Inserisci username e password nei campi sottostanti.
Username:
Password:

 

 

Intervento di Luiz José Dietrich - 27 aprile 2009

 
Bibbia ed Evangelizzazione

 

Presento qui un testo con alcuni idee polemiche. In realtà, è più un insieme di provocazioni che un testo. Con questo, desidero di aguzzare il raziocinio e stimolare il dibattito. Aspetto così stare contribuendo affinché, a secondo le parole del Papa Benedetto, abbiamo "una fede intelligente, in modo che la fede diventi intelligenza e l'intelligenza diventi fede". Pertanto, parlare di relazione tra Bibbia ed Evangelizzazione implica fondamentalmente parlare del modo come presentiamo la Bibbia alla gente e con che finalità lo facciamo; già che queste due cose dipendono dal modo come comprendiamo la Bibbia, come e che cosa comprendiamo per Vangelo-Buona Notizia.

 

 

Molte radici, molti colori. Varie letture, vari progetti

 

In America Latina la Bibbia è letta e compresa in molte maniere. Questa diversità è parte della ricerca della Parola di Dio nella Bibbia e nella storia. Riflesse varie concezioni di Dio, la sua volontà ed i suoi valori. Le società sono, generalmente, formate per gruppi con interessi divergenti e addirittura contraddittori, e come Dio e la sua Parola ci offre sensi, legittimano norme, leggi ed istituzioni, ogni gruppo cerca di mostrare a Dio e la sua Parola di accordo con la sua visione del mondo ed i suoi interessi. I conflitti sociali che attraversano ogni società, non scappano né al Bibbia né alle forme di leggerli, perché tanto uno come altre nascono e si sviluppano in situazioni simili.

 

            Nella Bibbia questo conflitto entra con la monarchia. Prima gli israeliti vivevano in tribù autonome, lavorando e condividendo la terra in forma solidale e con poche differenze sociali tra essi. Il Dio scoperto nel processo di liberazione degli schiavi in Egitto e dei contadini nelle città-stati di Canaan patrocinava quell'organizzazione. Tuttavia, processi di accumulazione di ricchezza, potere religioso e militare originano una élite che rompe l'organizzazione tribale ed istituisce la monarchia, presentandola come la Volontà dello stesso Dio liberatore dei contadini. Nel suo nome si esige pagare tributi e fare lavori forzati. Di lì d'ora in poi, l'Israele avrà due versanti teologici: una che viene dalla liberazione e dalla condivisione della terra, viva tra le organizzazioni campagnoli rimanenti; ed un'altra, l'ufficiale, della corte, dei sacerdoti, scribi e funzionari del re. Qualcosa simile succede quando la Buona Notizia di Gesù ai poveri si torna religione dell'impero romano. Si consolidano così due correnti che attraversano la storia dell'Israele e tutti gli scritti biblici e che, oltre a quello, si estendono anche dentro della storia cristiana.

 

 

Due grandi fiumi

 

Così, le grandi diversità nella maniera di presentare, leggere e comprendere la Bibbia può, essenzialmente, essere analizzata a partire da questi due riferimenti. Parlando di "due versanti", "due fiumi", "due riferimenti", penso di essere consapevole di lavorare con un dualismo che corrisponde in nessun modo alla realtà, dove in realtà tra quelle due possibilità coesistono molti altre che coprono lo spazio tra esse, come le molte stecche che uniscono i due estremi di un vistoso e colorito ventaglio. Prendo come esempio i due estremi per facilitare la discussione sul tema. Sono come due grandi fiumi che, sappiamo, si sono formati con molte acque, ma che corrono e giungono in uno stesso percorso.

 

 

            Il primo modo si fonda sulla credenza che la Bibbia è Parola di Dio, frutto di una rivelazione diretta di Dio o di ispirazione divina. Alcune correnti cristiane professano addirittura un'ispirazione letterale di ognuna delle parole del testo biblico[1]. Ora, quando la Bibbia è semplicemente presentata in questa maniera praticamente si rafforza l'idea che ella è un libro "caduto dal cielo", negando le relazioni che la Bibbia possiede con la storia. Quindi le persone la ricevono come qualcosa già pronto e, pertanto, le domande circa il contesto (conflitti, carichi, modi di organizzazione, genere, interessi economici, situazioni sociali…) non hanno significato, diventano superflue. Perché se Dio parlò, già sta tutto detto! Non interessa per chi, né quando, né dove.

 

            Certamente il Bibbia è frutto di rivelazione o ispirazione. Ma è necessario chiarire quello che capiamo per questo, per non rinforzare una comprensione a-storica, quasi magica del Bibbia, quella che oggi è ancora molto comune. Come succede la rivelazione? Come interferisce nel testo biblico la rivelazione?  La rivelazione si manifesta negli eventi e l'ispirazione in quello scritto che descrive gli eventi?  Quale è la relazione tra rivelazione/ispirazione, gli eventi fondamentali delle religioni e le scritture sacre che hanno le sue radici in questi eventi? Non potremo dare una risposta soddisfacente a queste questioni se non prendiamo la storia/realtà come la porta di entrata per la comprensione della Bibbia.

 

            Guardando gli eventi che diedero origine e consolidarono la nascita degli scritti biblici, percepiamo che durante la maggior parte del tempo nella quale il Bibbia fu scritta essa non era "Bibbia." Il significato di "Bibbia" e specialmente di Bibbia come "Parola di Dio", come è usato oggi, fu costruito durante la storia. Per le persone che scrissero i testi biblici, questi scritti avevano altri vari significati, molto differenti dal significato che essi hanno oggi per noi. Le persone stavano scrivendo memorie dei loro antenati, dei loro eroi, dei loro templi ed istituzioni e degli avvenimenti passati; leggi, canti, proverbi, discorsi, croniche e preghiere.  Servivano per stabilire identità, demarcare tradizioni, definire rotte e limiti.

 

 

Come nacque la Bibbia?

 

Inizialmente i testi che oggi compongono il Bibbia circolavano isolati gli uni degli altri, in forma orale o in forma scritta; in spazi differenti come i clan familiari, i santuari tribali, o il tempio e la corte di Gerusalemme. Funzionano come fonti di identità familiare, tribale e monarchica, simultaneamente come basi religiose, giuridiche e politiche dei diversi strati sociali di quell'epoca. Solo in un momento posteriore, vicino all'anno 400 a.c., è che questi scritti cominciano ad essere istituiti come "Parola di Dio". È soltanto in questa epoca che comincia a nascere questo libro che oggi è la Bibbia per noi. È appena allora che i testi furono "canonizzati." (Obs. Vicino all'anno 400 dovette succedere la canonizzazione della Torà o Pentateuco.  Ma i testi profetici furono canonizzati attorno all'anno 200 A.C. e gli Scritti-i sapienziali - vicino agli anni 50 A.C.. Ed è solamente dopo la sua canonizzazione che i testi passano ad essere visti come sacri[2], carattere che essi non possedevano fino a quel momento.  Tra tanto, fino a che i testi arrivarono ad essere compresi nel canone, essi soffrirono alcune serie di cambiamenti, come è il caso del Pentateuco che ha preso circa 600 anni fino ad arrivare alla forma come lo conosciamo attualmente. Cioè, le tradizioni orali ed i testi continuano a cambiare d’accordo con le trasformazioni storiche della società israelita. Quello che appare più facilmente, in una lettura mezzo rapida e superficiale, è il colorito che i testi riceverono nella sua ultima redazione. Ma con un po' più di cura, gli altri colori che possedevano prima di questo possono anche essere percepiti.

 

            Per quel motivo, un secondo modo di presentare le scritture è presentarli come risultante di un lungo e complesso processo storico. Quel processo ha le sue origini nella nascita delle tribù dell'Israele, 1250 a.c. Ora, in quello periodo si distinguono diversi gruppi che si uniscono con l'obiettivo di conquistare la libertà per liberamente lavorare la terra e godere del frutto del suo lavoro. Benché il gruppo più numeroso sia costituito dagli abitanti della regione di Canaan, non si riuscì un'unità completa, ma ogni regione possiederà la sua propria autonomia. Questo è importante perché le tradizioni orali e gli scritti non sorgono in un unico posto. Nel regno del Nord, anche per essere più grande ed avere un maggiore numero di tribù, questa diversità perdurò più tempo che in quello del Sud, dove per il fatto di essere un'area geografica minore e di potere politico e religioso concentrato nella città di Gerusalemme, molte tradizioni e scritti saranno concentrati lì o per lo meno nei suoi paraggi.

 

 

Le scritture ed il potere

 

            In un primo momento tanto a fede d'Israele come quella dei seguaci di Cristo Gesù esistono in mezzo al suo paese come tradizione orale, viva nella memoria, nelle storie, nelle pratiche e nelle istituzioni dei diversi gruppi che costituiscono le sue società. In quel momento non erano legate a strutture statali, monarchiche o imperiali. Ma, dopo saranno integrate dentro l'organizzazione sociopolitica di un stato e/o impero. Succede che sarà appena in questa tappa che quelle tradizioni cominciano ad essere codificate in testi scritti come religione. È in quelle condizioni che le tradizioni orali che circolavano in diverse tribù riceverono espressione scritta. Arrivano ad essere un libro.  In forma di libro, scritta, legge del re, dello stato, dell'imperatore, la religione passerà a svolgere altri ruoli. Sarà orientata per un'ermeneutica di potere e per il potere. È chiaro che la codificazione scritta non ammazza, non esaurisce né fa sparire la religione viva nelle storie orali e nella memoria del paese, quello che l'istituì, prima di essere scritta, come una parola buona, come una Parola di Dio, come una religione della tribù. Quello che succede è che quelle due forme di queste stesse religioni passeranno a coesistere, non solo in mezzo del paese, ma anche nel corpo degli scritti. Coesistono i testi, sia sbattendo, sia competendo, sia escludendosi  gli uni agli altri. Coesistono perché il libro per essere sacro deve nutrirsi della cosa sacra istituita dapprima per il paese, deve permettere che il paese si riconosca, si identifichi con le parole scritte, bensì non avrà la forza desiderata.

Così, i testi sacri sono come attraversati per due fiumi di acque abbondanti: in uno si tirano fuori acque per la guerra, in un altro per la pace.

 

 

 

Moise

 

Nel caso della religione dell'Israele, benché il libro sacro inizi con una narrazione della creazione del mondo, la nascita del paese e della fede dell'Israele è relazionata con quello che si conobbe come Esodo: la liberazione di donne ed uomini schiavi dell'oppressione del faraone dell'Egitto. Oggi si sa che se, da una parte, il gruppo di persone schiavizzate che si liberò dell'oppressione egiziana non fu tanto grande come può inferirsi di una lettura veloce e superficiale dei testi biblici -che parlano di 600.000 uomini, senza contare donne e bambini, oltre ad una grande massa di gente di diverse provenienze (Es 12,37-38)- d'altra parte, quella storia si presenta ingrandita, grandiosa, gonfiata per contenere dentro sé, nelle linee e tra le righe, molte altre storie di oppressione e liberazione vissute per diversi personaggi e gruppi differenti durante la storia d'Israele.

 

            La storia degli schiavi diventò il paradigma preferito per denunciare i processi di oppressione e per tradurre l’esperienze di liberazione. Così, dentro di quello che oggi conosciamo come il "Esodo" abbiamo, per esempio, l'esperienza delle migliaia di campagnole e campagnoli cananei che si liberarono dello sfruttamento al quale doppiamente erano sommessi nelle mani dei re cananei basso il potere dell'impero egiziano. Anche questi, senza mai avere pestato l'Egitto, furono liberati dell'oppressione egiziana, perché la terra di Canaan era sommessa all'impero dei faraoni. Ed abbiamo altrettanto lì, tra le altre, l'esperienza degli uomini e donne israeliti sommessi a pesanti tributi e lavori forzati per la monarchia salomonica e anche l'esperienza del giudaismo nell'esilio babilonese. È il processo che con Frate Carlos Mesters impariamo a chiamare "rilettura" [3].

 

 

Una nuova esperienza di Dio

                                           

            Nella radice del paese dell'Israele sta l'esperienza di liberazione degli schiavi di Egitto e dei campagnoli cananei, quella che fu interpretata come frutto di un intervento di Dio. Un Dio completamente differente degli altri dei e dee conosciute. Un Dio degli oppressi che guarda la miseria, ascolta il clamore, conosce la sofferenza ed si abbassa per liberare agli oppressi (Es 3,7-8). Quell'esperienza di Dio fu radicalmente diversa di tutte le altre esperienze di Dio che si conoscevano in quell'epoca. I dei più poderosi, vincitori, erano i dei dei re cananei, dei faraoni egiziani. C'erano tra i dei e le dee una gerarchia simile a quella che c'era tra le persone. Non si conosceva nessun Dio liberatore dei poveri ed oppressi dentro le teologie fino ad allora esistenti. Saranno gli schiavi dell'Egitto i portatori di questa rivelazione: Esiste un Dio contrario all'oppressione e lo sfruttamento. Un Dio che milita per liberare agli oppressi. Quell'esperienza di Dio è la pietra fondamentale per la costituzione dell'Israele, quella che si concretizzerà, dopo avere abbattuto le città-stati cananei e con la liberazione delle contadine e contadini cananei, nello stabilimento di una società tribale, dove la terra ed il potere sono condivisi, e dove si stabiliscono leggi coerenti con lo spirito del Dio liberatore, leggi che ostacolano l'accumulazione di terre e beni, l'oppressione e lo sfruttamento, e che promuovono la solidarietà.

 

 

 

 

 

La Monarchiacerca di appropriarsi del Dio dei contadini

 

               Ma l'Israele tribale esiste più o meno in questo modo, senza potere essere centralizzato, tra gli anni 1250 - 1050 a.c. Tra gli anni 1050 - 950 a.c. processi di accumulazione di ricchezze e potere militare rompono questa società, facendo sorgere una élite che istituì una monarchia e consolida le relazioni asimmetriche. Per la lunga durata di questo processo possiamo vedere che questo non accadde senza resistenza. La monarchia significa una centralizzazione del potere che si ottiene dallo sfruttare il lavoro e la produzione dei contadini. Questi sono obbligati a consegnare parte della sua produzione agricola - pastorale, le sue figlie e figli per lavorare nelle opere e nelle guerre decise per la corte (1 Sm 8,11-17). Questa grande modificazione introdotta nella società esigeva una legittimazione, quella che sarà cercata costruendo un gran tempio al Dio liberatore nell'antica città cananea di Gerusalemme e codificando una teologia, una spiritualità ed una liturgia ufficiale a partire dal culto di un importante settore delle tribù, il culto al Dio YHWH. E d'ora in poi l'Israele avrà lì due versanti teologici principali: una che viene dalla liberazione e dal condividere la terra, viva nella memoria e nei diversi santuari tribali e tra le organizzazioni campagnoli rimanenti della struttura tribale che, di tempo in tempo, è ripresa dai profeti; un'altra, la teologia ufficiale della corte e del Tempio di Gerusalemme, dei sacerdoti, scribi e funzionari del re.  È, allora, appena a partire dall'installazione della monarchia, principalmente con David e Salomone, che la Bibbia comincerà ad essere scritta. Queste due teologie sono intrecciate nei testi sacri del Giudaismo. Gesù sceglierà una di esse e sarà perseguitato ed assassinato per i rappresentanti dell'altra.

 

 

Gesù

 

               Qualcosa simile succede nel movimento di Gesù. Gesù, come un profeta riformatore della fede d'Israele cerca riscattare i principi e le pratiche che diedero origine al paese d'Israele. Beve e si ispira al versante popolare del Dio liberatore dell'Esodo, del condividere la terra ed il potere, sperimentato nelle tribù e presente nelle più genuine tradizioni dell'Israele. In sintonia coi profeti d'Israele, cerca superare il legalismo ed il ritualismo che si erano stabiliti in Israele. Riscatta le pratiche di solidarietà accogliendo le persone povere, malate che per essere considerate impure erano escluse della convivenza sociale. Attacca all’élite che in questo modo si atto-legittimavano come giuste, pure e puntuali della volontà di Dio. Annuncia il giudizio di Dio per l’élite ed il Regno di Dio per i poveri. I suoi seguaci, organizzati in piccole comunità domestiche nelle periferie delle grandi città dell'impero romano, tradurranno la proposta di Gesù per questo contesto creando comunità che condividono il pane, riscattando la dignità dei poveri, dei senza terra, senza posto, senza cittadinanza, senza libertà. Comunità riunite attorno a tavoli dove si disfacevano tutte le gerarchizzazioni e discriminazioni esistente tanto nelle comunità giudaiche più tradizionali come nella società greco-romana in generale.  Lì ormai “non si distingue più tra ebrei e greci, uomo o donna, signore o schiavo" (cfr. Gal 3,27-28).  Il tavolo del pane condiviso, nel nome del padre e del figlio, fa a tutti fratelli nello stesso spirito del Dio liberatore, ed a partire da questo cresce un'etica che deve invadere tutte le relazioni che attraversano il quotidiano dei seguaci e delle seguace di Gesù. Cominciano a vivere concretamente qui ed ora i segni di quello che sarà il Regno di Dio. Così il cristianesimo cresce e si espande per tutto l'impero. Per rinforzare e difendere questa pratica surgono gli scritti che comporranno il nuovo testamento.

 

 

 

L'impero romano cerca di appropriarsi del cristianesimo

 

               Tuttavia dentro il cristianesimo, irrobustito per le persecuzioni contro essi promosse per l'impero romano, alla fine del primo e secondo secolo, crescono alcuni correnti che accentuano lo stile patriarcale, lo spiritualismo ed il ritualismo, dove l'etica che distingueva e contrapponeva il cristianesimo all'impero romano svanisce. Queste correnti sono pronte per accettare l'imperatore in mezzo loro.  E così, una certa linea del cristianesimo, più o meno intorno all'anno 330 d.c., comincia ad essere codificato come religione ufficiale dell'impero romano.  A partire da quell'accettazione cominciamo ad avere anche due forme di vedere il cristianesimo. Una più coerente con la vita di Gesù e delle prime comunità, ed un'altra istituita ed organizzata a partire dal potere ed integrata nei progetti di potere dell'impero romano.

 

               Un po' differente del processo del giudaismo è la questione degli scritti. Gli scritti del Nuovo Testamento a queste altezze già erano elaborati. Ma, l'influenza di Costantino si farà sentire nella definizione del Canone cristiano, nell'ordine dei libri dentro questo e soprattutto nella strutturazione del potere e della gerarchia dentro la chiesa cristiana imperiale, anche nell'elaborazione teologica e codificazione dottrinale che si farà dentro questa nuova ermeneutica cristiana.

 

               Quelle due versante attraversano la Bibbia ed entrano nella storia cristiana. Una si allinea con i profeti, Gesù e le fraternità di tavola condivisa nella chiesa primitiva; dall'altra provengono l'esigenza dai sacrifici, offerte e tributi, il legalismo ed il ritualismo che escludono i poveri e beneficano e giustificano all’élite. Benché si riferiscano ad un stesso Dio, i conflitti tra esse rivelano che i suoi dei sono differenti. Nel frattempo, queste diverse letture si incorporano al testo biblico e alle teologie e basano e facilitano le diverse letture bibliche esistenti.

 

 

Le scritture sono un grande mare: contengono acque da molti fiumi

 

Un esempio di questo lungo processo di formazione di un testo può scoprirsi nell'espressione di Gesù qualificando il Tempio come una "grotta di ladri" che si trova in Mc 11,17; Mt 21,13; Lc 19,46. Ora, questa espressione non fu creata da Gesù, egli non fu il primo a fare questa denuncia contro i sacerdoti del tempio. La Bibbia ci mostra che il profeta Geremia proferì questa stessa qualificazione vicino all'anno 600 a.c. (Gr 7,11). Tuttavia, quando leggiamo la narrazione della sentenza di Geremia, Gr 26, vediamo che neanche egli fu il primo a parlare in questo modo contro il Tempio. In Gr 26, 18-19 si dice che Miquea, il che agì circa 120 anni prima di Geremia, già aveva attaccato anche al Tempio di questa maniera. Più ancora, in Gr 26,20-24 è conservata la memoria di Uria, un profeta che pagò certamente con la vita per avere detto cose simili. Può vedersi, fino a qui, che c'è una linea che unisce la predicazione di Gesù con quella di Geremia che visse 600 anni prima di Gesù, ed oltre a lui, arriva anche da Miquea, più o meno nel 740 a.c. pertanto, possiamo seguire ancora più dietro questa linea nella storia dell'Israele ed arrivare fino alle radici d'Israele. Fino alla società tribale, prima della monarchia. Possiamo vedere questo nella presenza della memoria della distruzione di Silo che succede vicino al 1030 a.c., citata tanto in Gr 7,12 come in Gr 26,6.9.  Silo era un importante santuario della tribù di Efraim, dove era conservata la chiamata Arca dell'Alleanza. Silo, pertanto, fu distrutto dai filistei che si impadronirono anche dell’Arca (1 Sm 4,6). I sacerdoti sopravvissuti di Silo si stabilirono in Nob. Pertanto, apparentemente prendono partito a beneficio di Davide nella disputa per la successione di Saul (1 Sm 21,1-9) e per quel motivo saranno massacrati per Saul (1 Sm 22,7-19). Di questo massacro scapperà un sacerdote, Abiatar. Egli andrà ad allearsi con Davide (1Sm 22,20-23). Davide, dopo avere conquistato la città di Gerusalemme (2 Sm 5,6-10) porterà con sé ad Abiatar. Davide riprende l’Arca dai filistei e la porterà a Gerusalemme (2 Sm 6). Riunisce nuovamente ad Abiatar e l’Arca.

 

Ma Davide avrà due sommi sacerdoti, uno di essi sarà Abiatar. L'altro sarà Sadoc (2Sm 8,17; 20,25), probabilmente un sacerdote di origine cananeo che dirigeva il culto ufficiale della monarchia dei gebusei che vivevano anteriormente a Gerusalemme. In realtà, Abiatar va a accompagnare tutto il regno di Davide. Con la vecchiaia o la morte di Davide, nasce una disputa per il trono dentro la sua propria famiglia. La disputa divide la corte in due gruppi: quello dei figli di Davide nati in Hebron (2 Sm 3,2-5) ed i figli di Davide nati a Gerusalemme (2 Sm 5,13-16). Il gruppo delle donne e dei figli nati in Hebron rappresenta certamente una maggiore prossimità con le tradizioni tribali Yavistas israelite. Vicino ad essi, appoggiando ad Adonias starà il comandante Joab ed anche il sommo sacerdote Abiatar (1 Re 1,5-8). L'altro gruppo, delle donne e figli nati a Gerusalemme sta più prossimo alle tradizioni monarchiche, statali e cananee. Con essi, appoggiando Salomone, starà il capo dei guerrieri mercenari stranieri ed il sommo sacerdote Sadoc (1Re 1,38-39). Salomone risulta vincitore in questo conflitto ed il gruppo opposto sarà assassinato (1Re 2,12-35), ad eccezione del sacerdote Abiatar che sarà espulso alla città di Anatot (1Re 2,26-27), terra dove vivrà Geremia, membro di questo lignaggio sacerdotale. In questo senso, quando leggiamo il profeta vediamo che egli conosceva chiaramente la storia e la realtà di Gerusalemme, gli intrighi del potere, per quel motivo può affermare che il Tempio è una grotta di ladri. Da parte sua, i vangeli (Mc 2,26) sembrano raccogliere questa memoria di tradizione orale, una volta che confonde il nome di Aquimelec/Aimelec (cf. Mc 2,26) il sacerdote col quale Davide si trovò in 1 Sm 21,2 col suo discendente più notorio, Abiatar, che posteriormente sarà uno dei principali sacerdoti del regno di Davide.

 

 

Bibbia ed evangelizzazione: riscattare la memoria viva nella tradizione

 

A partire dagli elementi anteriori possiamo vedere ora la questione dell'ispirazione. Una domanda che si mette in questo momento è come tutto quello arrivò fino all'epoca di Gesù. Il sospetto è che sia arrivato attraverso la tradizione conservata per le famiglie campagnole che conservavano la spiritualità e le tradizioni degli antichi santuari. Questo ci fa scoprire che sotto il testo biblico corrono due grandi fiumi: il primo di essi è il fiume della teologia ufficiale, quello che ha come centro alla famiglia di Davide, la teologia del tempio, la legge del sabato, della circoncisione e della cosa pura contro la cosa impura, della razza eletta; il secondo di essi è il fiume della teologia popolare che viene dell'esodo, delle tribù, delle profezie, di una saggezza tribale e che ispira Gesù.

 

 

Bibbia ed evangelizzazione: riscattare la vita di dietro delle parole lì e qua

 

            A partire da questo rimane chiaro che per noi la Parola di Dio non sta in un libro in sé, non sta nelle scritture, ma sta negli eventi. Per questa discussione è molto importante avere sempre in mente l'immagine dei neri profeti zulù gridando ai bianchi: "Prima possedevamo la terra e voi avevate la Bibbia. Ora voi possedete la terra e per noi rimase la Bibbia"[4]; o dei paesi originari andini il cui rappresentante "restituì la Bibbia al Papa dicendo: "porti via questo libro perché egli è la causa del nostro sterminio""[5].  Quello significa che la Bibbia non fu "Parola di Dio", o "Vangelo-Buona Notizia" per quelli paesi. Come neanche lo fu in altre situazioni storiche per altri paesi, gruppi e persone.

 

È necessario approfondire, a partire da questo, la questione su chi e che cosa istituì una parola come Parola di Dio, e di come quello succede. Quelli che la dettano come norma e regola a partire da una posizione di potere e dominio, o i poveri che la ricevono come Parola che li incoraggia e promuove più vita e giustizia per gli indifesi?  Nella Bibbia i momenti fondanti del giudaismo e del cristianesimo furono istituiti, rispettivamente, in quanto Rivelazione-Parola di Dio e in quanto Buona Notizia-Vangelo di Dio, per gli schiavi e contadini spogli nell'AT, e per i poveri ed esclusi nel NT. Però, c'è anche nella Bibbia, approfittandosi del successo di quella parola popolare, un'appropriazione della cosa fatta per le istanze di potere: la parola della monarchia, istituita a nome di YHWH liberatore e la codificazione del cristianesimo fatta dopo la sua cooptazione per l'impero romano. E questo influenzò nella forma come comprendiamo e nella finalità come lavoriamo con la Bibbia.

 

 

Chi istituì la Parola di Dio, il Vangelo-Buona Notizia?

 

            Dello stesso modo che nelle esperienze fondanti d'Israele non furono il faraone o i re che riconobbero negli eventi dell'esodo la manifestazione/"Parola" di Dio liberatore, ma furono gli schiavi e contadini che si liberarono della schiavitù; come non furono le autorità giudaiche che riconobbero in Gesù il "Vangelo - La Buona Notizia dell’arrivo del regno di Dio", nell'Evangelizzazione questo riconoscimento e questa lettura deve essere fatta per quelli che stanno ricevendo le scritture e non per chi le sta portando.  Le scritture solo saranno riconosciute come Parola di Dio – Vangelo - Buona Notizia quando aggiornino e promuovano nella vita delle persone e delle comunità che stanno ricevendola la stessa esperienza di liberazione e salvazione sperimentata per i gruppi che stanno nell'origine della fede d'Israele e del cristianesimo. Le scritture non sono Parola di Dio in sé. Saranno Parola di Dio per la funzione che esercitino nella vita di quegli e quelle che stanno ricevendola.  L'evangelizzazione deve prendere molto sul serio queste questioni e sforzarsi per configurare, col suo annuncio e con la sua testimonianza, un evento, un'esperienza che sia riconosciuta come Parola di Dio, come Buona Notizia, e non come parola di morte, come furono quelle Bibbie respinti e restituite. Se promuovono la vita solidale, principalmente dove ella è più minacciata, è Parola di Dio, è Buona Notizia-Vangelo; in caso contrario, no.

 

            Deve essere anche così la nostra comprensione dell'ispirazione. Una definizione autoritaria di ispirazione viene ad accentuare la questione della legge, delle norme e della gerarchia di potere in detrimento dello spirito. Con tutto, la forza della Bibbia, di Dio e della spiritualità biblica nasce e sta in difesa della vita. Ed è questo spirito che dobbiamo procurare.

 

            Come lavorare, dunque, con le comunità queste questioni, affinché esse scoprano questi elementi? Non ho le riposte, ma penso che una delle strade sia cercare di lavorare con la Bibbia e l’Evangelizzazione in una prospettiva meno clericale e più laica. Meno centrata negli obiettivi catechetici, dogmatici e di auto-riproduzione ecclesiale. E più direttamente relazionata coi movimenti sociali e popolari, con tematiche definite a partire dalle relazioni con questi movimenti che passano attraverso le chiese, ma che vanno oltre esse. Quello può aiutare a superare i limiti della nostra formazione catechetica e teologica, della nostra spiritualità che è ancora troppo clericale. Molto di quello che siamo oggi, in quello che si riferisce al cristianesimo, ha le sue radici nella epoca di Costantino. Questo è tanto forte che segna tutte le chiese. Cioè, la maggior parte di quello che si fa nelle comunità, la pratica pastorale, o quello che si abitua a chiamare evangelizzazione, o uso della Bibbia nelle comunità gira intorno alla chiesa istituzionale, o alle chiese istituzionalizzate. Questo "eclesio-centrismo"  sembra essere ecumenico. Sembra che Gesù dica: “io vengo affinché tutti e tutte abbiano chiese e chiese in abbondanza", o dottrine e dottrine in abbondanza, o sacramenti e riti in abbondanza… Non è di questo che dipendono più o meno il 90 percento delle nostre risorse umane e finanziari? Quasi tutti noi riceviamo questa formazione ed operiamo dentro di questi orizzonti.

 

 

La sacralità della vita

 

            Una prospettiva laica sarebbe più indirizzata verso la vita del popolo. Ci tocca, nel frattempo, fomentare quest’altro modo di leggere il Bibbia, di fare teologia, che nasce della vita, preoccupata per percepire e celebrare la presenza dello sacro nella vita, nella quotidianità. La teologia clericale viene ancora da una matrice che divide il mondo in sacro e profano, e che rinforza la cosa miracolosa: il passo per il Mare Rosso, i miracoli e la Resurrezione di Gesù. La riflessione su Dio, l'esperienza di Dio nella vita quotidiana e nella storia, fu quello che Gesù fece. Per esempio, uno degli aspetti più caratteristici dell'insegnamento e della pratica di Gesù furono le parabole. Tuttavia, tra le parabole non troviamo nessuna che si riferisca agli elementi della religione ufficiale della sua epoca -tempio, circoncisione, altare, sacrifici, purezza, sabato… - ed li presente come immagine del Regno di Dio. Il contrario succede con gli elementi della vita quotidiana delle donne e degli uomini del suo tempo: Il Regno di Dio è come una donna che mise un pugno di lievito nella massa, è come una donna che perse una moneta, è come un seminatore, un seme, un pescatore, un pastore, una vedova povera…

 

            Dobbiamo lavorare con la Bibbia e proporre un’Evangelizzazione in funzione della vita e non intorno alla propria Bibbia ed alla chiesa. Affinché questo non succeda dobbiamo avere chiaro quello che vogliamo. La nostra metodologia dovrebbe cominciare per alla domanda: Che cosa ostacola che le persone delle nostre comunità abbiano vita in abbondanza?  Che cosa possiamo fare per salvare i fiumi, i boschi, e rifare l'equilibrio tra tutte le forme di vita della natura, di questo gran tessuto del quale noi non facciamo solo parte, ma dipendiamo totalmente per vivere?  Il lavoro biblico, come l'evangelizzazione, deve partire di una diagnosi della situazione, della realtà. È necessario essere consapevoli delle inquietudini che ci muovono, che muovono le persone a realizzare un corso biblico, che non sempre sono quello che appare a prima vista. A volte, quello che le persone manifestano è quello che esse immaginano che noi vogliamo ascoltare. In un corso appaiono sempre elementi religiosi, ma è necessario conoscere il giorno a giorno e su questo armare il corso. Lì si mette la Bibbia, in un secondo momento. È in questo secondo momento che noi studiamo i libri, epoche, autori, processi di composizione, etc.

 

            Una comprensione della Bibbia ed una comprensione dell'azione Evangelizzatrice, come abbiamo visto sopra, e le domande che nascono dalla vita devono essere la nostra porta di entrata nella Bibbia ed il nostro punto di partenza ferma per l’Evangelizzazione. Questo è vedere la Bibbia come un specchio della realtà, come dice Frate Carlos. Quello che vediamo prima del testo è molto più importante, ed è necessario dedicare un buon tempo per questo. È quello che succede coi discepoli di Emmaus. Nonostante tutto quello che fu spiegato, tutto finì. Il solo parlare della Bibbia non trasforma la vita delle persone, non cambia il senso suo camminare. Oggi l'uso della Bibbia nell'Evangelizzazione deve servire per illuminare la presenza di Liberazione, di Salvazione dentro la vita della comunità, o di facilitare che queste comunità sperimentino processi di liberazione e di salvezza simili a quelli che diedero origine alle religioni bibliche. E questa forma di usare la Bibbia deve cercare che le nostre comunità di oggi si mettano al servizio di questo tipo di Evangelizzazione, di questo modo di annuncio della Parola di Dio.

 

Ma, d'altra parte, dobbiamo essere anche consapevoli che la Parola di Dio ed il Vangelo che noi abbiamo sono una costruzione storica,  già che dello stesso modo altri popoli e culture affermano che altri libri sono Parola di Dio e che i suoi libri sono ispirati. In questo senso, è necessario saper comprendere questi concetti dentro della nostra storia e delle nostre culture ed aprirci al dialogo con le altre tradizioni religiose… In questo punto abbiamo bisogno - tutta l'umanità, tutti i popoli e tutte le culture- di comprendere che il Dio della Vita è molto più grande di tutto quello che possiamo dire o pensare su lui e che tutte le forme di vita sono parte importante di questa immensa sinfonia della Vita, -tremendamente maggiore e più importante che i nostri riti, i nostri dogmi, le nostre istituzioni religiose- e nella quale noi, esseri umani, siamo appena alcune note aggregate ad ultimo minuto.  Ancora non siamo ben preparati, ben adattati, ancora non ci sottomettiamo allo Spirito di questa bella e complessa sinfonia. Aggreghiamo qualche melodia, ma molte stonate anche, tanti che se non abbiamo umiltà, se non ci disponiamo ad imparare gli uni con gli altri, a convivere e condividere questa partitura di forma solidale con tutte le altre forme di vita, potremo causare la nostra esclusione della sinfonia della Vita, e non avremo sperimentato la Parola, la Buona Notizia che Dio ha per noi qui ed ora.

 

                                                                       (Testo per dibattito)

                                                                         Luiz José Dietrich

                                                                               Estate 2009

 

 

 

Bíblia e Evangelização

 

 

Apresento aqui um texto com idéias polêmicas. Na verdade é mais um conjunto de provocações do que um texto. Com isto gostaria de aguçar o raciocínio e estimular o debate. Espero assim estar contribuindo para que conforme os dizeres do Papa Bento, tenhamos “uma fé inteligente, de modo que a fé se torne inteligência e a inteligência se torne fé.” Portanto, falar da relação entre Bíblia e Evangelização fundamentalmente implica em falarmos do modo como nós apresentamos a Bíblia para as pessoas e com que finalidade fazemos isso. No entanto essas duas coisas dependem do modo como compreendemos a Bíblia, como e o que compreendemos por Evangelho – Boa Notícia.

 

 

Muitas raízes, muitas cores. Várias leituras, vários projetos

 

Na América Latina a Bíblia é lida e compreendida de muitas maneiras. Esta diversidade é parte da busca pela Palavra de Deus na Bíblia e na história. Reflete as várias concepções de Deus, sua vontade e seus valores. As sociedades são geralmente formadas por grupos com interesses divergentes e até contraditórios, e como Deus e sua Palavra fornecem sentidos, legitimam normas, leis e instituições, cada grupo procura mostrar Deus e sua Palavra de acordo com a sua visão de mundo e seus interesses. Dos conflitos sociais, que atravessam toda sociedade, não escapam nem a Bíblia nem as formas de lê-la, pois tanto uma como a outra nasceram e se desenvolveram em situações semelhantes.

 

Na Bíblia esse conflito entra com a monarquia. Antes os israelitas viviam em tribos autônomas, trabalhando e partilhando a terra e seus frutos de forma solidária e com poucas diferenças sociais entre eles. O Deus descoberto no processo de libertação dos escravos no Egito e dos camponeses nas cidades-estado de Canaã patrocinava essa organização. Porém, processos de acumulação de riqueza, poder religioso e militar originam uma elite que rompe o tribalismo e institui a monarquia, apresentado-a como vontade do mesmo Deus libertador dos camponeses. Em nome dele exigir-se-á o pagamento de tributos e trabalhos forçados. Dali em diante Israel terá duas vertentes teológicas: uma a que vem da libertação e da partilha da terra, viva entre as organizações camponesas remanescentes; outra, a oficial, da corte, dos sacerdotes, escribas e funcionários do rei. Algo semelhante sucede quando a Boa Nova de Jesus aos pobres torna-se a religião do império romano. Consolidam-se assim duas correntes que serão como vertentes perpassam a história de Israel e todos os escritos bíblicos, e que, além disso, estendem-se para dentro da história cristã.

 

 

Dois grandes rios

 

Assim, a grande diversidade de maneiras de apresentar, ler e compreender a Bíblia pode, basicamente, ser analisada a partir destes dois referenciais. Ao falar em “duas vertentes”, “dois rios”, “dois referenciais”, penso estar consciente de trabalhar com um dualismo que de maneira nenhuma corresponde à realidade, onde na verdade entre estas duas possibilidades coexistem muitas outras que preenchem o espaço entre elas, como as muitas palhetas que unem os dois extremos de um vistoso e colorido leque. Tomo como exemplo os dois extremos para facilitar a discussão do assunto. São como dois grandes rios que sabemos serem formados por muitas águas, mas que correm juntas num mesmo caudal.

 

A primeira maneira alicerça-se na crença de que a Bíblia é a Palavra de Deus, fruto de uma revelação direta de Deus ou da inspiração divina. Algumas correntes cristãs inclusive professam a inspiração literal de cada uma das palavras do texto bíblico[1]. Ora, quando a Bíblia é simplesmente apresentada desta maneira praticamente reforça-se a idéia que ela é um livro “caído do céu”, negando a relação que a Bíblia possui com a história. Então as pessoas a recebem como algo pronto e, portanto, as perguntas pelo contexto (conflitos, cargos, modo de organização, gênero, interesses econômicos, situações sociais...) carecem de significado, tornam-se desnecessárias. Pois se Deus falou, tá falado! Não interessa, para quem, nem quando, nem onde.

 

Certamente a Bíblia é fruto de revelação ou inspiração. No entanto, precisamos esclarecer o que entendemos por isto, para não reforçarmos uma compreensão a-histórica, quase mágica, da Bíblia, que ainda hoje é muito comum. A questão gira então em torno do processo que origina a Bíblia. Como acontece a revelação? Como a inspiração interfere no texto bíblico? A revelação manifesta-se nos eventos e a inspiração na escrita que descreve os eventos? Qual a relação entre revelação/inspiração, os eventos fundantes das religiões e as escrituras sagradas que têm suas raízes nestes eventos? Não poderemos dar uma resposta satisfatória a essas questões se não tomarmos a história/realidade como que a porta de entrada para a compreensão da Bíblia.

 

Olhando para o processo que deu origem e consolidou o surgimento dos escritos bíblicos, percebemos que durante a maior parte do tempo no qual a Bíblia foi escrita ela não era “Bíblia”. O significado de “Bíblia” e principalmente de Bíblia como “Palavra de Deus”, como são usados hoje foram construídos ao longo da história. Para as pessoas que escreveram os textos bíblicos, estes escritos tinham vários outros significados, muito diferentes do significado que eles têm para nós hoje. As pessoas estavam escrevendo memórias de seus antepassados, de seus heróis, de seus templos e instituições e dos acontecimentos passados; leis; cânticos; provérbios, discursos, crônicas e orações. Serviam para estabelecer identidades, demarcar tradições, definir rumos e limites.

 

 

Como nasceu a Bíblia?

 

Os textos que hoje compõem a Bíblia inicialmente circularam isolados uns dos outros, em forma oral e/ou em forma escrita; em espaços diferentes como os clãs familiares, os santuários tribais, o templo e a corte de Jerusalém. Funcionam como fontes de identidade familiar, tribal e monárquica, simultaneamente como bases religiosas, jurídicas e políticas de diversos estratos sociais daquela época. Só num momento posterior, por volta do ano 400 a.C. é que estes escritos começam a ser instituídos como “Palavra de Deus”. É somente nesta época que começa a nascer este livro que hoje é a Bíblia para nós. É somente aí que os textos serão “canonizados”. (Obs. Por volta do ano 400 deve ter ocorrido a canonização da Torá, o Pentateuco. Mas os textos Proféticos, que foram canonizados por volta dos anos 200 a.C, e os Escritos (os sapienciais) só pelos anos 50 a.C.) E é somente após a sua canonização que os textos passam a ser vistos como sagrados[2], caráter que eles não possuíam até este momento. Entretanto, até os textos chegarem a ser incluídos no cânone eles sofrem uma série de mudanças, como é o caso do Pentateuco que levou aproximadamente 600 anos até chegar à forma como o conhecemos na atualidade. Ou seja, as tradições orais e os textos vão mudando de acordo com as transformações históricas da sociedade israelita. O que aparece mais facilmente, numa leitura meio rápida e superficial, é o colorido que os textos receberam na sua última redação. Mas com um pouco mais de cuidado as outras cores que possuíam antes disso podem também ser percebidas.

 

Por isso um segundo modo de apresentar as escrituras é apresentá-las como resultantes de um largo e complexo processo histórico.  Esse processo tem suas origens no surgimento das tribos de Israel (1250 a.C.). Ora, naquele período distinguem-se diversos grupos, que se unem com o objetivo de conquistar a liberdade para livremente trabalharem a terra e usufruírem do fruto do seu trabalho. Embora o grupo mais numeroso seja constituído pelos habitantes da região de Canaã, não se firmou uma unidade completa, mas cada região vai possuir sua autonomia. Isto é importante, pois as tradições orais e os escritos não surgem num único lugar. No Reino do Norte, até por ser maior e comportar um número maior de tribos, esta diversidade perdurou mais tempo enquanto que no Sul, onde pelo fato de ser uma área geográfica menor e do poder político e religioso concentrar-se na cidade de Jerusalém, muitas tradições e escritos estarão concentrados ali ou pelo menos nas suas redondezas.

 

 

As escrituras e o poder

 

            Num primeiro momento tanto a fé de Israel como dos seguidores do Cristo Jesus existem no meio dos seus povos como tradição oral, viva na memória, nas histórias, nas práticas e nas instituições dos diversos grupos que constituem suas sociedades. Nesse momento não estão ligadas a estruturas estatais, monárquicas e ou imperiais. Mas depois serão integradas dentro da organização sociopolítica de um estado e/ou império. Ocorre que será somente nesse estágio que essas tradições começam a ser codificadas em textos escritos como religião. É nessas condições que as tradições orais que circulavam em diversas tribos receberão expressão escrita. Tornam-se livro. Na forma de livro, escrita, lei do rei, do estado, do imperador, a religião passará a desempenhar outros papéis. Será orientada por uma hermenêutica do poder e para o poder. É claro que a codificação escrita não mata, não esgota e nem faz desaparecer a religião viva nas histórias orais e na memória do povo, que a instituiu, antes da escrita, como uma palavra boa, como uma Palavra de Deus, como uma religião da tribo. O que acontece é que estas duas formas dessas mesmas religiões passarão a coexistir, não só no meio do povo, mas também no corpo dos escritos. Coexistem nos textos, ora colidindo, ora competindo, ora excluindo uma a outra. Coexistem porque o livro para ser sagrado precisa nutrir-se do sagrado instituído antes pelo povo, precisa permitir que o povo se reconheça, se identifique com as palavras escritas, senão não terá a força almejada. Assim os textos sagrados são como que atravessados por dois riachos de águas abundantes: num deles porém se tiram águas para a guerra, noutro para a paz.

 

 

 

Moisés

 

No caso da religião de Israel, embora o livro sagrado, inicie com a narrativa da criação do mundo, o surgimento do povo e da fé de Israel está ligado com o que ficou conhecido como o Êxodo: a libertação de mulheres e homens escravos da opressão do faraó do Egito. Hoje se sabe que se, por um lado, o grupo de pessoas escravizadas que se libertou da opressão egípcia não foi tão grande como se pode inferir de uma leitura mais apressada e superficial dos textos bíblicos – que fala em 600.000 homens, sem contar as mulheres e crianças, além de uma mistura de gente (Ex 12,37-38) – por outro lado essa história apresenta-se engrandecida, grandiosa, inchada por conter dentro de si, nas linhas e entrelinhas, muitas outras histórias de opressão e libertação vividas por diversos personagens e grupos diferentes ao logo da história de Israel.

 

A história dos escravos tornou-se o paradigma preferido para denunciar processos de opressão e para traduzir experiências de libertação. Assim dentro do que hoje conhecemos como o “Êxodo” temos, por exemplo, também a experiência dos milhares de camponesas e camponeses cananeus que se libertaram da exploração a que duplamente estavam submetidos nas mãos dos reis cananeus sob o poder do império egípcio. Estes, sem nunca ter pisado no Egito, também foram libertados da opressão egípcia, pois a terra de Canaã estava submetida ao império dos faraós. E temos igualmente ali, entre outras, a experiência dos homens e mulheres israelitas submetidos a pesados tributos e aos trabalhos forçados pela monarquia salomônica, e a experiência dos judaítas no exílio babilônico. É o processo que com Frei Carlos Mesters aprendemos chamar de “releitura”[3].

 

 

Uma nova experiência de Deus

 

Na raiz do povo de Israel está a experiência de libertação dos escravos egípcios e dos camponeses cananeus, que foi interpretada como fruto de uma intervenção de Deus. Um Deus completamente diferente dos outros deuses e deusas conhecidas. Um Deus dos oprimidos, que vê a miséria, ouve o clamor, conhece o sofrimento e desce para libertar os oprimidos (Ex 3,7-8). Essa experiência de Deus foi radicalmente diferente de todas as outras experiências de Deus que conheciam na época. Os Deuses mais poderosos, vencedores eram os deuses dos reis cananeus, dos faraós egípcios. Havia entre os Deuses e Deusas uma hierarquia semelhante a que havia entre as pessoas. Não se conhecia nenhum Deus libertador dos pobres e oprimidos dentro das teologias até então existentes. Os escravos do Egito é que serão os portadores desta revelação: Existe um Deus contrário à opressão e à exploração. Um Deus que milita para libertar os oprimidos. Essa experiência de Deus é a pedra fundamental para a constituição de Israel, que se concretizará, após a derrubada das cidades-estado cananéias e com a libertação das camponesas e dos camponeses cananeus, no estabelecimento de uma sociedade tribal, onde a terra e o poder são partilhados, e onde se estabelecem leis coerentes com o espírito do Deus libertador, leis que impedem o acúmulo de terras e bens, a opressão e a exploração, e que promovem a solidariedade.

 

 

 

 

 

A Monarquia tenta apropriar-se do Deus dos camponeses

 

Mas Israel tribal existe mais ou menos desta forma, sem poder centralizado, entre os anos 1250-1050 a.C. E entre 1050-950 a.C. processos de acumulação de riquezas e poder militar rompem essa sociedade, fazendo surgir uma elite que institui a monarquia e consolida as relações assimétricas. Pela longa duração desse processo podemos ver que ele não aconteceu sem resistência.  A monarquia significa uma centralização de poder, que se faz explorando o trabalho e a produção dos camponeses. Estes são obrigados a entregarem parte de sua produção agro-pastoril, suas filhas e filhos para trabalharem nas obras e guerras decididas pela corte (1Sm 8,11-17). Essa grande modificação introduzida na sociedade exige uma legitimação, que será buscada construindo um grande templo ao Deus libertador na antiga cidade cananéia de Jerusalém e codificando uma teologia, uma espiritualidade e uma liturgia oficial a partir do culto de um importante setor das tribos, o culto ao Deus YHWH. E dali em diante Israel terá duas principais vertentes teológicas: uma a que vem da libertação e da partilha da terra, viva na memória, nos vários santuários tribais e entre as organizações camponesas remanescentes do tribalismo que, de tempos em tempos, é retomada e reapresentada pelos profetas; outra, a teologia oficial da corte e do Templo de Jerusalém, dos sacerdotes, escribas e funcionários do rei. É então somente a partir da instalação da monarquia, principalmente com Davi e Salomão que a Bíblia começará a ser escrita. Estas duas teologias estão entrelaçadas nos textos sagrados do Judaísmo. Jesus escolherá uma delas e será perseguido e morto pelos representantes da outra.

 

 

Jesus

 

Algo semelhante sucede no movimento de Jesus. Jesus, como um profeta reformador da fé de Israel busca resgatar os princípios e as práticas que deram origem ao povo de Israel. Bebe, inspira-se na vertente popular do Deus libertador do Êxodo, da partilha da terra e do poder, experimentado no tribalismo e presentes nas mais genuínas tradições de Israel. De mãos dadas com os profetas de Israel, busca superar o legalismo e o ritualismo que se haviam instalado em Israel. Resgata as práticas de solidariedade acolhendo a pessoas pobres, doentes que por serem consideradas impuras eram excluídas do convívio social. Ataca as elites que desta forma se auto-legitimavam como justas e puras e cumpridoras da vontade de Deus. Anuncia o julgamento de Deus para as elites e o Reino de Deus para os pobres. Seus seguidores organizados em pequenas comunidades domésticas nas periferias das grandes cidades do império romano, traduziram a proposta de Jesus para este contexto criando comunidades de partilha do pão, resgatando a dignidade dos pobres, dos sem-terra, sem-lugar, sem cidadania, sem-liberdade. Comunidades reunidas em torno de mesas onde se desfaziam todas as hierarquizações e discriminações existentes tanto nas comunidades judaicas mais tradicionais como na sociedade greco-romana em geral. Ali já “não se distingue mais o judeu do grego, o homem da mulher, o senhor do escravo” (Cf. Gl 3,27-28). A mesa do pão partilhado, em nome do pai e do filho, torna a todos irmãos no mesmo espírito do Deus libertador, e a partir dela cresce uma ética que deve invadir todas as relações que perfazem o cotidiano dos seguidores e seguidoras de Jesus. Começam a viver concretamente aqui e agora os sinais do que será o Reino de Deus. Assim o cristianismo cresce e se espalha por todo o império. Para reforçar e defender esta prática surgem os escritos que comporão o novo testamento.

 

 

 

O império romano tenta apropriar-se do cristianismo

 

Porém dentro do cristianismo, emparedado pelas perseguições contra ele movidas pelo império romano, no final do primeiro e no segundo século, crescem algumas correntes que acentuam o patriarcalismo, o espiritualismo e o ritualismo, onde a ética que distinguia e contrapunha o cristianismo ao império se desvanece. Estas correntes estão prontas para aceitar o imperador em seu meio. E assim, certa linha do cristianismo, mais ou menos em torno do ano 330 d.C., começa a ser codificado como religião oficial do império romano. A partir dessa aceitação começamos a ter também duas formas de ver o cristianismo. Uma mais coerente com a vida de Jesus e das primeiras comunidades, e outra instituída e organizada a partir do poder e integrada nos projetos de poder do império romano.

 

Um pouco diferente do processo do judaísmo é a questão dos escritos. Os escritos do Novo Testamento a estas alturas já estavam elaborados. Mas a influência de Constantino se fará sentir na definição do Cânon cristão, na ordem dos livros dentro dele, e principalmente na estruturação do poder e da hierarquia dentro da igreja cristã imperial, e na elaboração teológica e na codificação doutrinal que se fará dentro desta nova hermenêutica cristã.

 

Essas duas vertentes perpassam a Bíblia e adentram na história cristã. Numa alinham-se os profetas, Jesus, e a fraternidade da mesa partilhada na igreja primitiva; da outra provêm a exigência dos sacrifícios, oferendas e tributos, o legalismo e o ritualismo que excluem os pobres e beneficiam e justificam as elites. Embora se refiram a um mesmo Deus, os conflitos entre eles revelam que seus Deuses são diferentes. Entretanto, estas diversas leituras incorporam-se ao texto bíblico e às teologias e fundamentam e possibilitam as várias leituras bíblicas existentes.

 

 

As escrituras são como um grande mar: contém águas de muitos rios

 

Um exemplo, deste longo processo de formação de um texto, pode ser percebido na expressão de Jesus qualificando o Templo como um “covil de ladrões”, que se encontra em Mc 11,17; Mt 21,13; Lc 19,46. Ora, esta expressão não é criada por Jesus, não foi ele o primeiro a fazer esta denúncia contra os sacerdotes do templo. A Bíblia nos mostra que o profeta Jeremias proferiu esta mesma qualificação por volta do ano 600 a.C. (Jr 7,11). Porém ao lermos a narrativa do julgamento de Jeremias (Jr 26) ficamos sabendo que tampouco ele foi o primeiro a falar deste modo contra o Templo. Em Jr 26,18-19 é dito que Miquéias, que atuou uns 120 anos antes que Jeremias, também já havia atacado o templo de igual maneira. Ainda em Jr 26,20-24 está guardada a memória de Urias, um profeta que pagou com a vida certamente por ter dito coisas semelhantes. Pode-se perceber, até aqui, que há uma linha que une a pregação de Jesus com a pregação de Jeremias, que viveu 600 anos antes de Jesus, e além dele, pois chega até Miquéias, mais ou menos em 740 a.C. No entanto podemos seguir esta linha ainda mais para trás na história de Israel, e chegar até as raízes de Israel. Até a sociedade tribal, antes da monarquia. Podemos ver isso na presença da memória da destruição de Silo (que aconteceu por volta de 1.030 a.C.) citada tanto em Jr 7,12 como em Jr 26,6.9.  Silo era um importante santuário da tribo de Efraim, onde estava guardada a chamada Arca da aliança. Silo, porém, foi destruído pelos filisteus, que também se apoderaram da Arca (1Sm 4-6).  Os sacerdotes sobreviventes de Silo estabelecer-se-ão em Nob. Porém aparentemente tomam partido a favor de Davi na disputa pela sucessão de Saul (1Sm 21,1-9) e por isso serão massacrados por Saul (1Sm 22,7-19). Deste massacre escapará um sacerdote, Abiatar. Ele irá aliar-se com Davi (1Sm 22,20-23). Davi após conquistar a cidade de Jerusalém (2Sm 5,6-10) levará Abiatar consigo. Davi retoma a Arca dos filisteus e a levará para Jerusalém (2Sm 6). Reúne Abiatar e a Arca novamente.

 

Mas Davi terá dois sumos sacerdotes, um deles será Abiatar. O outro será Sadoc (2Sm 8,17; 20,25), provavelmente um sacerdote de origem cananéia que comandava o culto oficial da monarquia dos jebuseus que vivia anteriormente em Jerusalém. De fato, Abiatar vai acompanhar todo o reinado de Davi. Com a velhice ou a morte de Davi, origina-se uma disputa pelo trono dentro da sua própria família. A disputa divide a corte em dois grupos: o dos filhos de Davi nascidos em Hebron (2Sm 3,2-5) e os filhos de Davi nascidos em Jerusalém (2Sm 5,13-16). O grupo das mulheres e dos filhos nascidos em Hebron certamente representa maior proximidade com as tradições tribais javistas israelitas. Junto com eles, apoiando a Adonias estará o comandante Joab e também o sumo sacerdote Abiatar (1Rs 1,5-8). O outro grupo, das mulheres e filhos nascidos em Jerusalém está mais próximo das tradições monárquicas, estatais, cananéias. Com eles, apoiando Salomão, estará o chefe dos guerreiros mercenários estrangeiros e o sumo sacerdote Sadoc (1Rs 1,38-39). Salomão resulta vencedor deste conflito e o grupo oposto será assassinado (1Rs 2,12-35), com exceção do sacerdote Abiatar que será expulso para a cidade de Anatot (1Rs 2,26-27), terra de onde virá Jeremias, membro desta linhagem sacerdotal. Neste sentido, ao lermos o profeta Jeremias percebemos que ele conhecia claramente a história e a realidade de Jerusalém, as intrigas de poder, por isso pode afirmar que o Templo é um covil de ladrões. Por sua vez, os evangelhos (Mc 2,26) parecem recolher esta memória da tradição oral, uma vez que confunde o nome de Aquimelec/Aimelec (cf. Mc 2,26), o sacerdote com o qual Davi se encontrou em 1Sm 21,2 com seu descendente mais notório, Abiatar, que posteriormente será um dos principais sacerdotes do reino de Davi.

 

 

Bíblia e Evangelização: resgatar a memória viva na história

 

A partir dos elementos anteriores podemos agora olhar para a questão da inspiração. Uma pergunta que se coloca neste momento é como tudo isso chegou até a época de Jesus. A suspeita é de que tenha vindo através da tradição conservada no ambiente das famílias camponesas, que conservaram a espiritualidade e as tradições dos antigos santuários. Isto deve nos fazer perceber que por debaixo do texto bíblico correm dois grandes rios: o primeiro deles é o rio da teologia oficial, o qual tem como centro a família de Davi, a teologia do templo, a lei do sábado, da circuncisão e do puro versos impuro, da raça eleita; o segundo deles é o rio da teologia popular, que vem do êxodo, tribos, profecias, de uma sabedoria tribal e que vai inspirar Jesus.

 

 

Bíblia e Evangelização: resgatar a vida por trás das palavras lá e cá

 

A partir disto fica claro para nós que a Palavra de Deus não está no livro em si, não está nas escrituras, mas está nos eventos. Para essa discussão é extremamente importante termos sempre em mente a imagem dos negros profetas zulus gritando aos brancos: “Antes possuíamos a terra e vocês tinham a Bíblia. Agora vocês possuem a terra e para nós restou a Bíblia”[4]; ou dos povos originários andinos, cujo representante “devolveu a Bíblia ao Papa dizendo: ‘leve de volta esse livro porque ele é a causa do nosso extermínio’”[5]. Isso significa que a Bíblia não foi “Palavra de Deus”, ou “Evangelho – Boa Nova” para estes povos. Assim como também não foi em outras situações históricas para outros povos, grupos e pessoas.

 

É necessário aprofundar a partir disso a questão de quem é que institui uma palavra enquanto Palavra de Deus, e de como isso acontece. Os que a ditam como norma e regra a partir de uma posição de poder e domínio, ou os pobres que a recebem enquanto Palavra que os anima e promove mais vida e justiça para os injustiçados? Na Bíblia os momentos fundantes do judaísmo e do cristianismo foram instituídos, respectivamente, enquanto Revelação – Palavra de Deus, e enquanto Boa Nova – Evangelho de Deus, pelos escravos e camponeses espoliados no AT, e pelos pobres, excluídos no NT. Mas há também na Bíblia, aproveitando-se do sucesso dessa palavra popular, a apropriação dela feita pelas instâncias de poder: a palavra da monarquia, instituída em nome do YHWH libertador, e a codificação do cristianismo feita após sua cooptação pelo império romano. E isto influenciou na forma como compreendemos e com que finalidade trabalhamos com a Bíblia.

 

 

Quem institui a Palavra de Deus? O Evangelho – Boa Nova?

 

Do mesmo modo que nas experiências fundantes de Israel não foram o faraó e os reis que reconheceram nos eventos do êxodo a manifestação – “Palavra” do Deus libertador, mas foram os escravos e camponeses que se libertaram da escravidão; assim como não foram as autoridades judaicas que reconheceram em Jesus o “Evangelho – A Boa Nova da chegada do reinado de Deus”, na Evangelização este reconhecimento, esta leitura, deve ser feita por que está recebendo as escrituras e não por quem a está trazendo. As escrituras somente serão reconhecidas como Palavra de Deus – Evangelho – Boa Nova, quando atualizarem, promoverem na vida das pessoas e comunidades que as estão recebendo a mesma experiência de libertação e salvação experimentada pelos grupos que estão na origem da fé de Israel e do cristianismo. As escrituras não são Palavra de Deus em si. Serão Palavra de Deus pela função que exercerem na vida daqueles e daquelas que a estão recebendo. A Evangelização deve levar muito a sério esses questionamentos e esforçar-se para configurar, com seu anúncio e com seu testemunho, um evento, uma experiência, que seja reconhecida Palavra de Deus, como Boa Nova, e não palavra de morte, como foram essas Bíblias rejeitadas e devolvidas. Se promover a Vida solidária, principalmente onde ela está mais ameaçada, é Palavra de Deus, é Boa – Nova Evangelho; caso contrário não.

 

Também assim deve ser a nossa compreensão da inspiração. Uma definição autoritária da inspiração vem acentuar a questão da lei, das normas e da hierarquia de poder em detrimento do espírito. Contudo, a força da Bíblia, do Deus e da espiritualidade da Bíblia nasce e está na defesa da vida. E é este espírito que devemos procurar.

 

Como então trabalhar com as comunidades estas questões, para que elas descubram estes elementos? Não tenho as respostas, mas penso que um dos caminhos seja procurar trabalhar a Bíblia e a Evangelização numa perspectiva menos clerical e mais leiga. Menos centrada em objetivos catequéticos, dogmáticos e de auto-reprodução eclesial. E mais diretamente relacionada com os movimentos sociais e populares, com temáticas definidas a partir das relações com estes movimentos, que perpassam as igrejas, mas que vão bastante além delas. Isso pode ajudar a superar os limites de nossa formação catequética e teológica, de nossa espiritualidade que é ainda muito clericalizada. Muito do que somos hoje, no que se refere ao cristianismo tem suas raízes na época de Constantino. Isso é tão forte que marca todas as igrejas. Ou seja, a maior parte do que se faz nas comunidades, a prática pastoral, ou o que se costuma chamar de evangelização, o uso da Bíblia nas comunidades ainda gira em torno da igreja institucional, ou das igrejas institucionalizadas. Este “eclesiocentrismo” parece ser ecumênico. Parece que Jesus disse: “Eu vim para que todos e todas tenham igrejas e igrejas em abundância”, ou doutrinas e doutrinas em abundância, ou sacramentos e rituais em abundância... Não é nisto que despendemos mais ou menos 90% dos nossos recursos humanos e financeiros? Quase todos nós recebemos uma formação e atuamos dentro destes padrões.

 

 

A sacralidade da vida

 

Uma perspectiva leiga estaria mais voltada para a vida do povo. Cabe a nós, no entanto fomentar este outro modo de ler a Bíblia, de fazer teologia, que nasce da vida, preocupada em perceber e celebrar a presença do sagrado na vida, no cotidiano. A teologia clerical vem ainda de uma matriz que divide o mundo em sagrado e profano, e que reforça o miraculoso: a passagem no Mar Vermelho, os milagres e a Ressurreição de Jesus. A reflexão sobre Deus, a experiência de Deus na vida cotidiana e na história, foi o que Jesus fez. Por exemplo, um dos aspectos mais característicos do ensino e da prática de Jesus foram as parábolas. Porém entre as parábolas não encontramos nenhuma que se refira aos elementos da religião oficial de sua época – templo, circuncisão, altar, sacrifícios, pureza, sábado... e as apresente como imagem do Reinado de Deus. O contrário acontece com os elementos da vida cotidiana das mulheres e homens do seu tempo: O Reinado de Deus é como uma mulher que misturou um punhado de fermento na massa, é como uma mulher que perdeu uma moeda, é como o semeador, a semente, o pescador, o pastor, a viúva pobre...

 

Temos que trabalhar a Bíblia e promover uma Evangelização em função da vida e não em torno da própria Bíblia e da igreja. Para que isto não aconteça precisamos sempre ter claro o que nós queremos. Nossa metodologia deveria começar pela pergunta: o que impede que as pessoas de nossas comunidades tenham vida em abundância? O que podemos fazer para salvar os rios, as matas, e refazer o equilíbrio entre todas as formas de vida da natureza, desta grande teia da qual nós não somente fazemos parte, mas dependemos inteiramente para viver? O trabalho Bíblico assim como a Evangelização deve partir de um diagnóstico da situação, da realidade. Precisamos estar cientes das inquietações que nos movem, que movem as pessoas a realizarem um curso bíblico, que nem sempre é aquilo que aparece à primeira vista. Por vezes, o que as pessoas manifestam é aquilo que elas imaginam que nós queremos escutar. Num curso sempre aparecem elementos religiosos, mas precisamos conhecer o dia-a-dia e em cima disso montar o curso. Aí sim entra a Bíblia, num segundo momento. Neste segundo momento é que nós vamos estudar os livros, épocas, autoria, processo de composição, etc.

 

Uma compreensão da Bíblia e uma compreensão da ação Evangelizadora, como vimos acima, e as perguntas que nascem da vida devem ser nosso  ponto de entrada na Bíblia e nosso ponto de partida para a Evangelização. Isso é ver a Bíblia com um espelho da realidade, como diz frei Carlos. O que vem antes do texto é muito importante, e precisamos dedicar um bom tempo para isso. É o que aconteceu para os discípulos de Emaús. Apesar de tudo o que foi explicado, tudo acabou. Só falar de Bíblia não transforma a vida das pessoas, não muda o sentido de sua caminhada. O uso da Bíblia na Evangelização hoje deve servir para iluminar a presença da Libertação, da Salvação dentro da vida da comunidade, ou de possibilitar que estas comunidades experimentem processos de libertação e de salvação semelhantes àqueles que deram origem às religiões bíblicas. E esta forma de usar a Bíblia deve buscar com que as nossas comunidades de hoje coloquem-se a serviço deste tipo de Evangelização, desta forma de anúncio da Palavra de Deus.

 

Mas, por outro lado, também devemos estar cientes de que a Palavra de Deus e o Evangelho que nós temos são uma construção histórica, pois do mesmo modo outros povos e culturas vão afirmar que outros livros são Palavra de Deus, e que os seus livros é que são inspirados. Neste sentido, precisamos saber compreender estes conceitos dentro de nossa história e de nossas culturas e para abrir-nos ao diálogo com as demais tradições religiosas.... Neste ponto precisamos – toda a humanidade, todos os povos e todas as culturas – compreender que o Deus da Vida – é muito maior do que tudo o que podemos dizer e pensar sobre ele, e que todas as formas de vida são parte importante desta imensa sinfonia da Vida – tremendamente maior e mais importante que nossos rituais, nossos dogmas, nossas instituições religiosas - e na qual nós, seres humanos, somos apenas algumas notas acrescentadas no último minuto. Ainda não estamos bem arranjados, bem adaptados, ainda não nos submetemos ao Espírito desta belíssima e complexa sinfonia. Acrescentamos alguma melodia, mas também muita dissonância, tanta que se não tivermos humildade, se não nos dispusermos a aprender uns com os outros, conviver e compartilhar esta partitura de forma solidária com todas as outras formas de vida, poderemos causar nossa exclusão da sinfonia da Vida, e não teremos experimentado a Palavra, a Boa Nova que Deus tem para nós aqui e agora.

 

                                                                     (Texto para debate)

                                                                       Luiz José Dietrich

                                                                         Verão de 2009



Biblia y Evangelización

 

Presento aquí un texto con algunas ideas polémicas. En verdad, es más un conjunto de provocaciones que un texto. Con esto deseo aguzar el raciocinio y estimular el debate. Espero así estar contribuyendo para que, conforme a las palabras del Papa Benedicto, tengamos “una fe inteligente, de modo que la fe se torne inteligencia y la inteligencia se torne fe”. Por tanto, hablar de relación entre Biblia y Evangelización fundamentalmente implica hablar del modo cómo presentamos la Biblia a la gente y con qué finalidad lo hacemos. En tanto, esas dos cosas dependen del modo como comprendemos la Biblia, cómo y qué comprendemos por Evangelio – Buena Noticia.

 

 

Muchas raíces, muchos colores. Varias lecturas, varios proyectos

 

En América Latina la Biblia es leída y comprendida de muchas maneras. Esta diversidad es parte de la búsqueda de la Palabra de Dios en la Biblia y en la historia. Refleja varias concepciones de Dios, su voluntad y sus valores. Las sociedades están, generalmente, formadas por grupos con  intereses divergentes y hasta contradictorios, y como Dios y su Palabra nos ofrece sentidos, legitiman normas, leyes e instituciones, cada grupo procura mostrar a Dios y a su Palabra de acuerdo con su visión del mundo y sus intereses. Los conflictos sociales, que atraviesan toda sociedad, no escapan ni a la Biblia ni a las formas de leerlas, pues tanto una como otras nacen y se desenvuelven en situaciones similares.

 

            En la Biblia ese conflicto entra con la monarquía. Antes los israelitas vivían en tribus autónomas, trabajando y compartiendo la tierra en forma solidaria y con pocas diferencias sociales entre ellos. El Dios descubierto en el proceso de liberación de los esclavos en Egipto y de los campesinos en las ciudades estados de Canaán patrocinaba esa organización. Sin embargo, procesos de acumulación de riqueza, poder religioso y militar originan una elite que rompe el la organización tribal e instituye la monarquía, presentándola como la Voluntad del mismo Dios liberador de los campesinos. En su nombre se exige pagar tributos y hacer trabajos forzados. De allí en adelante, Israel tendrá dos vertientes teológicas: una que viene de la liberación y del compartir la tierra, viva entre las organizaciones campesinas remanentes; y otra, la oficial,  de la corte, de los sacerdotes, escribas y funcionarios del rey. Algo semejante sucede cuando la Buena Nueva de Jesús a los pobres se torna religión del imperio romano. Se consolidan así dos corrientes que serán  vertientes que atraviesan la historia de Israel y todos los escritos bíblicos y que, además de eso, se extienden también dentro de la historia cristiana.

 

 

Dos grandes ríos

 

Así, las gran diversidad en la manera de presentar, leer y comprender la Biblia puede, básicamente, ser analizada a partir de estas dos referencias. Al hablar de “dos vertientes”, “dos ríos”, “dos referentes”,  pienso ser consciente de trabajar con un dualismo que de ninguna manera corresponde a la realidad, donde en verdad entre esas dos posibilidades coexisten muchas otras que cubren el espacio entre ellas, como las muchas varillas que unen los dos extremos de un vistoso y colorido abanico. Tomo como ejemplo los dos extremos para facilitar la discusión sobre el tema. Son como dos grandes ríos que, sabemos, se han formado con muchas aguas, pero que corren juntas en un mismo caudal.

 

            El primer modo se funda en la creencia que la Biblia es Palabra de Dios, fruto de una revelación directa de dios o de inspiración divina. Algunas corrientes cristianas inclusive profesan una inspiración literal de cada una de las palabras del texto bíblico[1]. Ahora, cuando la Biblia es simplemente presentada de esta manera prácticamente se refuerza la idea de que ella es un libro “caído del cielo”, negando las relaciones que la Biblia posee con la historia. Entonces las personas la reciben como algo ya pronto y, por tanto, las preguntas acerca del contexto (conflictos, cargos, modos de organización, género, intereses económicos, situaciones sociales…) carecen de significado, se vuelven superfluas. Pues si Dios habló, ya está todo dicho! No interesa para quién, ni cuándo, ni dónde.

 

            Ciertamente la Biblia es fruto de revelación o inspiración. Pero es preciso aclarar lo que entendemos por esto, para no reforzar una comprensión a-histórica, casi mágica de la Biblia, la que todavía hoy es muy común. ¿Cómo sucede la revelación? ¿Cómo interfiere en el texto bíblico la revelación?  ¿La revelación se manifiesta en los eventos y la inspiración en lo escrito que describe los eventos?  ¿Cuál es la relación entre revelación/inspiración, los eventos fundamentales de las religiones y las escrituras sagradas que tienen sus raíces en estos eventos? No podremos dar una respuesta satisfactoria a estas cuestiones si no tomamos la historia/realidad como la puerta de entrada para la comprensión de la Biblia.

 

            Mirando los eventos que dieron origen y consolidaron el surgimiento de los escritos bíblicos, percibimos que durante la mayor parte del tiempo en la cual la Biblia fue escrita ella no era “Biblia”. El significado de “Biblia” y especialmente de Biblia como “Palabra de Dios”, como es usado actualmente, fue construido a lo largo de la historia. Para las personas que escribieron los textos bíblicos, estos escritos tenían otros variados significados, muy diferentes del significado que ellos tienen hoy para nosotros. Las personas estaban escribiendo memorias de sus antepasados, de sus héroes, de sus templos e instituciones y de los acontecimientos pasados; leyes, cantos, proverbios, discursos, crónicas y oraciones.  Servían para establecer identidades, demarcar tradiciones, definir rumbos y límites.

 

 

¿Cómo nació la Biblia?

 

Los textos que hoy componen la Biblia inicialmente circulaban aislados unos de otros, en forma oral o en forma escrita; en espacios diferentes como los clanes familiares, los santuarios tribales, o el templo y la corte de Jerusalén. Funcionan como fuentes de identidad familiar, tribal y monárquica, simultáneamente como bases religiosas, jurídicas y políticas de los diversos estratos sociales de aquella época. Sólo en un momento posterior, cerca del año 400 A.C. es que estos escritos comienzan a ser instituidos como “Palabra de Dios”. Es recién en esta época que comienza a nacer este libro que hoy es la Biblia para nosotros. Es recién entonces que los textos fueron “canonizados”. (Obs. Cerca del año 400 debió ocurrir la canonización de la Torá o Pentateuco.  Pero los textos proféticos fueron canonizados alrededor del año 200 A.C. y los Escritos –los sapienciales- cerca de los años 50 A.C.). Y es tan sólo después de su canonización  que los textos pasan a ser vistos como sagrados[2], carácter que ellos no poseían hasta ese momento.  Entre tanto, hasta que los textos llegaron a ser incluidos en el canon ellos sufrieron unas series de cambios, como es el caso del Pentateuco que llevó aproximadamente 600 años hasta llegar a la forma como lo conocemos en la actualidad. O sea, las tradiciones orales y los textos van cambiando de acuerdo con las transformaciones históricas de la sociedad israelita. Lo que aparece más fácilmente, en una lectura medio rápida y superficial, es el colorido que los textos recibieron en su última redacción. Pero con un poco más de cuidado los otros colores que poseían antes de eso pueden también ser percibidos.

 

            Por eso, un segundo modo de presentar las escrituras es presentarlas como resultantes de un largo y complejo proceso histórico. Ese proceso tiene sus orígenes en el surgimiento de las tribus de Israel (1250 A.C.). Ahora, en aquel periodo se distinguen diversos grupos que se unen con el objetivo de conquistar la libertad para libremente trabajar la tierra y gozar del fruto de su trabajo. Aunque el grupo más numeroso sea constituido por los habitantes de la región de Canaán, no se logró una unidad completa, sino que cada región poseerá su propia autonomía. Esto es importante pues las tradiciones orales y los escritos no surgen en un único lugar. En el reino del Norte, también por ser mayor y tener un mayor número de tribus, esta diversidad perduró más tiempo que en el del Sur, donde por el hecho de ser un área geográfica menor y de poder político y religioso concentrado en la ciudad de Jerusalén, muchas tradiciones y escritos estarán concentrados allí o por lo menos en sus alrededores.

 

 

Las escrituras y el poder

 

            En un primer momento tanto a fe de Israel como la de los seguidores de Cristo Jesús existen en medio de su pueblo como tradición oral, viva en la memoria, en las historias, en las prácticas y en las instituciones de los diversos grupos que constituyen sus sociedades. En ese momento no estaban ligadas a estructuras estatales, monárquicas o imperiales. Pero, luego serán integradas dentro de la organización sociopolítica de un estado y/o imperio. Sucede que será recién en esta etapa que esas tradiciones comienzan a ser codificadas en textos escritos como religión. Es en esas condiciones que las tradiciones orales que circulaban en diversas tribus recibieron expresión escrita. Llegan a ser un libro.  En forma de libro, escrita, ley del rey, del estado, del emperador, la religión pasará a desempeñar otros papeles. Será orientada por una hermenéutica de poder y para el poder. Es claro que la codificación escrita no mata, no agota ni hace desaparecer la religión viva en las historias orales y en la memoria del pueblo, el que la instituyó, antes de ser escrita, como una palabra buena, como una Palabra de Dios, como una religión de la tribu. Lo que sucede es que esas dos formas de esas mismas religiones pasarán a coexistir, no sólo en medio del pueblo, sino también en el cuerpo de los escritos. Coexisten los textos, sea chocando, sea compitiendo, sea excluyéndose unos a otros. Coexisten porque el libro para ser sagrado necesita nutrirse de lo sagrado instituido antes por el pueblo, necesita permitir que el pueblo se reconozca, se identifique con las palabras escritas, sino no tendrá la fuerza deseada.

Así, los textos sagrados están como atravesados por dos ríos de aguas abundantes: en uno se sacan aguas para la guerra, en otro para la paz.

 

 

Moisés

 

            En el caso de la religión de Israel, aunque el libro sagrado inicie con una narración de la creación del mundo, el surgimiento del pueblo y de la fe de Israel está relacionado con lo que se conoció como Éxodo: la liberación de mujeres y hombres esclavos de la opresión del  faraón de Egipto. Hoy se sabe que si, por un lado, el grupo de personas esclavizadas que se liberó de la opresión egipcia no fue tan grande como se puede inferir de una lectura veloz y superficial de los textos bíblicos – que hablan de 600.000 hombres, sin contar mujeres y niños, además de una masa de gente de diversas procedencias (Ex 12,37-38) – por otro lado, esa historia se presenta agrandada, grandiosa, hinchada por contener dentro de sí, en las líneas y entrelíneas, muchas otras historias de opresión y liberación vividas por diversos personajes y grupos diferentes a lo largo de la historia de Israel.

 

            La historia de los esclavos llegó a ser el paradigma preferido para denunciar los procesos de opresión y para traducir experiencias de liberación. Así, dentro de lo que hoy conocemos como el “Éxodo” tenemos, por ejemplo, la experiencia de los millares de campesinas y campesinos cananeos que se liberaron de la explotación  a la que doblemente estaban sometidos en las manos de los reyes cananeos bajo el poder del imperio egipcio. Estos, sin haber pisado nunca el Egipto, también fueron liberados de la opresión egipcia, pues la tierra de Canaán estaba sometida al imperio de los faraones. Y tenemos igualmente allí, entre otras, la experiencia de los hombres y mujeres israelitas sometidos a pesados tributos y a trabajos forzados por la monarquía salomónica, y la experiencia del judaísmo en el exilio babilónico. Es el proceso que con Fray Carlos Mesters aprendemos a llamar “relectura”[3]

 

 

Una nueva experiencia de Dios

                                           

            En la raíz del pueblo de Israel está la experiencia de liberación de los esclavos de Egipto y de los campesinos cananeos, la que fue interpretada como fruto de una intervención de Dios. Un Dios completamente diferente de los otros dioses y diosas conocidas. Un Dios de los oprimidos, que mira la miseria, escucha el clamor, conoce el sufrimiento y baja para libertar a los oprimidos (Ex3,7-8). Esa experiencia de Dios fue radicalmente diversa de todas las otras experiencias  de Dios que se conocían en esa época. Los dioses más poderosos, vencedores, eran los dioses de los reyes cananeos, de los faraones egipcios. Había entre los dioses y las diosas una jerarquía semejante a la que había entre las personas. No se conocía ningún Dios libertados de los pobres y oprimidos dentro de las teologías hasta entonces existentes. Serán los esclavos de Egipto los portadores de esta revelación: Existe un Dios contrario a la opresión y a la explotación. Un Dios que milita para libertar a los oprimidos. Esa experiencia de Dios es la piedra fundamental para la constitución de Israel, la que se concretizará, después de derribar las ciudades – estados cananeas y con la liberación de los campesinos y campesinas cananeos, en el establecimiento de una sociedad tribal, donde la tierra y el poder son compartidos, y donde se establecen leyes coherentes con el espíritu del Dios liberador, leyes que impiden la acumulación de tierras y bienes, la opresión y explotación, y que promueven la solidaridad.

 

 

 

 

La Monarquía intenta apropiarse del Dios de los campesinos

 

               Pero el Israel tribal existe más o menos de esta forma, sin poder ser centralizado, entre los años 1250 ‘ 1050 A.C. Entre los años 1050 – 950 A.C. procesos de acumulación de riquezas y poder militar rompen esta sociedad, haciendo surgir una elite que instituyó una monarquía y consolida las relaciones asimétricas. Por la larga duración de este proceso podemos ver que esto no aconteció sin resistencia. La monarquía significa una centralización del poder que se logra explotando el trabajo y la producción de los campesinos. Estos son obligados a entregar parte de su producción agrícola – pastoril, sus hijas e hijos para trabajar en las obras y en las guerras decididas por la corte (1 Sm 8,11-17). Esa gran modificación introducida en la sociedad exige una legitimación, la que será buscada construyendo un gran templo al Dios liberador en la antigua ciudad cananea de Jerusalén y codificando una teología, una espiritualidad y una liturgia oficial a partir del culto de un importante sector de las tribus, el culto al Dios YHWH. Y de allí en adelante Israel tendrá dos vertientes teológicas principales: una que viene de la liberación y del compartir la tierra, viva en la memoria y en los diversos santuarios tribales y entre las organizaciones campesinas remanentes de la estructura tribal que, de tiempo en tiempo, es retomada por los profetas; otra, la teología oficial de la corte y del Templo de Jerusalén, de los sacerdotes, escribas y funcionarios del rey.  Es, entonces, recién a partir de la instalación de la monarquía , principalmente con David y Salomón que la Biblia comenzará a ser escrita. Estas dos teologías están entrelazadas en los textos sagrados del Judaísmo. Jesús escogerá una de ellas y será perseguido y asesinado por los representantes de la otra.

 

 

Jesús

 

               Algo semejante sucede en el movimiento de Jesús. Jesús, como un profeta reformador de la fe de Israel busca rescatar los principios y las prácticas que dieron origen al pueblo de Israel. Bebe y se inspira en la vertiente popular del Dios liberador del Éxodo, del compartir la tierra y el poder, experimentado en las tribus y presente en las más genuinas tradiciones de Israel. En sintonía con los profetas de Israel, busca superar el legalismo y el ritualismo que se habían instalado en Israel. Rescata las prácticas de solidaridad acogiendo a las personas pobres, enfermas que por ser consideradas impuras eran excluidas de la convivencia social. Ataca a las elites que de esta forma se auto-legitimaban como justas, puras y cumplidoras de la voluntad de Dios. Anuncia el juicio de Dios para las elites y el Reino de Dios para los pobres. Sus seguidores, organizados en pequeñas comunidades domésticas en las periferias de las grandes ciudades del imperio romano, traducirán la propuesta de Jesús para este contexto creando comunidades que comparten el pan, rescatando la dignidad de los pobres, de los sin tierra, sin lugar, sin ciudadanía, sin libertad. Comunidades reunidas alrededor de mesas donde se deshacían todas las jerarquizaciones y discriminaciones existentes  tanto en las comunidades judaicas más tradicionales como en la sociedad greco-romana en general.  Allí ya “no se distingue más entre judíos y griegos, hombre o mujer, señor o esclavo” (cfr. Gal 3,27-28).  La mesa del pan compartido, en nombre del padre y del hijo, hace a todos hermanos en el mismo espíritu del Dios liberador, y a partir de esta crece una ética que debe invadir todas las relaciones que atraviesan lo cotidiano de los seguidores y seguidoras de Jesús. Comienzan a vivir concretamente aquí y ahora los signos de lo que será el Reino de Dios . Así el cristianismo crece y se expande por todo el imperio. Para reforzar y defender esta práctica surgen los escritos que compondrán el nuevo testamento.

 

 

El imperio romano intenta apropiarse del cristianismo

 

               Sin embargo dentro del cristianismo, robustecido por las persecuciones contra ellos promovidas por el imperio romano, a fines del primer y segundo siglo, crecen algunas corrientes que acentúan el estilo patriarcal, el espiritualismo y el ritualismo, donde la ética que distinguía y contraponía el cristianismo al imperio romano se desvanece. Estas corrientes están prontas para aceptar el emperador en su medio.  Y así, cierta línea del cristianismo, más o menos en torno al año 330 D.C., comienza a ser codificada como religión oficial del imperio romano.  A partir de esa aceptación comenzamos a tener también dos formas de ver el cristianismo. Una más coherente con la vida de Jesús y de las primeras comunidades, y otra instituida y organizada a partir del poder e integrada en los proyectos de poder del imperio romano.

 

               Un poco diferente del proceso del judaísmo es la cuestión de los escritos. Los escritos del Nuevo Testamento a estas alturas ya estaban elaborados. Mas la influencia de Constantino se hará sentir en la definición del Canon cristiano, en el orden de los libros dentro de este y sobre todo en la estructuración del poder y de la jerarquía dentro de la iglesia cristiana imperial, también en la elaboración teológica y codificación doctrinal que se hará dentro de esta nueva hermenéutica cristiana.

 

               Esas dos vertientes atraviesan la Biblia y entran en la historia cristiana. Una se alinea con los profetas, Jesús y las fraternidades de mesa compartida en la iglesia primitiva; de la otra provienen la exigencia de los sacrificios, ofrendas y tributos, el legalismo y el ritualismo que excluyen a los pobres y benefician y justifican a las elites. Aunque se refieran a un mismo Dios, los conflictos entre ellas revelan que sus dioses son diferentes. Mientras tanto, estas diversas lecturas se incorporan al texto bíblico y a las teologías y fundamentan y posibilitan las diversas lecturas bíblicas existentes.

 

 

Las escrituras son un gran mar: contienen aguas de muchos ríos

 

Un ejemplo de este largo proceso de formación de un texto se puede descubrir en la expresión de Jesús calificando el Templo como una “cueva de ladrones”, que se encuentra en Mc 11,17 ; Mt 21,13 ; Lc 19,46. Ahora, esta expresión no fue creada por Jesús, no fue él el primero en hacer esta denuncia contra los sacerdotes del templo. La Biblia nos muestra que el profeta Jeremías profirió esta misma calificación cerca del año 600 A.C. (Jr 7,11). Sin embargo, cuando leemos la narración del juzgamiento de Jeremías (Jr 26) vemos que tampoco fue él el primero en hablar de este modo contra el Templo. En Jr 26, 18-19 se dice que Miqueas, que actuó unos 120 años antes de Jeremías, también ya había atacado al Templo de esta manera. Más aún, en Jr 26,20-24  está guardada la memoria de Urías , un profeta que pagó ciertamente con la vida por haber dicho cosas semejantes. Se puede ver, hasta aquí, que hay un línea que une la predicación de Jesús con la de Jeremías, que vivió 600 años antes de Jesús, y además de él, llega también a Miqueas, más o menos en el 740 A.C.  Por tanto, podemos seguir esta línea todavía más atrás en la historia de Israel y llegar hasta las raíces de Israel. Hasta la sociedad tribal, antes de la monarquía. Podemos ver esto en la presencia de la memoria de la destrucción de Silo (que sucedió cerca del 1030 A.C.) citada tanto en Jr 7,12 como en Jr 26,6.9.  Silo era un importante santuario de la tribu de Efraín, donde estaba guardada la llamada Arca de la Alianza. Silo, por tanto, fue destruido por los filisteos, que también se apoderaron del Arca (1 Sm 4,6). Los sacerdotes sobrevivientes de Silo se establecieron en Nob. Por tanto, aparentemente toma partido a favor de David en la disputa por la sucesión de Saúl (1 Sm 21,1-9) y por eso serán masacrados por Saúl (1 Sm 22,7-19). De esta masacre escapará un sacerdote, Abiatar. El irá a aliarse con David (1Sm 22,20-23). David, después de conquistar la ciudad de Jerusalén (2Sm 5,6-10) llevará a Abiatar consigo. David retoma el Arca de los filisteos y a llevará a Jerusalén (2 Sm 6). Reúne a Abiatar y al Arca nuevamente.

 

Pero David tendrá dos sumos sacerdotes, uno de ellos será Abiatar. El otro será Sadoc (2Sm 8,17; 20,25), probablemente, un sacerdote de origen cananeo que dirigía el culto oficial de la monarquía de los jebuseos que vivían anteriormente en Jerusalén. De hecho, Abiatar va a acompañar todo el reinado de David. Con la vejez o la muerte de David, se origina una disputa por el trono dentro de su propia familia. La disputa divide la corte en dos grupos: el de los hijos de David nacidos en Hebrón (2Sm 3,2-5) y los hijos de David nacidos en Jerusalén (2Sm 5,13-16). El grupo de las mujeres y de los hijos nacidos en Hebrón ciertamente representa una mayor proximidad con las tradiciones tribales Yavistas israelitas. Junto a ellos, apoyando a Adonías   estará el comandante Joab y también el sumo sacerdote Abiatar (1 Re 1,5-8). El otro grupo, de las mujeres e hijos nacidos en Jerusalén  está más próximo a las tradiciones monárquicas, estatales y cananeas. Con ellos, apoyando a Salomón, estará el jefe de los guerreros mercenarios extranjeros y el sumo sacerdote Sadoc (1Re 1,38-39). Salomón resulta vencedor en este conflicto y el grupo opuesto será asesinado (1Re 2,12-35), con excepción del sacerdote Abiatar que será expulsado a la ciudad de Anatot (1Re 2,26-27), tierra donde vivirá Jeremías, miembro de este linaje sacerdotal. En este sentido, cuando leemos el profeta vemos que él conocía claramente la historia y la realidad de Jerusalén, las intrigas del poder, por eso puede afirmar que el Templo es una cueva de ladrones. Por su parte, los evangelios (Mc 2,26) parecen recoger esta memoria de tradición oral, una vez que confunde el nombre de Aquimelec/Aimelec (cfr. Mc 2,26), el sacerdote con el cual David se encontró en 1 Sm 21,2 con su descendiente más notorio, Abiatar, que posteriormente será uno de los principales sacerdotes del reino de David.

 

 

Biblia y evangelización: rescatar la memoria viva en la tradición

 

A partir de los elementos anteriores podemos ahora ver la cuestión de la inspiración. Una pregunta que se pone en este momento es cómo todo eso llegó hasta la época de Jesús. La sospecha es que haya llegado a través de la tradición conservada por las familias campesinas, que conservaban la espiritualidad y las tradiciones de los antiguos santuarios. Esto nos hace descubrir que por debajo del texto bíblico corren dos grandes ríos: el primero de ellos es el río de la teología oficial, el que tiene como centro a familia de David, la teología del templo, la ley del sábado, de la circuncisión y de lo puro contra lo impuro, de la raza elegida; el segundo de ellos es el río de la teología popular, que viene del éxodo, de las tribus, de las profecías, de una sabiduría tribal y que va a inspirar a Jesús.

 

 

Biblia y evangelización: rescatar la vida por detrás de las palabras allí y acá

 

            A partir de esto queda claro que para nosotros la Palabra de Dios no está en un libro en sí, no está en las escrituras, sino que está en los eventos. Para esta discusión es extremadamente importante tener siempre en mente la imagen de los negros profetas zulú gritando a los blancos: “Antes poseíamos la tierra y ustedes tenían la Biblia. Ahora ustedes poseen la tierra y para nosotros quedó la Biblia”[4]; o de los pueblos originarios andinos, cuyo representante “devolvió la Biblia al Papa diciendo: “lleve de vuelta este libro porque él es la causa de nuestro exterminio””[5]. Eso significa que la Biblia no fue “Palabra de Dios” , o “Evangelio – Buena Noticia” para esos pueblos. Así como tampoco lo fue en otras situaciones  históricas para otros pueblos, grupos y personas.

 

Es necesario profundizar, a partir de esto, la cuestión acerca de quién y qué instituyó una palabra como Palabra de Dios, y de cómo eso sucede. ¿Los que la dictan como norma y regla a partir de una posición de poder y dominio, o los pobres que la reciben en cuanto Palabra que los anima y promueve más vida y justicia para los desprotegidos?  En la Biblia los momentos fundantes del judaísmo y del cristianismo fueron instituidos, respectivamente, en cuanto Revelación – Palabra de Dios y en cuanto Buena Noticia – Evangelio de Dios, para los esclavos y campesinos despojados en el AT, y para los pobres y excluidos en el NT. Mas, hay también en la Biblia, aprovechándose del suceso de esa palabra popular, una apropiación de lo hecho por las instancias de poder: la palabra de la monarquía, instituida en nombre de YHWH liberador y la codificación del cristianismo hecha después de su cooptación por el imperio romano. Y esto influenció en la forma como comprendemos y en la finalidad con que trabajamos con la Biblia.

 

 

¿Quién instituyó la Palabra de Dios, el Evangelio – Buena Noticia?

 

            Del mismo modo que en las experiencias fundantes de Israel no fueron el faraón o los reyes que reconocieron en los eventos del éxodo la manifestación /“Palabra” de Dios liberador, sino que fueron los esclavos y campesinos que se liberaron de la esclavitud; así como no fueron las autoridades judaicas que reconocieron en Jesús el “Evangelio – La Buena Noticia de la llegada del reinado de Dios”, en la Evangelización este reconocimiento y esta lectura debe ser hecha por los que están recibiendo las escrituras y no por quien las está trayendo.  Las escrituras sólo serán reconocidas como Palabra de Dios – Evangelio – Buena Noticia, cuando actualicen y promuevan en la vida de las personas y comunidades que la están recibiendo la misma experiencia de liberación y salvación experimentada por los grupos que están en el origen de la fe de Israel y del cristianismo. Las escrituras no son Palabra de Dios en sí. Serán Palabra de Dios por la función que ejerzan en la vida de aquellos y aquellas que la están recibiendo.  La evangelización debe tomar muy en serio estos cuestionamientos y esforzarse por configurar, con su anuncio y con su testimonio, un evento, una experiencia que sea reconocida como Palabra de Dios, como Buena Noticia, y no como palabra de muerte, como fueron esas Biblias rechazadas y devueltas. Si promueven la vida solidaria, principalmente donde ella está más amenazada, es Palabra de Dios, es Buena Noticia – Evangelio; en caso contrario, no.

 

            También así debe ser nuestra comprensión de la inspiración. Una definición autoritaria de inspiración viene a acentuar la cuestión de la ley, de las normas y de la jerarquía de poder en detrimento del espíritu. Con todo, la fuerza de la Biblia, de Dios y de la espiritualidad bíblica nace y está en defensa de la vida. Y es este espíritu que debemos procurar.

 

            ¿Cómo trabajar entonces con las comunidades estas cuestiones, para que ellas descubran estos elementos? No tengo las repuestas, pero pienso que uno de los caminos sea procurar trabajar la Biblia y la Evangelización en una perspectiva menos clerical y más laica. Menos centrada en los objetivos catequéticos, dogmáticos y de auto-reproducción eclesial. Y más directamente relacionada con los movimientos sociales y populares, con temáticas definidas a partir de las relaciones con estos movimientos, que pasan a través de las iglesias,  pero que van más allá de ellas. Eso puede ayudar a superar los límites de nuestra formación catequética y teológica, de nuestra espiritualidad que es todavía demasiado clerical. Mucho de lo que somos hoy, en lo que se refiere al cristianismo, tiene sus raíces en la época de Constantino. Esto es tan fuerte que marca todas las iglesias. O sea, la mayor parte de lo que se hace en las comunidades, la práctica pastoral, o lo que se acostumbra a llamar evangelización, o uso de la Biblia en las comunidades todavía gira en torno a la iglesia institucional, o a las iglesias institucionalizadas. Este “eclesio-centrismo”  parece ser ecuménico. Parece que Jesús dice: “Yo vine para que todos y todas tengan iglesias e iglesias en abundancia”, o doctrinas y doctrinas en abundancia, o sacramentos y ritos en abundancia… ¿No es de esto que dependen más o menos el 90% de nuestros recursos humanos financieros? Casi todos nosotros recibimos esta formación y actuamos dentro de estos padrones.

 

 

La sacralidad de la vida

 

            Una perspectiva laica estaría más dirigida hacia la vida del pueblo. Toca a nosotros, mientras tanto, fomentar este otro modo de leer la Biblia, de hacer teología, que nace de la vida, preocupada por percibir y celebrar la presencia de lo sagrado en la vida, en lo cotidiano. La teología clerical viene todavía de una matriz que divide el mundo en sagrado y profano, y que refuerza lo milagroso: el paso por el Mar Rojo, los milagros y la Resurrección de Jesús. La reflexión sobre Dios, la experiencia de Dios en la vida cotidiana y en la historia, fue lo que Jesús hizo. Por ejemplo, uno de los aspectos más característicos de la enseñanza y de la práctica de Jesús fueron las parábolas. Sin embargo, entre las parábolas no encontramos ninguna que se refiera a los elementos de la religión oficial de su época – templo, circuncisión, altar, sacrificios, pureza, sábado…-  y las presente como imagen del Reinado de Dios. Lo contrario sucede con los elementos de la vida cotidiana de las mujeres y los hombres de su tiempo: El Reino de Dios es como una mujer que puso un puñado de levadura en la masa, es como una mujer que perdió una moneda, es como un sembrador, una semilla, un pescador, un pastor, una viuda pobre…

 

            Tenemos que trabajar la Biblia y proponer una Evangelización en función de la vida y no en torno a la propia Biblia y a la iglesia. Para que esto no suceda tenemos que tener claro lo que queremos. Nuestra metodología debería comenzar por la pregunta: ¿Qué impide que las personas de nuestras comunidades tengan vida en abundancia?  ¿Qué podemos hacer para salvar los ríos, los bosques, y rehacer el equilibrio entre todas las formas de vida de la naturaleza, de esta gran tela de la cual nosotros no sólo formamos parte, sino que dependemos totalmente para vivir?  El trabajo bíblico, así como la evangelización, debe partir de un diagnóstico de la situación, de la realidad. Es necesario estar concientes de las inquietudes que nos mueven, que mueven a las personas a realizar un curso bíblico, que no siempre son aquello que aparece a simple vista. A veces, lo que las personas manifiestan es aquello que ellas imaginan que nosotros queremos escuchar. En un curso siempre aparecen elementos religiosos, pero es necesario conocer el día a día y sobre esto armar el curso. Ahí sí entra la Biblia, en un segundo momento. Es en este segundo momento que nosotros vamos a estudiar los libros, épocas, autores, procesos de composición, etc.

 

            Una comprensión de la Biblia y una comprensión de la acción Evangelizadora, como vimos arriba, y las preguntas que nacen de la vida deben ser nuestra puerta de entrada en la Biblia y nuestro punto de partida para a Evangelización. Esto es ver la Biblia como un espejo de la realidad, como dice Fray Carlos. Lo que vemos antes del texto es mucho más importante, y es necesario dedicar un buen tiempo para esto. Es lo que sucedió con los discípulos de Emaus. A pesar de todo lo que fue explicado, todo terminó. Sólo hablar de la Biblia no transforma la vida de las personas, no cambia el sentido de su caminar. El uso de la Biblia en la Evangelización hoy debe servir para iluminar la presencia de Liberación, de Salvación dentro de la vida de la comunidad, o de posibilitar que estas comunidades experimenten procesos de liberación y de salvación semejantes a aquellos que dieron origen a las religiones bíblicas. Y esta forma de usar la Biblia debe buscar que nuestras comunidades de hoy se pongan al servicio de este tipo de Evangelización, de esta forma de anuncio de la Palabra de Dios.

 

            Mas, por otro lado, también debemos estar concientes de que la Palabra de Dios y el Evangelio que nosotros tenemos son una construcción histórica, pues del mismo modo otros pueblos y culturas van a afirmar que otros libros son Palabra de Dios y que sus libros son inspirados. En este sentido, es necesario saber comprender estos conceptos dentro de nuestra historia y de nuestras culturas y abrirnos al diálogo con las demás tradiciones religiosas… En este punto precisamos – toda la humanidad, todos los pueblos y todas las culturas – comprender que el Dios de la Vida es mucho más grande que todo lo que podemos decir o pensar sobre él y que todas las formas de vida son parte importante de esta inmensa sinfonía de la Vida – tremendamente mayor y más importante que nuestros ritos, nuestros dogmas, nuestras instituciones religiosas – y en la cual nosotros, seres humanos, somos apenas algunas notas agregadas a último minuto.  Todavía no estamos bien preparados, bien adaptados, todavía no nos sometemos al Espíritu de esta bellísima y compleja sinfonía. Agregamos alguna melodía, pero también muchos desafines, tantos que si no tenemos humildad,  si no nos disponemos a aprender unos con otros, a convivir y compartir esta partitura de forma solidaria con todas las otras formas de vida, podremos causar nuestra exclusión de la sinfonía de la Vida, y no habremos experimentado la Palabra, la Buena Noticia que Dios tiene para nosotros aquí y ahora.

 

                                                                       (Texto para debate)

                                                                         Luiz José Dietrich

                                                                           Verano de 2009

 
2007 © Congregazione di S. Giuseppe - Giuseppini del Murialdo - Tutti i diritti riservati • Informativa sulla Privacy
Design & CMS: Time&Mind