La dimensione missionaria della pastorale deve potersi esprimere sulla base di un dialogo rispettoso e critico con l’esperienza religiosa delle persone, con le loro sensibilità culturali e con le loro ideologie di sviluppo.
Si tratta cioè di impostare l’azione pastorale secondo le regole del dialogo così come è poi espresso nell’enciclica di Giovanni Paolo II Redemptoris missio.
Nell’attuale contesto segnato dal pluralismo religioso e culturale, occorre che la Chiesa segua la via tracciata dal concilio Vaticano II: “il dialogo con il mondo contemporaneo. La missione, più che una proclamazione aggressiva e trionfalistica, è un’umile e gioiosa condivisione della nostra esperienza di Dio in Cristo: proclamare quello che abbiamo visto, sentito, toccato e vissuto. È una premurosa condivisione della nostra esperienza di fede per la vita più piena di tutti”.
Il fatto di dover andare verso altri mondi religiosi e culturali, come «stranieri», richiede un approccio rispettoso ed accogliente nei confronti dell’eredità religiosa e culturale dei popoli e potrebbe esprimersi secondo i seguenti punti:
Riconoscimento della dignità della persona umana
Il fondamento ultimo di una pastorale in prospettiva missionaria è il riconoscimento della dignità della persona umana. Oltre ad essere un valore basilare nelle culture tradizionali dei vari popoli e nella cultura moderna e postmoderna, la dignità della persona umana fa parte del nucleo del messaggio cristiano
Dialogo
Riconoscere la dignità della persona implica riconoscere la significatività della sua esperienza religiosa, della sua cultura, della sua organizzazione sociale ed economica. Riconoscere la ricchezza di questa eredità impone, a sua volta, il dialogo
Solidarietà
Il riconoscimento della dignità della persona umana e, di conseguenza, della necessità del dialogo e della riconciliazione, porta a concludere che la prassi pastorale in prospettiva missionaria è chiamata ad esprimersi in termini di solidarietà senza riserve.
In un tempo di globalizzazione economica e culturale, Giovanni Paolo II rimarca giustamente l’importanza di una globalizzazione della solidarietà. La prospettiva missionaria sollecita la Chiesa a collaborare nell’impresa di una solidarietà che non conosce confini di religione, nazione, razza, etnia, lingua, cultura.
C’è bisogno di una solidarietà, non soltanto a livello spirituale, educativo e morale, ma anche a livello materiale e sociale. È necessaria una rete di solidarietà interfamiliare, intergenerazionale, interecclesiale ed internazionale.