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Terza linea di azione

 
Mantenere viva la spiritualità carismatica dei membri della FdM con la preghiera, la formazione personale e professionale e l’apostolato.

 

Dar inizio ad una riflessione su temi come la spiritualità, la preghiera, la formazione e l’apostolato… significa correre il rischio di sgranare una serie interminabile di parole e di ripetere cose ovvie, senza dar vita a nessun approfondimento. Non so se sarò capace di sfuggire a questa trappola… ne avrei però tutte le intenzioni…

Penso che un brano del Vangelo di Luca, che ci presenta “l’agenda” di una giornata di Gesù, potrà esserci utile come punto di partenza.

12In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. 13Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: 14Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, 15Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; 16Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.

17Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, 18che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. 19Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.

21Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete.

22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo.

23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

[Lc 6, 12-23]

 

Un Gesù che si ritira a pregare e vi passa tutta la notte da solo con il Padre…

La mattina chiama i suoi discepoli e ne sceglie dodici, cui dà il nome di apostoli. Li chiama uno a uno, personalmente, per nome, per costituire la sua comunità, perché siano suoi amici.

L’evangelista Marco, riferendo lo stesso episodio, ci dice che li chiamò perché stessero con lui e per mandarli a predicare.

Queste son le dimensioni fondamentali della comunità apostolica: condividere l’amicizia e la vita stesso di Gesù ed essere mandati a predicare, ad annunciare la Buona Notizia del Regno. Dirà anche che, per realizzare questa missione, verrà loro dato il potere di guarire e di cacciare il male dall’umanità.

Quindi, insieme alla sua comunità, Gesù scende dal monte verso la pianura e qui incontra la folla: gente venuta da ogni dove, giudei e pagani, a simboleggiare già la universalità del kerigma evangelico. Un folla che si era riunita per ascoltarlo - ascoltare la sua parola, ascoltare “la Parola” e lasciarsi istruire da essa - e per essere guarita - egli li guariva dalle malattie con la forza che sgorgava dal suo intimo e li liberava dal potere del male.

Perché questo testo? Perché una vita “cristiana ” è una vita nello “stile di Gesù” e perché, guardando ad una giornata di Gesù, in cui vediamo realizzata in pienezza l’auspicata armonia tra azione e contemplazione, tra servizio, annuncio e preghiera, possiamo intuire  come dovrebbe essere una nostra giornata, se davvero cerchiamo di essere “cristiani”, cioè presenza di Cristo oggi nel nostro mondo. Perché come il Vangelo di Luca ci mostra costantemente Gesù che è guidato dallo Spirito Santo (Lc 3,22; 4,1.14.18), così il cristiano è uno che si lascia guidare dallo Spirito di Gesù. Questa è la spiritualità del cristiano: vivere nello Spirito, lasciarsi condurre dallo Spirito, seguendo le orme di Gesù.

Ci saranno molte altre definizioni di “spiritualità” e, certamente, molto pertinenti al loro contesto. Ma non rientra nel nostro scopo analizzarle… Ci soffermiamo su questo tipo di spiritualità cristiana che parla della forza interiore che permea la persona in tutte le sue dimensioni, che è dono dello Spirito e amore appassionato nel cuore degli uomini.

Vivendo nello Spirito riceviamo il dono del “carisma”, che è un modo particolare di seguire Gesù con la forza dello Spirito. È un “dono“ che infiamma il nostro amore appassionato. Fuoco che brucia e spinge, come il fuoco della parola di Dio che il profeta Geremia sentiva ardere nel suo intimo [Ger 20,9]. È lo stesso “dono-passione” che infiammava il cuore di Leonardo Murialdo e lo spingeva a scelte di per sé estranee al suo modo di essere: lasciare il collegio, mentre aveva la concreta possibilità di essere pubblicamente riconosciuto come uno dei migliori allievi, con lo scopo di ritrovare la pace interiore attraverso la riconciliazione con Dio e con sé; abbandonare l’idea di essere ingegnere o di conseguire altri traguardi accademici, per seguire la chiamata di Dio al sacerdozio; lasciar perdere la possibilità di essere un teologo famoso o di percorrere una brillante carriera ecclesiastica, per dedicarsi ai giovani più poveri nella periferia; rinunciare alla libertà di movimento che gli permetteva la sua situazione sociale ed ecclesiale, per rinchiudersi, fino al suo ultimo giorno di vita, come rettore del Collegio Artigianelli di Torino; lasciar da parte ogni sua preferenza ed ogni paura per fondare una congregazione e farsi religioso, giocandosi fino in fondo.

La “spiritualità” è un “dono” che incarnandosi nella nostra realtà, nella nostra vita, diventa passione che “non ci lascia mai tranquilli”, non ci permette di “imborghesirci”.

Il carisma è il dono di Dio per il servizio della Chiesa: se lo facciamo nostro, si trasforma in questa passione che penetra e muove tutto il nostro essere.

Come ogni carisma, si tratta di un modo particolare di configurare gli elementi centrali della spiritualità cristiana, realizzando una sintesi specifica e chiaramente definita, come una costellazione celeste, che è diversa da tutte le altre, ma è sempre costituita da stelle.

Il dono del carisma, anche se uno lo scopre gradualmente nella sua esperienza personale, proviene insieme con ciascuno di noi da prima della creazione del mondo, dal progetto stesso eterno di Dio. Da sempre Dio ha pensato a noi e ci ha amato ed il carisma faceva parte della nostra identità, del nostro nome!

Mai ha potuto esistere nella mente di Dio un uomo che non fosse pensato in Cristo - già a partire da Adamo ed Eva - e che non gli fosse dato un carisma per poter seguire Gesù nella sua storia in una forma specifica, personale!!!

Nella Chiesa i diversi carismi hanno forme, stili e caratteristiche che li rendono molto diversi gli uni dagli altri; unico però è il loro senso: essere discepoli di Gesù. Quando il carisma/dono è accolto nella nostra vita, con tutta la forza dell’amore, diventa in noi “spiritualità”. Spiritualità che è potenza di vita… vita nello Spirito Santo. È forza interiore che ci anima, che ci spinge a crescere ed a maturare come persone e ci costringe a donarci nell’amore. Per questo, letta da questo punto di vista, la spiritualità è il tesoro interiore che dobbiamo custodire e accrescere.

Noi, FdM, che abbiamo ricevuto il dono del carisma del Murialdo e lo abbiamo accolto nella nostra vita, vivendolo come una passione che investe tutte le dimensioni della nostra vita, abbiamo il diritto /dovere di coltivare tale dono, moltiplicarlo e far sì che dia frutti abbondanti nella Chiesa, al servizio del mondo. Solo così, seguendo appassionatamente lo stile del Murialdo, incontreremo la felicità.

Ma… come fare per custodire ed accrescere questo dono? Come farlo maturare in noi? La tradizione spirituale della Chiesa e, specialmente, questa terza linea di azione della FdM ci parla di tre dimensioni o strumenti fondamentali da tener presente: la preghiera, la formazione - personale e professionale- e l’apostolato. Soffermiamoci un momento su ciascuno.

La preghiera

Il “parlare di amicizia con chi sappiamo che ci ama” nasce per noi dall’esperienza seducente e trasformante dell’amore di Dio.

Dice Giovanni nella sua prima lettera: 16E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.” [1Gv 4,16] La preghiera, personale e comunitaria, sgorga dall’amore, dall’innamo­ramento. Per questo è assurdo chiedersi se c’è da andare a messa ogni domenica…. se c’è da pregare ogni giorno… Se c’è amore sincero, l’incontro con la  persona amata è una necessità incontenibile. Così, se non c’è questa relazione d’amore, non c’è neanche la preghiera. Si potrà dire molte belle preghiere… però saranno solo chiacchiere vuote…

Per chi ha fatto esperienza dell’amore di Dio, si è lasciato amare da Lui e Lo ama, pregare è vivere…! e la mancanza di preghiera è un suicidio…! perché la preghiera è il respiro dell’anima.

Ognuno deve scoprire il proprio modo di preghiera, secondo la sua sensibilità spirituale e la possibilità concreta di viverla; deve pregare da solo ed in comunità, perché la fede, come tutte le dimensioni tipicamente umane della persona, coinvolge il nostro essere nella sua totalità, nella sua realtà individuale e comunitaria. Quando si dà fuoco ad un falò, ogni legno prende fuoco ed anche se si può tirarne fuori uno ed usarlo come torcia per conto suo, tuttavia, probabilmente questo legno, isolato, si spegnerà molto più rapidamente di quelli che si trovano dentro il falò, dove mettono in comune il fuoco e si aumentano reciprocamente il calore.

Così la preghiera mantiene vivace il fuoco della nostra fede e ci accompagna con la sua luce e con il calore dovunque andiamo; a sua volta però ha bisogno della comunità, perché qui si alimenta, si moltiplica e si pone al servizio, condividendo il proprio fuoco con gli altri.

Leggere, meditare, contemplare e condividere la Parola, a livello personale o comunitariamente, da solo con tuo Padre che vede nel segreto o condividendo momenti di adorazione, lasciandoti incantare dall’amore del Padre rivelato in Gesù, nella sua incarnazione e nascita a Betlemme, nel suo cuore misericordioso e tenero, trafitto dall’amore per noi sulla croce e, soprattutto - come diceva Murialdo, parlando dei tre miracoli dell’amore di Dio: il presepe, la croce e l’Eucarestia - nel Santissimo Sacramento, dove Gesù, per amore, si fa nostro schiavo e ci aspetta ogni giorno… E vivere l’Eucarestia come la festa della vita, gioiosi nella celebrazione della gioia pasquale e con la comprensione di vivere ogni volta il miracolo più grande che si possa immaginare. Il Dio della vita e Signore dell’universo che per amore si annienta fino a farsi pane perché, nutrendoci di Lui, veniamo trasformati in Lui. Partecipando ad ogni messa come se fosse la prima, l’ultima, l’unica…, con la stessa partecipazione con cui la viveva il Murialdo.

Il nostro carisma unisce preghiera e servizio. Don Reffo, il primo biografo di s. Leonardo, diceva che il Murialdo, che lavorava moltissimo ogni giorno, era un uomo di preghiera e di azione, ma più di preghiera che di azione… E quando i mille impegni della giornata non gli permettevano di dedicare il tempo alla preghiera, passava molte ore della notte in dialogo con Dio.

Seguendo il suo esempio, anche noi dobbiamo trovare l’equilibrio tra preghiera e servizio, essere “contemplativi nell’attività”. Si tratta di vivere il nostro contatto con Dio in maniera tale che tutto quello che facciamo si trasformi in preghiera. Ma perché questo ideale si concretizzi, è necessario che prendiamo coscienza che non è possibile essere “contemplativi nell’attività” se prima non siamo “contemplativi nella contemplazione”: cioè se non dedichiamo molto tempo ogni giorno a restare da soli con il Signore…

Quanto? Quanto lo amiamo!

Apostolato come servizio

Il nostro apostolato - cioè il servizio che il Signore ci ha affidato nella Chiesa per la costruzione del Regno di Dio, è l’educazione cristiana dei giovani più poveri e più bisognosi: questo è il nostro “nome” [= missione] nella Chiesa, la nostra identità. Nel corpo mistico della Chiesa ogni carisma offre il suo contributo specifico per il bene di tutto il corpo. Noi, in conseguenza del carisma che ci ha donato in san Leonardo, educhiamo evangelizzando ed evangelizziamo educando.

È l’amore per Gesù Cristo che diventa passione per l’umanità e, concretamente per noi, per questa porzione dell’umanità che sono gli ultimi, “i più nostri”. Il nostro sguardo scopre ed ama i giovani poveri proprio fissando gli occhi di Gesù e, lasciandosi guardare ed amare da Lui, si lascia guardare ed accogliere da loro che sono insieme i più bisognosi ed i più ricchi della sua presenza.

Come membri della FdM dobbiamo sempre stare dalla loro parte, scegliendo costantemente il “più…”. Tra i giovani poveri, da scegliere - cioè quelli che non possono non essere accolti direttamente o indirettamente da noi - sono i “più poveri”, i “più bisognosi”. Tutte le nostre opere e comunità devono mettersi in cammino su questa direttiva, reinterrogandosi sulle priorità che privilegiamo e, se già stiamo camminando lungo questa linea, allungando il passo, migliorando la qualità del nostro servizio agli ultimi e insistendo sulla formazione nella giustizia sociale, nella missione e nella solidarietà.

Una passione che significa “stare con i giovani” - nella tradizione giuseppina questo era reso plasticamente dalla figura del “prete da cortile”! - vivendo con essi come amici fratelli e padri, secondo lo stile del Murialdo. Si tratta di non subire tranquillamente di essere preso dentro a ruoli burocratici ed amministrativi, ma, spinti da questa passio ne per loro, accompagnarli animandoli ed educarli attraverso una presenza che trasmette una sapienza di vita. Per un laico, una muri aldina od un giuseppino la passione educativa per i giovani più poveri non va mai in pensione. Purtroppo si notano scelte e situazioni che sembrano giudicare questa voglia di stare sempre con loro da animatori ed educatori come una “malattia di giovani… che guarisce con gli anni!”.

Il nostro stare in mezzo ai giovani ha un marchio di identità che ci caratterizza: la “pedagogia dell’amore”; uno stile ci servizio educativo segnato dall’accoglienza, la presenza, l’ascolto e l’affetto. [cfr. Documenti finali del II Seminario pedagogico internazionale della FdM, Lasciarsi amare per evangelizzare”].

Tale “pedagogia dell’amore” ha come sua specificità l’”educazione del cuore”: cuore nel senso tipicamente biblico, realtà intima della coscienza e della libertà dell’uomo e luogo dell’incontro con Dio e non semplicemente come sede delle emozioni e dei sentimenti.

Il servizio dell’apostolato non è per noi un “optional”: facendo eco a san Paolo, potremmo dire: Guai a me se non annuncio il vangelo!”. Se uno non mette in gioco tutto quanto possiede, se non lo mette a disposizione, va a finire che perde anche il poco che ha (cfr. Mt 25, 14-30: la parabola dei talenti). Inoltre abbiamo la fortuna… e la responsabilità di conoscere già la domanda che ci verrà fatta al momento dell’esame finale della nostra vita: “Hai amato?” È l’unico punto dell’esame… non sarà possibile tirar fuori la scusa… “mi sono sbagliato, mi sono preparato su un altro punto, su un altro capitolo… non ho avuto tempo per questo argomento…!”

Nella Palestina c’è un fattore geografico che in se stesso è una parabola. Da nord a sud si prolunga il fiume Giordano, attraverso le terre desertiche della regione. In due punti esso si allarga, formando due realtà completamente diverse: Al nord c’è un primo lago, detto di Galilea o di Cafarnao: uno specchio d’acqua sulle cui rive è tutto un fiorire di vita lussureggiante; a circa 10 km a sud lo stesso fiume forma il Mar Morto: come dice il nome qui non c’è vita, tutto è morte sotto il suo sale… Uno si chiede perché il medesimo fiume, la stessa acqua produca due effetti opposti… Ci saranno molte risposte scientifiche; ma io penso che uno dei motivi sia da trovare nel fatto che nel lago di Galilea entra ed esce la stessa quantità di acqua, mentre nel Mar Morto l’acqua vi entra solo e non ne esce niente. Rimane lì, fino ad evaporare aumentando così la salinità e l’incapacità di produrre vita. Dio ci arricchisce dei suoi doni ed ogni giorno ci fa traboccare dei doni della sua grazia. Quando doniamo e ci impegniamo allo stesso modo, questa sorgente di vita si rinnova, si moltiplica in noi e ci dà la capacità di generare vita attorno a noi; quando invece non condividiamo l’acqua ricevuta, il nostro lago, pieno di acqua stagnante, diventa marcio… e prima o poi giunge a provocare la morte.

Se amare è dare la vita… l’egoismo è assassino e suicida!

La formazione

Non si può amare Dio ed il prossimo in forma vera e giusta se non abbiamo un giusto amore verso noi stessi. Già lo diceva l’AT, quando nella legge indicava: “ama il prossimo tuo, come te stesso” [Lv 19. 18], ricordando che chi non sa amarsi non sa nemmeno amare il prossimo.

L’amore, vissuto in verità, ci porta ad entrare in relazione con Dio Padre come dei figli, con il prossimo come fratelli e con noi e con il creato come signori. L’amore, che è una forza vitale, ci spinge a crescere ed a maturare: a passare dall’egocentrismo infantile al dono generoso della maturità. Ci dona la saggezza di capire che non si raggiunge la vera felicità nella ricerca ansiosa della propria realizzazione, ma nella gioia di dare e di darsi. Nessuno incontra la felicità quando la cerca direttamente, ma tutti testimoniano di essere felici quando amano e si impegnano con generosità.

Condividere la nostra ricchezza interiore… dare quello che c’è nella nostra mente e nel nostro cuore… una realtà possibile proporzionata all’abbondanza che abbiamo dentro. Non si può dare ciò che non si possiede. Da qui deriva la necessità, il diritto ed insieme il dovere/responsabilità di formarci. Formarci, in concreto, significa avere un obiettivo chiaro e ben determinato, una capacità di sforzo e di sacrificio. La nostra cultura moderna ha molto deprezzato il valore del sacrificio come mezzo di crescita, di formazione e cammino di maturazione. Sembrerebbe che oggi gli unici sacrifici che la società accetta senza considerarli cose vecchie e disumane siano le diete per tenere in forma (“formare”) il fisico o, al massimo, gli sforzi e le rinunce tesi ad ottenere un posto di lavoro migliore…

Purtroppo la mancanza di educazione al sacrifico provoca oggi nei nostri adolescenti e giovani tanta sofferenza e frustrazione già a partire dalle prime difficoltà della vita…

La formazione richiede volontà determinata. Come l’ascensione ad un’ alta cima esige sacrificio e lotta, ma la gioia di arrivare e di vedere da lassù gli immensi orizzonti che si aprono allo sguardo compensa mille volte lo sforzo impiegato, così è del cammino di formazione.

Un cammino che non si può esaurire nello studio della formazione iniziale, ma deve prolungarsi per tutta la vita e non solo nell’ambito professionale o culturale, ma anche nella dimensione spirituale e carismatico - cristiana.

La responsabilità di avere cura ed educare ogni ragazzo/giovane come se fosse Gesù, nello stele di san Giuseppe, richiede da parte nostra lo sforzo di coltivare la nostra vita per produrre frutti buoni ed abbondanti. Nessuno può collaborare all’educazione del cuore del giovane se non ha lui un cuore “educato”. Solo gli uomini liberi rendono liberi; solo chi ama con tutto se stesso educa ad amare.

È ciò che ci dice costantemente il Murialdo con la sua espressione “fare il bene e farlo bene!”: uno slogan che egli non solo ripeteva, ma che soprattutto viveva in prima persona, mantenendosi costantemente in formazione, leggendo, partecipando a congressi e corsi, viaggiando per conoscere le esperienze educative all’avanguardia ai suoi tempi.

 

Mi piace finire questa riflessione leggendo in questa ottica il testo di Mt 6, 3-6. 16-18:

3Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

[…] quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

[…]

quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, 18perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

Gesù ci esorta a vivere tutta la nostra vita con uno stile di amore/donazione, vivendo in umiltà: la nostra relazione con gli altri, rappresentata dall’elemosina - il nostro darci nel servizio e l’apostolato - con Dio nella preghiera e con noi stessi nel digiuno  - il nostro sforzo per formarci - …

In tale stile di vivere queste tre dimensioni che sintetizzano e abbracciano tutta la nostra vita ci sentiamo profondamente identificati come FdM, noi che siamo stati segnati dallo slogan che il Murialdo fece suo e diffuse: “Fare e tacere”.

Che san Leonardo Murialdo, questo mistico innamorato di Dio e dei giovani più poveri, ci contagi e ravvivi sempre più in noi questo fuoco di amore, per seguire Gesù e servirlo nei “più nostri”.

Alejandro Bazán c.s.j.

 

 


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