Continuando
queste riflessioni bibliche che mi sono state richieste per il Forum
Pastorale: La Famiglia del Murialdo al servizio degli ultimi, continuo nella
metodologia che ho indicato, volendo esplorare un’altra pericope in cui
emergesse, quasi in filigrana, l’attenzione di Dio verso gli ultimi. La mia
scelta, sempre determinata dall’entusiasmo e della passione personale, è caduta
su un altro passo del Vangelo di Luca: Lc 7,11-17.
11 In seguito [Gesù] si recò in una città chiamata Nain e
facevano la strada con lui i discepoli e grande folla.12 Quando fu vicino alla porta
della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di
madre vedova; e molta gente della città era con lei.13 Vedendola, il Signore ne ebbe
compassione e le disse: "Non piangere!".14 E accostatosi toccò la bara,
mentre i portatori si fermarono. Poi disse: "Giovinetto, dico a te,
alzati!".15 Il morto si
levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre.16 Tutti furono presi da timore e
glorificavano Dio dicendo: "Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha
visitato il suo popolo".17
La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione”.
E’ questo un
brano tipicamente Lucano (Sondergut),
che non ha perciò paralleli negli altri due Vangeli sinottici. Possiamo,
basandoci sull’analisi narrativa, sul tema e sui personaggi della trama,
articolare tale brano in tre parti: 2 versetti introduttivi (vv. 11-12), 3
versetti che raccontano l’agire di Gesù (vv. 13-15) ed infine altri 2 che
rendono conto della lode a Dio e del diffondersi della fama dell’accaduto e
della figura di Gesù (vv. 14-17). Intendo seguire nell’analisi, rispetto ad
altre metodologie più tradizionali, lo sviluppo narrativo.
All’inizio
troviamo la descrizione dei personaggi, modellata su un parallelismo evidente:
v. 11
Gesù si muove verso la città di
Nain
v. 12
Gesù si muove e giunge alla
porta della città e un morto è portato alla sepoltura
I discepoli viaggiano con lui
Una madre vedova
e una grande folla
una folla considerevole le
tiene compagnia
Vi è però una
diversità notevole: i due gruppi, numerosi, che si incrociano, hanno due
direzioni opposte; il primo è una comitiva in viaggio, pieno di vita, al seguito
di un maestro; il secondo è una processione di lutto, di morte; di più, il
corteo funebre ci lascia particolarmente sgomenti.
Già, perché è
morto un giovane – e la morte in tale età è sempre un fatto tragico -, per di
più figlio unico e sua madre era anche vedova: come a dire che piove sul
bagnato! In aggiunta la dimensione di questa tragedia è amplificata pure dal
fatto che l’unica ricchezza di una vedova – che non poteva più contare sul
marito, cosa grave soprattutto in una società patriarcale com’era quella di
allora – e l’unica sicurezza per il suo futuro e per la sua vecchiaia era
proprio quel figlio, unico. Ella quindi rimane senza protezione e senza
appoggio economico. Può essere, tale donna, ben ascritta tra gli ultimi, donna
provata nei sentimenti, negli affetti, nella sua condizione sociale ed
economica, nel suo futuro, nella speranza, nel senso della vita…
E’ singolare
come l’autore del Vangelo non ci dica nulla sui sentimenti delle varie persone.
Non sappiamo, ad esempio, se la madre pianga, gema, soffra; se i presenti si
profondano in lamenti, in consolazioni, oppure quali pensieri agitino le loro
menti... Ciò non certo perché se ne scordi, bensì per il fatto che, lasciando
tale vuoto, ottiene l’effetto di dar maggior risalto a ciò che è più
importante: i sentimenti di Gesù. Quindi tale silenzio nella narrazione è
voluto per manifestare la compassione e l’agire del Cristo.
Come nel brano
precedente (Lc 13,10-17, ma così anche in molti altri passi), l’iniziativa
appartiene a Gesù. Se egli avesse continuato la sua strada, senza fermarsi,
nessuna di queste persone avrebbe potuto conoscere la speranza e la gioia. Gesù quindi
vede la scena, se ne accorge e, passando, si ferma (ricordiamo la parabola del
buon Samaritano, ove questi è l’unico a fermarsi – Lc 10 -).
La trama
comincia qui, con il fatto che Gesù (v. 13) vede la scena del corteo funebre e
al suo sguardo segue la parola e l’azione. Il suo è un vedere diverso, uno
sguardo che non resta indifferente di fronte alla miseria, né che si ferma alla
compassione o ad una parola di semplice conforto o incoraggiamento, ma è la
visione che si fa carico della situazione, che motiva l’incontro, la relazione,
l’agire e che ricrea le condizioni di vita vera.
E’ lo stimolo
per ognuno di noi…
Inoltre il camminare
di Gesù è significativo. Egli si trova in viaggio - il suo viaggio (e ci
ricordiamo che da Lc 9,51 inizia il grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme) -
e sulla sua strada incrocia la strada del suo popolo, degli ultimi, che vuole
aiutare. Tali incontri diventano talmente frequenti che potremo considerarli
costitutivi del suo ministero, del suo agire, del suo cammino. Come a dire oggi
a noi - credenti in Cristo, che camminiamo sulla strada verso Dio - che la
nostra strada, la strada cioè della nostra vita, non può non incrociare gli
ultimi, pena essere su una strada solo nostra, una strada diversa da quella del
nostro Signore…
Lo sguardo di
Gesù non si rivolge al figlio defunto, ma alla donna: non è la morte che
provoca la sua compassione, ma la madre cha piange. Pertanto questa vedova
diventa significativa, nel contesto della narrazione, in quanto destinataria
dello sguardo e della parola di Gesù. E da ciò capiamo che la sofferenza della
madre è insopportabile per il Signore.
Questa brano
quindi ci presenta Gesù come un profeta, un Messia straordinariamente
interessato ed appassionato verso le persone più infelici, più misere, verso
gli ultimi, manifestando la misericordia di un Dio che si prende cura di
bisogni sia fisici che spirituali dell’uomo. Per esprimere la compassione
riferita a Gesù, Luca utilizza il verbo splagcni,zomai, che ha a che fare con le viscere (in
greco spla,gcna), considerate sede dei sentimenti intensi; egli utilizza
questo verbo altre due volte: nella parabola del buon Samaritano (Lc 10,33) ed
in quella del padre misericordioso (Lc 15,20).
Gesù poi si
accosta alla bara: egli non ha timore delle convenzioni sociali, non ha paura
di contrarre impurità rituale, avvicinandosi ad un cadavere; è ben più
importante promuovere la vita, dare attenzione alle persone e consolare una
madre in lutto che osservare una legge esteriore. Egli manifesta così la
priorità dell’uomo su ogni convenzione, su ogni comportamento socialmente
accettabile, su ogni regola di buona educazione, su ogni considerazione pubblica.
E per prima cosa si rivolge alla madre: “non piangere”.
Ora Gesù non
si ferma alla compassione; Egli ha anche il potere di cambiare gli eventi. Dice
al giovane di alzarsi. Il verbo greco utilizzato può alludere anche alla
risurrezione di Gesù, ma può essere visto per noi oggi come l’irrompere della
Parola, la Parola di Gesù, di Dio, che è potenza di resurrezione. Una Parola
quindi che può creare vita nuova in coloro ai quali viene rivolta.
Il versetto 15b ci dice: “Ed egli [Gesù] lo diede alla madre”. Con questo gesto il Signore ridona la loro
identità alla madre e al figlio: infatti la morte aveva spezzato questo
rapporto (il figlio non era più e la madre non poteva più esser tale senza il
figlio unico), ma Gesù lo ristabilisce. Ciò sottolinea due aspetti: da un lato
nuovamente la potenza della Parola, che opera anche questo; dall’altro il fatto
che l’agire di Dio è più potente anche della morte e che come restituisce il
figlio alla madre, così il Signore può restituirci una nuova esistenza nella
fede.
E’ notevole, anche sulla scorta di quest’ultima
frase, il parallelismo con il racconto della guarigione da parte del profeta
Elia del figlio della vedova di Zarepta di Sidone (1Re 17,17-24). Ci troviamo
di fronte ad una chiara rilettura tipologica. Ma poiché questo sconfina, per
quanto riguarda la sua funzione, anche nel macro-racconto, non tratterò in
questa riflessione di tale aspetto, rimandando i lettori all’approfondimento
personale.
Dopo di ciò,
il Vangelo (v. 16) ci riferisce che “tutti” glorificavano Dio. E’ questo un
effetto dell’azione di Gesù: prima vi erano due gruppi, numerosi, ben diversi e
distinti, che andavano in direzioni opposte, con opposti sentimenti; due gruppi
che non si conoscevano e che non avevano motivo di comunicare tra di loro. Ora
invece si forma un’unica folla, riunita ed unificata dalla lode a Dio. Tale
folla si riconosce e comunica con il linguaggio del rendimento di grazie.
L’agire di Gesù pertanto riunifica gruppi diversi, estranei, forse anche
distanti tra loro e permette di creare armonia, comunicazione, unità.
Degno di nota
è anche il fatto che l’espressione della gente: "Dio
ha visitato il suo popolo" riecheggia il Benedictus (Lc 1,68.78) e richiama il verbo ebraico (dqp - pqd) che fa
riferimento all’intervento potente di Dio. Tra l’altro in entrambi i casi
citati del Vangelo di Luca si fa riferimento al dono di un figlio (qui
resuscitato, lì ad Elisabetta e Zaccaria, una coppia sterile) come a ribadire
che nulla è impossibile a Dio e che Dio è attento alle sofferenze dei poveri.
Inoltre tale frase sottolinea che è finito il tempo dell’assenza di un profeta,
che Egli porta una speranza inattesa e impossibile, che Dio viene in mezzo agli
uomini, alla nostra storia, rivelando in particolare il suo amore misericordioso
che diviene visibile nella compassione di Gesù ( e poi di coloro che seguono le
sue orme…).
Infine Luca ci
riferisce che “la fama di questi fatti si
diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione” (v. 17). “Tutta
la Giudea”, nel linguaggio lucano significa la Palestina e comprende anche la
Galilea (il villaggio di Nain si trova appunto in quest’ultima regione). Ma
proprio per rimarcare il fatto che la fama di Gesù non si ferma ad un territorio,
egli aggiunge “per tutta la regione”. In greco il testo recita “pa,sh|
th/| pericw,rw|” e tale termine nella Bibbia dei LXX, che Luca spesso
imita, anche se in maniera velata secondo il buon uso letterario del tempo, ci
rimanda agli inizi, al momento in cui Abramo e Lot si separano e Lot sceglie la
valle pingue ed irrigata del Giordano (pa/san th.n peri,cwron
Gen 13,11), mentre ad Abramo rimane Canaan. Tale vocabolo quindi fa riferimento
a zone diverse e a popoli diversi, quasi prefigurando, attraverso il rapporto
rinnovato tra madre e figlio con la risurrezione di quest’ultimo, attraverso
l’unificazione dei due gruppi diversi e distinti in un’unica folla che loda Dio
e attraverso questa indicazione geografica che accumuna ebrei e pagani, il
rapporto nuovo che unirà popoli diversi nell’unica fede in Cristo Signore, dai
più vicini ai più lontani, dai primi agli ultimi.