14).
Il fondamento
dell’istituzione del “go’el” è la solidarietà: la redenzione implica
innanzitutto solidarietà. Dio non è legato a Israele per motivi di sangue o di
razza, ma è suo redentore (Is 41,14) perché se lo è scelto liberamente come suo
popolo con l’alleanza.
La nuova
alleanza, come l’antica, è stabilita con il sangue; non di capri o di vitelli,
ma dello stesso Figlio di Dio: “il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per
essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”
(Mc 10,45).
L’autore e il
protagonista della redenzione è il Padre; Cristo ne è l’esecutore e il
mediatore: “Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli
uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1Tm
2,5).
L’uomo vive in
stato di schiavitù: idolatria, ingiustizia, peccato, morte. La situazione di
schiavitù non è degna dell’uomo, ma egli da solo non può riacquistare la
libertà.
Allora
interviene il Padre in Cristo, divenuto con l’incarnazione fratello di ogni
uomo, riscatta l’umanità dalla schiavitù e si fa “vendicatore di sangue”
(go’el) uccidendo la stessa morte.
In Cristo, che
ama l’uomo e per lui dà la sua vita (Gal 2,20), si rivela pienamente la solidarietà del Padre: “… Gesù Cristo ha
dato se stesso per i nostri peccati, per stapparci da questo mondo perverso,
secondo la volontà di Dio e Padre nostro” (Gal 1,4).
Figlio di Dio
e fratello degli uomini, Cristo è il mediatore perfetto, un sommo sacerdote misericordioso
che vive una vera solidarietà con l’uomo perché conosce e condivide la stessa
condizione umana. Con la sua incarnazione e morte Cristo realizza ciò che non
era mai stato possibile ottenere con gli antichi sacrifici, unire gli uomini
fra loro e con Dio. Il discepolo di Cristo che vuole essere associato alla sua
opera di redenzione deve percorrere la stessa strada di solidarietà umana.
Nel “libro
della consolazione” attribuito al Deuteroisaia (Is 40-55), il profeta, che
esercitò il proprio ministero in mezzo alla comunità dei deportati a Babilonia,
vivendo in piena solidarietà con i suoi fratelli d’esilio e condividendone
stanchezza e sfiducia, descrive la figura del “servo del Signore” che sopporta
pazientemente persecuzioni e dolori.
Non soffre per
le proprie colpe, ma per i peccati di tutti. La disponibilità alla donazione di
sé è piena nel Servo, che accetta il suo compito di vittima espiatrice senza
lamentarsi né protestare.
E’ facile
vedere il collegamento fra la figura del Servo e quella del Figlio:
“La croce è diventata
la suprema cattedra per la rivelazione della sua nascosta e imprevedibile
identità: il volto dell’amore che si dona e che salva l’uomo condividendone in
tutto la condizione, escluso il peccato. La Chiesa non lo dovrà mai dimenticare: sarà questa
la sua strada a servizio dell’amore della rivelazione di Dio agli uomini” (CEI,
Orientamenti pastorali per il primo
decennio del 2000. Comunicare il vangelo in un mondo che cambia
(29.06.2001), n. 14).
5. La liberazione
La liberazione è un modo attraverso il quale Dio
realizza la sua opera di redenzione tanto che nella Bibbia, a volte, i due
termini sono usati con lo stesso significato. Il Dio che libera, porta fuori
dalla schiavitù e dall’esilio e conduce in una terra di libertà, è un Dio redentore e solidale.
La liberazione è opera della potenza di Dio che
riscatta il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto (Dt 15,15). Il popolo
ebraico viveva in Egitto da quattrocentotrenta anni (Es 12,40), ma oramai le
condizioni di vita e di lavoro erano diventate insopportabili: lavori forzati,
oppressione, matrattamenti, uccisione dei figli maschi (Es 1,8-22). Dalla
schiavitù gli israeliti rivolgono a Dio i loro lamenti e le loro grida di
sofferenza. E il Signore non rimane insensibile:
“Ho osservato la
miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi
sorveglianti, conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla
mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e
spazioso, dove scorre latte e miele… Ora dunque il grido degli israeliti è
arrivato fino a me e io stesso ho visto l’oppressione con cui gli Egiziani li
tormentano” (Es 3,7-9).
E’ in nome del suo amore gratuito che Dio interviene
nella storia del suo popolo: “Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò
della sua alleanza con Abramo e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli
israeliti e se ne prese pensiero” (Es 2,24-25). E’ un Dio vivo, attento a
quello che capita agli uomini: ascolta le grida di lamento, vede l’ingiustizia
e l’oppressione, ricorda l’alleanza fatta con i patriarchi e decide di
intervenire (Es 3,7-12). E’ un Dio pronto a operare la redenzione a favore
dell’uomo e del suo popolo.
Dio si impegna direttamente per vincere il faraone e
con questa lotta di liberazione rivela il suo amore per Israele. Dio si serve
degli uomini per portare a termine le sue imprese di salvezza; ma è lui che
agisce e nessuno può mai dire: “E’ la mia mano che mi ha salvato” (Gdc 7,2).
La terra promessa sarà dono di Dio, un Dio fedele e
sempre presente nella vita del suo popolo. Avverrà così anche sette secoli
dopo, al tempo dell’esilio. I profeti hanno aiutato il popolo a leggere con
occhi di fede il drammatico periodo dell’esilio. Esso è stato presentato come
il castigo di Dio per i peccati dei responsabili politici e religiosi, che
avevano cercato le alleanze con i potenti anziché affidarsi all’alleanza
divina; per l’egoismo dei ricchi, che avevano fatto violenza e frodato i poveri
calpestando l’invito alla fraternità che veniva dalla legge di Mosè; per
l’idolatria e l’immoralità di tutto il popolo che aveva ridotto Gerusalemme a
una città corrotta.
I profeti portarono anche parole di conforto e di
speranza ai deportati: la durezza della pena era espressione della gravità
della colpa, ma anche dell’amore di un Dio geloso. La speranza degli esiliati
ebbe compimento nel 538 a.C.
con la promulgazione dell’editto di Ciro: la strada del ritorno ormai era
aperta. Ancora una volta Dio era stato misericordioso con il suo popolo.
Ma la liberazione che supera tutte le altre è quella
attuata con la risurrezione: Cristo
vincendo la morte ha liberato l’uomo dall’ultimo ostacolo, insuperabile con le
sole sue forze. La risurrezione è il fondamento della fede e della speranza, ma
è anche la conferma che la strada dell’amore totale e del dono di sé porta alla
pienezza della vita. La solidarietà e la capacità di perdono permettono di fare
esperienza della liberazione dall’egoismo e dall’odio e testimoniano la fede
nella risurrezione. I gesti e le scelte di solidarietà e di condivisione fanno
arrivare fino a noi un raggio di vita eterna: solo l’amore libera dalla paura
della morte
6. La fede in Gesù e l’umanesimo solidale
nel Magistero sociale
La fede in
Gesù Cristo permette una corretta comprensione dello sviluppo sociale, nel
contesto di una umanesimo integrale e
solidale. A questo scopo risulta assai utile il contributo di riflessione
teologica offerto dal Magistero sociale:
“La fede in Cristo Redentore, mentre
illumina dal di dentro la natura dello sviluppo, guida anche nel compito della
collaborazione. Nella lettera di san Paolo ai Colossesi leggiamo che Cristo è
“il primogenito di tutta la creazione” e che “tutte le cose sono state create
per mezzo di lui ed in vista di lui” (1,15-16). Infatti, ogni cosa “ha
consistenza in lui”, perché “piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza
e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose (Ibid. 1,20). In questo piano divino, che comincia dall’eternità in
Cristo, “immagine” perfetta del Padre, e che culmina in lui, “primogenito di
coloro che risuscitano dai morti” (Ibid. 1,15-18), s’inserisce la nostra
storia, segnata dal nostro sforzo personale e collettivo di elevare la
condizione umana, superare gli ostacoli sempre risorgenti lungo il nostro
cammino, disponendoci così a partecipare alla pienezza che “risiede nel
Signore” e che egli comunica “al suo corpo che è la Chiesa” (Ibid., 1,18), mentre il peccato,sempre ci insidia e compromette le nostre
realizzazioni umane è vinto e riscattata dalla “riconciliazione operata da
Cristo (cfr Col. 1,20)” (SRS, 31: AAS 80(1988)554-555.
Cristo,
donando il suo Spirito e cambiando i cuori, viene ad instaurare il “Regno di
Dio”, così da rendere possibile una nuova convivenza nella giustizia, nella
fraternità, nella solidarietà e nella condivisione. Il Regno inaugurato da
Cristo perfeziona la bontà originaria del creato e dell’attività umana,
compromessa dal peccato. Liberato dal male e reintrodotto nella comunione con
Dio, ogni uomo può continuare l’opera di Gesù, con l’aiuto del suo Spirito:
rendere giustizia ai poveri, affrancare gli oppressi, consolare gli affitti,
ricercare attivamente un nuovo ordine sociale, in cui si offrano adeguate
soluzioni alla povertà materiale e vengano arginate più efficacemente le forze che
ostacolano i tentativi dei più deboli di riscattarsi da una condizione di
miseria e di schiavitù. Quando ciò accade, il Regno di Dio si fa già presente
su questa terra, pur non appartenendole. In esso troveranno finalmente
compimento le promesse dei Profeti.
Per la
preghiera personale
Salmo 72: Dio ascolta il grido del povero e
lo libera da ogni suo male
E’ un salmo
dedicato a Salomone, re giusto e pacifico, ricco e glorioso. Intende fare,
quindi riferimento al re ideale dell’avvenire. La tradizione giudaica e
cristiana vi ha visto il ritratto anticipato del re messianico predetto da
Isaia (9,5).
Intende
mettere in luce che Dio non abbandona l’uomo a se stesso. Attraverso le
ripetute alleanze, Dio offre il suo aiuto in un atteggiamento di solidarietà disinteressata
e con la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e dalla prigionia dell’esilio
si mostra al popolo ebraico come il suo “go’el”,
cioè come suo Redentore. La redenzione sarà totale con l’incarnazione e la
morte in croce del Figlio.
Dio, dà al re il tuo
giudizio,
al figlio del re la tua giustizia;
regga con giustizia il tuo popolo
e i tuoi poveri con rettitudine.
Le montagne portino pace al popolo
e le colline giustizia.
Ai miseri del suo popolo renderà giustizia,
salverà i figli dei poveri
e abbatterà l'oppressore.
Il suo regno durerà quanto il sole,
quanto la luna, per tutti i secoli.
Scenderà come pioggia sull'erba,
come acqua che irrora la terra.
Nei suoi giorni fiorirà la giustizia
e abbonderà la pace,
finché non si spenga la luna.
E dominerà da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
A lui si
piegheranno gli abitanti del deserto,
lambiranno la polvere i suoi nemici.
Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte,
i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi.
A lui tutti i re si prostreranno,
lo serviranno tutte le nazioni.
Egli libererà il povero che grida
e il misero che non trova aiuto,
avrà pietà del debole e del povero
e salverà la vita dei suoi miseri.
Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso,
sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue.
Vivrà e gli sarà dato oro di Arabia;
si pregherà per lui ogni giorno,
sarà benedetto per sempre.
Abbonderà il frumento nel paese,
ondeggerà sulle cime dei monti;
il suo frutto fiorirà come il Libano,
la sua messe come l'erba della terra.
Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole persista il suo nome.
In lui saranno benedette
tutte le stirpi della terra
e tutti i popoli lo diranno beato.
Benedetto il Signore, Dio di Israele,
egli solo compie prodigi.
E benedetto il suo nome glorioso per sempre,
della sua gloria sia piena tutta la terra.
Amen, amen.
Per la vita:
Quanto la contemplazione dell’amore paterno, solidale di Dio
illumina ed informa il mio amore concreto verso chi mi sta attorno, soprattutto
se povero ed indifeso?