Le strutture delle opere siano al servizio degli ultimi, cercando di essere dinamiche, agili, semplici e flessibili; siano viste non come essenziali alle opere, ma funzionali al loro scopo: la promozione integrale dei ragazzi, adolescenti e giovani poveri e abbandonati. Se qualche opera non è più in sintonia con il carisma, si abbia il coraggio di chiuderla.
Strutture funzionali al servizio
Senza dubbio per prestare un servizio. qualunque ne sia la natura, è necessario predisporre un’ organizzazione ed una struttura che renda concretamente possibile il servizio stesso, benché il Signore Gesù ci dia l’esempio contrario: molte volte, per servire, basta togliersi il mantello, cingersi un asciugamano e lavare i piedi [servire] agli amici.
Già a partire da s. Leonardo Murialdo noi Giuseppini abbiamo cercato di costruire o incrementare strutture al servizio dei ragazzi, adolescenti e giovani poveri e abbandonati e più bisognosi cercando che queste fossero, più che grandi costruzioni, luoghi accoglienti: campi da gioco, cortili…: il luogo dove sono presenti dei ragazzi è già una struttura utile per il servizio dei più poveri, dei nostri.
Naturalmente le strutture sono necessarie, ma allo stesso tempo devono essere aperte, dinamiche, snelle, rispondenti alle esigenze. Sono esse a dover cambiare per adattarsi ai bisogni dei giovani e della società e non il contrario.
Il giovane deve trovare una struttura dove andare, dove stare, dove incontrare un ambiente confacente, in cui muoversi tranquillo, liberamente.
Anche san Leonardo ha dato vita a varie opere per i suoi ragazzi ed è stato pronto, una volta accortosi che non erano più una risposta adeguata ai loro problemi, a chiuderle o a ristrutturarle, senza remore sentimentali legate agli aspetti della tradizione, dei “muri” o, men che meno, economici.
Dovremmo anche tener presente la realizzazione di strutture imponenti, volute per i seminari o le scuole e che poi sono rimaste vuote perché non si sono saputi leggere i segni dei tempi.
È la situazione oggi della congregazione e della FdM: in un attento esame, riconoscente verso la memoria di tanti giuseppini e collaboratori laici che hanno dedicato la loro vita a realizzare e sostenere strutture di servizio, opere carismatiche, è necessario valutare l’effettiva utilità delle strutture esistenti e la loro coerenza con il carisma (servizio) e con le esigenze dei destinatari.
La struttura è un mezzo, non il fine: viene creata per qualcosa di più importante; scopo della fondazione della congregazione nel 19 marzo 1873 non è stato il costruire edifici piccoli o grandi…
La struttura è funzionale: è in funzione di altro; nel nostro caso del servizio e non di qualunque servizio, ma per la promozione integrale dei ragazzi attraverso la presenza, l’educazione fatta di relazione… A questo scopo gli edifici sono utili, ma come mezzo attraverso cui le persone, con le loro qualità, si possano rendere presenti, vicine.
La Provvidenza, che è più sapiente di noi, più generosa, ci ha dato molte e grandi strutture per il servizio degli ultimi: è nostro compito domandarci come abbiamo usato questi doni della Provvidenza, questi spazi di azione pastorale, queste opere. Sono luoghi in cui vanno i ragazzi poveri, dove essi si sentono accolti, a casa?
Strutture dinamiche, agili, semplici e flessibili.
La struttura posta al servizio dei più bisognosi, degli ultimi deve mostrarsi accogliente nei loro confronti, dando loro la possibilità di identificarsi con le pareti, con il luogo, con lo stile che è espressione di umiltà e carità, quasi che le pareti stesse esprimano l’amore misericordioso di Dio ed ogni angolo un aspetto dell’educazione del cuore.
La settima linea di azione ci chiede che la struttura sia dinamica, cioè che abbia una “dynamis”, una forza che dia anima, la forza dello spirito, per cui si possa respirare un’aria nuova, pura, fresca. Non si tratta di farle nuove o grandiose, superaccessoriate o moderne: molte volte questo tipo di opere fanno soggezione ai ragazzi, specialmente poveri.
La struttura giuseppina posta al servizio dei più bisognosi sarà dinamica quando in essa tutti i membri della F.d.M troveranno il loro spazio vitale, quando l’opera provocherà in chi vede uno stimolo che lo porti a impegnarsi per gli altri, facendo proprio lo stile di presenza tra i ragazzi, attraverso cui trasmettere per osmosi la forza per cambiare il disordine provocato dall’ingiustizia, dalla violenza e dalla povertà.
La settima linea di azione ci chiede che la struttura sia agile, adatta ad un servizio immediato, pronta ad accogliere con immediatezza chi ha bisogno; preparata, attenta alle necessità di chi le vive attorno.
Molti giovani non entrano nelle nostre opere perché non hanno incontrato nessuno che fosse disposto ad accoglierli, nessuno che li aspettasse. La struttura deve avere sempre, per così dire, le porte aperte, il cuore aperto.
La struttura giuseppina posta al servizio dei più bisognosi sarà agile quando in essa tutti i membri della F.d.M sono attenti a dare risposte strutturali ai bisogni sempre nuovi della gioventù, dei ragazzi, quando sappiamo muoverci rapidamente verso coloro che ci cercano, quando nelle nostre opere non si impedisce ai ragazzi di partecipare a causa di una burocrazia amministrativa che non si riveste di amore.
La settima linea di azione ci chiede che la struttura sia semplice, sia delicata, libera da ogni intervento che renda pesante l’ambiente; un’opera che nella delicatezza e nella semplicità della sua struttura riveli la bellezza delle cose, la bellezza del mondo creato da Dio.
La semplicità, inoltre, ci porta a non avere pregiudizi verso le persone che vengono a casa nostra, a realizzare spazi in cui si possa godere della libertà prima che delle cose: la casa di un povero è semplice perché non è ingolfata di cose; cose che molte volte non si possono usare.
La struttura giuseppina sarà semplice quando, avendo l’indispensabile, come una casa da poveri in cui molte volte manca anche il necessario, saprà rendersi utile, senza complicazioni.
La settima linea di azione ci chiede che la struttura sia flessibile: un’opera che sappia aprirsi perché possano entrare sempre più persone, che conosca come limiti solo quelli imposti dall’amore e dal servizio; un’opera che sappia cambiare, modificarsi con facilità, in risposta a ciò che chiedono i ragazzi; educare in un ambiente ampio e in quello stretto; un’opera che respira a pieni polmoni l’aria dei tempi nuovi. Una struttura che sappia anche perdonare e farsi carico degli sbagli che possono commettere i nostri ragazzi, quelli più indisciplinati, che vogliono attirare su di sé la nostra attenzione, perché vogliono che li guardiamo con simpatia, perché chiedono sempre di più da noi, che parliamo con loro, che stiamo ad ascoltarli.
Una struttura giuseppina posta al servizio dei più bisognosi sarà flessibile quando, allargando o restringendo gli spazi, tutti vi si possano trovare a loro agio, impegnati personalmente nel rispondere ai momenti educativi.
L’essenziale in un’opera è la sua funzionalità; l’obiettivo di una struttura è porsi al servizio di qualcosa di più grande, essere uno strumento per il servizio.
Ogni casa, ogni spazio, ogni parrocchia, oratorio, patronato, centro sociale, scuola e collegio deve mettersi in questione e chiedersi se presenta tali caratteristiche, se realmente è funzionale allo scopo che il carisma del Murialdo si è prefissato e continua a proporre a noi, FdM del XXI secolo.
Nelle nostre case i giovani imparano, giocano, pregano? Trovano lo spazio e lo stimolo per essere buoni cristiani e onesti cittadini? Quelli timidi, insicuri, i più bisognosi ed i ribelli trovano le porte aperte?
Opere non significative
La settima linea di azione parla di opere significative: opere, case, strutture che siano un segno eloquente di cosa facciamo, del nostro carisma, del nostro modo di pensare ed agire. Opere che siano coerenti conil pensiero del Fondatore; che abbiano un senso, che non può essere che la promozione integrale dei ragazzi poveri ed abbandonati.
A conclusione, come motivo di speranza, come invito alla conversione (= cambiamento di rotta) ci viene detto che, se le opere non hanno o hanno perso il loro senso, dobbiamo avere il coraggio di chiuderle, aldilà del dolore dovuto al legame personale, riuscendo a sradicarci dagli spazi, dal luogo, per dar vita a nuovi cammini che rispondano al carisma ed alla nostra vocazione.
Se i poveri si spostano sempre più verso i margini della società, le periferie delle città; se hanno una vita nomade, sempre in movimento, sempre alla ricerca di uno spazio vitale, noi non possiamo restare fermi, ancorati ai soliti luoghi mentali, socio-economici o geografici: bisogna cambiare, muoversi; bisogna che ci diamo da fare con coraggio, camminiamo a fianco dei poveri, spalla a spalla per non svuotare il nostro carisma, per dare costantemente delle risposte che siano una testimonianza dell’amore di Dio, che è sempre in azione, sempre nuovo, sempre attento.
E se un’opera mantiene la sua validità, solo che il suo significato è un po’ appannato, bisogna avere il coraggio di cambiare alla radice le strutture, non tanto quelle fisiche, quanto quelle mentali, per porla al servizio degli ultimi, ringiovanirla alla luce del carisma, ottimizzando gli spazi, i servizi che può offrire, allargando gli orari e lavorando in risposta alle richieste dei ragazzi, creando così la possibilità che tutte le opere siano significative, che vivano intensamente il carisma, senza dimenticarlo, senza annacquarlo, cercando di essere coerenti con la vocazione a cui siamo stati chiamati, responsabili della missione che ci è stata affidata nella Chiesa.
Le strutture possono anche venir meno, invecchiare, passare di moda e non essere più significative; ma questo non ha importanza, perché ciò che non viene meno è il carisma che si fa concreto, vivo; il sogno del Fondatore che passa da una generazione all’altra.
p. Oscar Galeas