Continuando queste riflessioni
bibliche che mi sono state richieste per il Forum Pastorale: La Famiglia
del Murialdo al servizio degli ultimi, proseguo con i criteri che ho già indicato,
volendo esplorare un’altra pericope in cui emerga l’attenzione di Dio verso gli
ultimi. La mia scelta, sempre determinata dall’entusiasmo e della passione
personale, è caduta su un altro passo del Vangelo di Luca: Lc 1,39-56. Non
intendo però analizzare in una sola volta tutta questa pericope così ricca e
densa. In questo primo momento mi soffermerò soltanto sui vv. 39-46, anche se
tale suddivisione è meramente funzionale al presente lavoro, senza alcun
possibile criterio esegetico, per poi commentare gli altri in una successiva
riflessione. All’interno poi di questi brevi versetti, non tratterò di
tutti gli elementi presenti. Intendo sottolineare soltanto alcuni aspetti,
tralasciandone molti per non dilungarmi troppo rispetto agli scopi della
proposta.
39 In
quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta
una città di Giuda.40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il
bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo42 ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne
e benedetto il frutto del tuo grembo!43 A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?44 Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei
orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo.45 E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle
parole del Signore".46 Allora Maria disse: "L'anima mia magnifica il
Signore…
E’ questo un
altro brano tipicamente Lucano (Sondergut),
che non ha perciò paralleli negli altri due Vangeli sinottici. Ciò che può
stupire dell’inizio di questo brano, è la presenza intensa del “saluto” (cfr. i
vv. 40.41.44, anche se pure il v. 42 è l’espressione del saluto). Esso è segno
dell’incontro; pertanto il saluto è frequente, perché frequenti sono gli
incontri.
Orbene, questa
indicazione dell’evangelista non è affatto una semplice annotazione di cronaca,
né risulta banale e neppure neutra. Questi numerosi saluti, segni degli
incontri, altro non sono che la notificazione degli interventi di Dio nelle relazioni
umane per portare e manifestare la salvezza. Prova di ciò è il contenuto di questi
saluti ed incontri, cosi come lo è anche la precedente menzione di altri saluti,
ovverosia, poco prima, in Lc 1,28.29, il saluto dell’angelo a Maria nella scena
dell’annunciazione.
Dio quindi
interviene, e lo fa nella vita di due donne che sarebbe rimaste sconosciute,
oscure, se Egli stesso non avesse deciso, da un lato, di prendere carne proprio
grazie ad una di loro e, dall’altro, di far nascere il Precursore grazie
all’altra. Dio sceglie queste due donne e lo fa perché umili, povere, ma al
contempo ricche di fede e di amore, dimostrando così la sua predilezione per i
poveri.
Le
destinatarie della sua elezione non sono due persone famose o potenti, bensì,
agli occhi degli uomini, due “ultime”, due donne senza rilevanza per la “storia
civile” di allora, per quell’epoca dominata dall’impero romano. Due donne,
parafrasando la celebre opera-ricerca su Gesù storico del biblista Meier[1],
“marginali”, due donne cioè che potevano esser considerate ai margini della
loro società (erano donne e non avevano alcun compito specifico) e che vivevano
in una terra controllata dai romani, ma periferica, ai margini del loro impero.
Sarebbe però
un errore ritenere che queste due donne siano le protagoniste del brano: non è
affatto così. In effetti, seguendo lo svolgimento del racconto, notiamo come
all’inizio vi sia Maria sulla scena, che parte e si mette in viaggio per andare
a trovare e ad aiutare sua cugina. L’attenzione pertanto si sposta su
Elisabetta, ma ecco che il bambino (cioè Giovanni), sussultando, compie già,
fin da questo momento, la sua missione di Precursore, e rifocalizza
l’attenzione sia su Maria, sia, soprattutto ed ancor di più, su Gesù; in
effetti Elisabetta proclama benedetta non soltanto Maria, ma benedetto anche il
frutto del suo grembo, e poco dopo (v. 43) non si rivolge a lei col suo nome,
bensì la chiama “la madre del mio Signore”. Seguitando
poi nella lettura, le labbra di Maria si schiuderanno per proclamare quel meraviglioso
cantico – il Magnificat – che loda la
misericordia di Dio (è indicativo il fatto che Dio è il soggetto di tutti i
verbi del cantico, ad eccezione del v. 48b, che però costituisce una
“conseguenza” dello sguardo di predilezione di Dio).
Pertanto il
protagonista è Dio, quel Dio che, usando misericordia all’uomo, sceglie umili
serve non soltanto per fare qualcosa di buono o per compiere un atto benevolo,
ma addirittura per incarnarsi e realizzare la salvezza, completa, definitiva e
perpetua.
Notiamo
comunque anche la sollecitudine di Maria, che, saputo dall’angelo della
gravidanza di sua cugina, non ci pensa due volte, non esita minimamente,
neanche un attimo, e si mette in viaggio, “in fretta”,
e raggiunge la casa di Elisabetta.
Ella si
precipita, incurante delle sue occupazioni, dei suoi pensieri, delle difficoltà
(era certo più comodo starsene a casa e non scomodarsi… - quante volte
quotidianamente io, forse noi, scegliamo questo…), dei rischi e pericoli di un
viaggio allora, e corre, si mette in strada. Strada poi che non sarà stata
facile, anche perché i viaggi all’epoca non avvenivano con i mezzi e gli
standard di oggi… E poi perché servivano circa quattro giorni...
Eppure un
bisogno interiore, un forte desiderio la muove: essere utile, dare una mano ad
una donna, la cugina, che poteva trovarsi nel bisogno. Lo fa senza calcoli,
senza cercare vantaggi, opportunità o convenienze… E’ la donna che percepisce
la necessità e, senza che gli chiedano nulla, accorre…
Inoltre anche
dal punto di vista grammaticale, Luca accentua questa tensione, ripetendo per
ben tre volte, nel giro di due versetti (vv. 39 e 40), la preposizione eivj, corrispondente, nella traduzione, a: “39 In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e si recò in
fretta in una città di
Giuda.40 Entrata nella
casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”, focalizzando tutto sulla meta.
Potremmo dire che Maria, dimentica di se stessa, con zelo e senza
tentennamenti, antepone l’altra, Elisabetta, ad ogni suo possibile desiderio o
necessità, parte immediatamente e non ha in mente altro che giungere da sua
cugina per recarle sollievo ed aiutarla nell’ultimo periodo della sua
gravidanza.
Quando poi
Maria giunge da lei, ecco che, fin da subito, Dio, in continuità con quanto
detto a proposito della dinamica dell’intero brano, viene posto come
protagonista. In effetti Elisabetta, se da un lato saluta Maria, dall’altro,
congiuntamente, la definisce “benedetta”. Ora tale verbo - collegato nello
stesso saluto al “benedetto” rivolto al bambino nel grembo, ossia Gesù, Dio
stesso – è un passivo e, se è vero che il soggetto grammaticale è proprio la
vergine di Nazareth, è altrettanto chiaro che esso ha come protagonista attivo
Dio: è Egli che agisce e che benedice due donne “marginali”, come le abbiamo
definite.
Il v. 45
infine, funge quasi da exemplum
positivo di ciò che l’angelo Gabriele aveva rimproverato a Zaccaria durante
l’apparizione al tempio e la promessa del figlio: “Ed ecco, sarai muto e non potrai
parlare fino al giorno in cui queste cose
avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a
loro tempo” (Lc 1,20). Maria è quell’umile serva, ripiena di fede,
che credendo e sperando contro ogni umana evidenza, accoglie il messaggio di
Dio e, credendovi, diviene “beata”, “benedetta” da Dio.
Emerge quindi
nitida l’immagine e la realtà di un Dio che sceglie e benedice gli umili e gli
ultimi.
p. Diego Cappellazzo
[1] Cfr. Meier J. P., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Vol. 1: Le radici
del problema e della persona, (BTC 117) Queriniana, Brescia 20022.