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5. I profeti: sentinelle della solidarietà

Dal libro del profeta Amos (8,4-6)

“Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo le misure e aumentando il siclo e usando bilance false, per compare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano”.

I profeti nutrivano una duplice passione: per Dio e per gli uomini. Erano profondi e attenti conoscitori della realtà storica del loro tempo perché ne vivevano dal di dentro le incertezze e le contraddizioni, le tensioni e le ingiustizie. Erano anche profondi conoscitori della legge e dell’alleanza e credevano nella presenza di Dio che aiuta e corregge. Da questa duplice profonda conoscenza, con l’aiuto di Dio, erano in grado di criticare ciò che nei capi religiosi e politici e nel popolo non era secondo la parola di Dio e potevano indicare le scelte da fare e i sentieri da percorrere.

I profeti possono essere definiti sentinelle della solidarietà: denunciarono le ingiustizie e gli abusi del loro tempo e difesero i diritti fondamentali dell’uomo per riaffermare che i rapporti fra i membri del popolo di Dio devono essere impostati sull’uguaglianza, sulla fraternità e sulla solidarietà.

Vicino a un disimpegno etico dei popoli cananaici, conseguenza, di una religiosità riguardante divinità lontane della vita dell’uomo, il popolo ebraico poneva la sua fede in un Dio signore della storia, continuamente presente nelle vicende umane e quindi modello dell’impegno dell’uomo nella costruzione della sua storia.

1. Amos: il profeta della giustizia

Contadino, allevatore di bestiame e coltivatore di gelsi; né sacerdote, né funzionario di corte, né consigliere regale, Amos, anche se nato a Tekoa, a pochi chilometri da Gerusalemme, capitale del regno di Giuda, svolse la sua attività profetica a Betel, presso il santuario del regno del Nord, nella prima metà del sec. VIII a.C., sotto Geroboamo II. Forte in guerra e governatore capace, questo re fece conoscere a Israele anni di grande prosperità e pace. Ma il “boom economico” di questo periodo produsse notevoli sconvolgimenti nel rapporto tra le classi sociali: i commercianti, i latifondisti e gli uomini di corte si appropriarono di grandi ricchezze, a danno o senza preoccuparsi delle classi popolari, sempre più colpite dalla povertà. Con la ricchezza e il benessere si sviluppò anche la corruzione, mentre l’uguaglianza e la fraternità venivano sostituite da sopraffazione e sfruttamento di una classe sull’altra. A una simile situazione il profeta Amos reagisce con violenza: “… hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; essi calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri” (2,6-7a).

La corruzione arriva fino a strumentalizzare e a degradare la dignità della persona: “… padre e figlio vanno dalla stessa ragazza, profanando così il mio santo nome” (2,7b). Anche il Dio di Israele viene ridotto a un idolo, quando si pretende di rendergli culto dopo aver sottratto ai poveri le loro poche sostanze: “Su vesti prese come pegno si stendono presso ogni altare e bevono il vino confiscato come ammenda nella casa del loro Dio” (2,8). Il Signore fa sapere al suo profeta che non può accettare che vicino a dei miseri che non hanno da sopravvivere, ci siano altri che navigano nel lusso più sfrenato: “Demolirò la casa d’inverno insieme con la casa d’estate e andranno in rovina le case d’avorio e scompariranno i grandi palazzi. Oracolo del Signore” (3,15).

Il mandriano di Tekoa si scaglia con forza nel confronto delle matrone della capitale che passano il loro tempo in feste e orge: “Ascoltate queste parole, o vacche di Bàsan, che siete sul monte di Samaria, che opprimete i deboli, schiacciate i poveri e dite ai vostri mariti: porta qua beviamo!” (4,1).

Il lusso è frutto di oppressione e fa dimenticare quelli che non hanno il necessario: “Essi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa; si pareggiano a Davide negli strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano (6,4-6). La classe dominante non viene criticata perché ha violato comandamenti che gli proibiscono di dormire in letti d’avorio o di profumarsi con oli preziosi, ma viene denunciata la mancanza di solidarietà verso la sofferenza del popolino.

Amos è difensore della giustizia e proclama minacce contro i ricchi che opprimono il povero e contro i giudici corrotti: “Poiché voi schiacciate l’indigente e gli estorcete una parte di grano, voi, che avete costruito case in pietra squadrata, non le abiterete; vigne deliziose avete piantato, ma non ne berrete il vino, perché so che numerosi sono i vostri misfatti, enormi i vostri peccati. Essi sono oppressori del giusto, incettatori di ricompense e respingono i poveri nel tribunale” (5,11-12).

Quando l’unica preoccupazione è il profitto, ogni mezzo sembra divenire lecito: sfruttamento di ogni possibilità di commercio, speculazione sulla cattiva qualità dei prodotti, falsificazione di pesi e misure. La bramosia del guadagno porta persino a svalutare la moneta e a ridurne il potere di acquisto, l’ansietà è tale che i commercianti attendono con impazienza che passino i giorni festivi nei quali non è possibile trafficare. Come conseguenza c’è l’oppressione del povero fino a ridurlo a schiavo (8,4-6).

I ricchi possidenti e i disonesti commercianti fanno ricorso a ogni strumento per sottrarre ai poveri i loro beni. Essi “non sanno agire con rettitudine, violenza e rapina accumulano nei loro palazzi” (3,10). In nome del diritto fondamentale di ogni famiglia di avere quella terra e quei beni che permettano di vivere dignitosamente. Amos si oppone all’accaparramento delle terre da parte di pochi. La terra è di Dio che “ha diviso il paese con la corda” (Is 34,17) e ne ha dato una parte a ciascuno: all’uomo non è lecito spostare i confini (Dt 19,14), perché aumentando il proprio campo si toglie al vicino la possibilità di vivere. La formazione del latifondo, per il profeta-contadino Amos, va contro la legge di Dio, mina alle fondamenta la società ebraica, distruggendo l’uguaglianza economica e sociale: privati delle loro proprietà, molti capifamiglia perdono il diritto di sedere nell’assemblea degli anziani.

La denuncia del profeta ha motivazioni di fede, egli parla in nome del Signore che ha liberato Israele dalla schiavitù. All’amore del Signore Israele non può rispondere calpestando la giustizia (5,7), ma avendo un comportamento che esprima verso Dio ascolto e fedeltà e verso gli altri amore e solidarietà.

2. Michea: dalla parte degli oppressi

Il profeta Michea svolge la sua attività nella seconda metà del VIII secolo, nel regno del Sud. Contadino lui pure, di Amos riprende lo stile duro e franco e la sensibilità sociale. La situazione economica nel regno di Giuda è simile a quella di Samaria: agricoltura fiorente, commercio sviluppato e redditizio con prosperità e benessere nelle città e miseria nelle campagne, a causa del concentramento della proprietà nelle mani di pochi.

La tranquillità interna è assicurata dai falsi profeti che illudono gli abitanti di Gerusalemme con l’assicurazione che l’alleanza e la presenza del tempio in città diano loro sufficiente garanzia. Solo chi profetizza sotto l’effetto del vino (2,11) o chi lo fa “per mettere qualcosa sotto i denti” (3,5) può dire a nome di Dio certe cose, quando in realtà Gerusalemme ha abbandonato il Signore e gli impegni dell’alleanza. Chi fa il profeta non per un mestiere, ma spinto dalla forza dello Spirito del Signore (3,8), non può tacere di fronte alle infedeltà di Israele, alla corruzione e all’ingiustizia.

Michea ha parole di fuoco per tutti. Innanzitutto attacca i potenti, coloro che, avendo la forza, possono portare a segno i loro progetti di sopraffazione, i ricchi proprietari terrieri colpevoli di sfruttamento e di accaparramento delle terre, tolte in vario modo ai poveri, contro la volontà divina, che vedeva nella piccola proprietà familiare un bene sacro e inviolabile. “Guai a coloro che meditano l’iniquità e tramano il male sui loro giacigli; alla luce dell’alba lo compiono perché in mano loro è il potere. Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono l’uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità” (2,1-2). La loro ingordigia è insaziabile e la loro sete di possesso non è attenuata nemmeno dalla pietà: “Ma voi come nemici insorgete verso il mio popolo. Da chi è senza mantello esigete una veste, dai passanti tranquilli, un bottino di guerra. Cacciate le donne del mio popolo fuori dalla casa delle loro delizie e togliete ai loro bambini il mio onore per sempre … per una inezia esigete un pegno insopportabile” (2,8-10).

I capi e i governanti, per il loro desiderio di avere, sono paragonati a cani famelici: “non spetta forse a voi conoscere la giustizia? Nemici del bene e amanti del male, voi strappate loro la pelle di dosso e la carne dalle ossa. Divorano la carne del mio popolo e gli strappano la pelle di dosso, ne rompono le ossa e lo fanno a pezzi come carne in una pentola, come lesso in una caldaia” (3,1-3). Il profeta non deve avere paura di recarsi dai potenti come difensore della giustizia verso i poveri. Lo aveva già fatto il grande Elia, mandato dal Signore al re Acab che aveva appena preso possesso della vigna di Nabot, ingiustamente lapidato: “Hai assassinato e ora usurpi! Per questo dice il Signore: Nel punto ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue… ti sei venduto per fare ciò che è male agli occhi del Signore” (1Re 21,19-20). I capi politici vengono accusati di aver edificato le grandiose opere della città con il sangue degli operai: “… costruite Sion sul sangue e Gerusalemme con il sopruso” (3,10). La corruzione ha toccato ormai sia i capi politici che religiosi: “i suoi capi giudicano in vista dei regali, i suoi sacerdoti insegnano per lucro, i suoi profeti danno oracoli per denaro” (3,11).

Come Amos, il profeta Michea denuncia le frodi dei commercianti: “Ci sono ancora nella casa dell’empio i tesori ingiustamente acquistati e le misure scarse, detestabili? Potrò io giustificare le false bilance e i sacchetti dei pesi falsi? I ricchi della città sono pieni di violenza e i suoi abitanti dicono menzogna” (6,10-12).

Quando viene meno la fratellanza e la solidarietà e non esistono più pietà e giustizia (7,2a), ha libero sfogo la violenza: “… tutti stanno in agguato per spargere sangue; ognuno dà la caccia con la rete al fratello” (7,2). E la diffidenza e il sospetto si insinuano anche fra gli amici e i familiari: “Non credete all’amico, non fidatevi del compagno. Custodisci le porte della tua bocca davanti a colei che riposa vicino a te” (7,5).

In una società nella quale si vivono questi rapporti di ingiustizia e di violenza, la preoccupazione di rendere un culto solenne al Signore è deviante; è altro ciò che vuole Dio: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio” (6,8). L’amore verso Dio si concretizza nella giustizia verso l’uomo. Chi crede in Dio si preoccupa del prossimo, della sua crescita e della sua promozione.

3. Isaia: una comunità fondata sulla solidarietà (Is 58,1-12)

Il brano è compreso nella terza parte del libro di Isaia ( capp.56-66). Siamo nella comunità del post-esilio. Il ritorno in patria è avvenuto, dopo l’editto di Ciro del 538 a.C., ma le tensioni sono molto forti fra i vari gruppi presenti a Gerusalemme: i rimpatriati da Babilonia, i residenti, le categorie più emarginate come gli stranieri. Le conseguenze più negative si ripercuotono sui più deboli attraverso l’ingiustizia e violenza: “Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui” (53,3-4). Dopo la gioia e l’entusiasmo per il ritorno in patria sono subentrate delusione e sfiducia soprattutto fra i poveri. E’ a loro che si rivolge il profeta: “Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà agli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri…” (61,1-2).

Il profeta indica nella solidarietà verso il povero, il debole e l’emarginato il criterio per costruire una nuova comunità. Il tema del brano è il digiuno gradito a Dio. Il Signore non è interessato a un digiuno esteriore, espresso in gesti che non riguardano la vita dell’uomo nel suo rapporto con l’altro (58,5). “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio; sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne” (58,6-7).

E’ il principio della solidarietà! Il rapporto con colui che si trova in necessità è di intima parentela: egli è tuo fratello, è carne della tua carne.

Il primo impegno richiesto dalla solidarietà è quello di schierarsi dalla parte degli oppressi e partecipare all’azione di liberazione da ogni vincolo di oppressione. Il popolo ha vissuto nell’esilio la mancanza di libertà: in patria non ci devono più essere persone che vivono nella stessa situazione, ma bisogna spezzare le catene dell’ingiustizia e il giogo della sopraffazione.

Oltre all’impegno sociale e politico per una società più giusta, occorre anche un aiuto concreto e personale verso il bisognoso: chi ha fame deve essere saziato con il proprio pane, chi è senza casa deve essere alloggiato sotto il proprio tetto, a chi è nudo bisogna aprire il proprio guardaroba.

Solo un digiuno che diventa liberazione dell’oppresso e del prigioniero e aiuto al fratello bisognoso, pone le condizioni per l’incontro con il Signore: “Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: eccomi!” (58,9).

Bisogna che la città sia ricostruita su basi di maggiore giustizia e che le tenebre dell’oppressione siano spazzate via dalla luce della libertà. Perché ci sia la benedizione del Signore (58, 10-12), è necessario “togliere di mezzo a te l’oppressore, il puntare il dito e il parlare empio, offrire il pane all’affamato e saziare chi è digiuno (58,9-10).

Occorre ripartire dagli ultimi.

4. Liberazione ed evangelizzazione nella dottrina sociale della Chiesa

La vera solidarietà chiede di schierarsi dalla parte degli oppressi e partecipare all’azione di liberazione da ogni vincolo di oppressione. E’autentica quando si concretizza nell’aiuto concreto e personale verso il bisognoso. Solo un digiuno che diventa liberazione dell’oppresso e del prigioniero e aiuto al fratello bisognoso, pone le condizioni per l’incontro con il Signore. E’ l’impegno per la liberazione del povero che da credibilità al vangelo oggi. Ne è molto consapevole la dottrina sociale della Chiesa dove queste due realtà, evangelizzazione e liberazione, sono inseparabili.

Con la sua dottrina sociale la Chiesa si fa carico del compito di annuncio che il Signore le ha affidato. Essa attualizza nelle vicende storiche il messaggio di liberazione e di redenzione di Cristo, il Vangelo del Regno. La Chiesa, annunziando il Vangelo, “attesta all’uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone: gli insegna le esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina” (CCC 2419).

Vangelo che riecheggia mediante la Chiesa nell’oggi dell’uomo (Gv Paolo II: AAS 84 (1992) 282), la dottrina sociale è parola che libera. Questo significa che ha l’efficacia di verità e di grazia dello Spirito di Dio, che penetra i cuori, disponendoli a coltivare pensieri e progetti di amore, di giustizia, di libertà e di pace. Evangelizzare il sociale è allora infondere nel cuore degli uomini la carica di senso e di liberazione del Vangelo, così da promuovere una società a misura dell’uomo perché a misura di Cristo: è costruire una città dell’uomo più umana, perché più conforme al Regno di Dio.

La Chiesa, con la sua dottrina sociale, non solo non si discosta dalla propria missione, ma è strettamente fedele ad essa: offrire la salvezza integrale all’uomo di oggi, proseguendo con fedeltà la missione di Cristo stesso.

La Redenzione comincia con l’incarnazione, mediante cui il Figlio di Dio assume, eccetto il peccato, tutto dell’uomo, secondo le solidarietà istituite dalla Sapienza creatrice divina, e tutto coinvolge nel suo dono d’amore redentore. Da questo amore l’uomo è raggiunto nell’interezza del suo essere corporeo e spirituale, in relazione solidale con gli altri. Tutto l’uomo è implicato nell’economia salvifica del Vangelo. Portatrice del messaggio dell’Incarnazione e di Redenzione del Vangelo, la Chiesa non può percorrere altra via: con la sua dottrina sociale e con l’azione efficace che essa attiva, non solo non stempera il suo volto e la sua missione, ma è fedele a Cristo e si rivela agli uomini come “sacramento universale di salvezza” (LG 48). Ciò è particolarmente vero in un’epoca come la nostra, caratterizzata da una crescente interdipendenza e da una mondializzazione delle questioni sociali.

La dottrina sociale della Chiesa è parte integrante del ministero di evangelizzazione della Chiesa. Tutto ciò che riguarda la comunità degli uomini –situazioni e problemi relativi alla giustizia, alla liberazione, allo sviluppo, alle relazioni tra i popoli, alla pace- non è estraneo all’evangelizzazione e questa non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell’uomo (EN 29: AAS 68(1976)25). Tra evangelizzazione e promozione umana ci sono legami profondi:

“Legami di ordine antropologico, perché l’uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell’ingiustizia da combattere, e della giustizia da restaurare. Legami dell’ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l’autentica crescita dell’uomo”? (EN 31: AAS 68 (1976) 26).

Madre e Maestra, la Chiesa non si chiude e non si ritrae in se stessa, ma è sempre esposta, protesa e rivolta verso l’uomo, il cui destino di salvezza è la propria ragion di essere. Essa è tra gli uomini l’icono vivente del Buon Pastore, che va a cercare e a trovare l’uomo là dove egli è, nella condizione esistenziale e storica del suo vissuto. Qui la Chiesa gli si fa incontro con il Vangelo, messaggio di liberazione e di riconciliazione, di giustizia e di pace.

Per la preghiera personale

Salmo 9: Dio abbatte gli empi e salva gli umili

Loderò il Signore con tutto il cuore
e annunzierò tutte le tue meraviglie.
Hai minacciato le nazioni, hai sterminato l'empio,
il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre.
Per sempre sono abbattute le fortezze del nemico,
è scomparso il ricordo delle città che hai distrutte.
Ma il Signore sta assiso in eterno;
erige per il giudizio il suo trono:
giudicherà il mondo con giustizia,
con rettitudine deciderà le cause dei popoli.

Il Signore sarà un riparo per l'oppresso,
in tempo di angoscia un rifugio sicuro.
Confidino in te quanti conoscono il tuo nome,
perché non abbandoni chi ti cerca, Signore.
Vindice del sangue, egli ricorda,
non dimentica il grido degli afflitti.
Abbi pietà di me, Signore,
vedi la mia miseria, opera dei miei nemici,
tu che mi strappi dalle soglie della morte,
perché possa annunziare le tue lodi,
esultare per la tua salvezza
alle porte della città di Sion.
Il Signore si è manifestato, ha fatto giustizia;
l'empio è caduto nella rete, opera delle sue mani.
Perché il povero non sarà dimenticato,
la speranza degli afflitti non resterà delusa.
Sorgi, Signore, non prevalga l'uomo:
davanti a te siano giudicate le genti.
Il misero soccombe all'orgoglio dell'empio
e cade nelle insidie tramate.
L'empio si vanta delle sue brame,
l'avaro maledice, disprezza Dio.
Sorgi, Signore, alza la tua mano,
non dimenticare i miseri.
Perché l'empio disprezza Dio
e pensa: "Non ne chiederà conto"?
Eppure tu vedi l'affanno e il dolore,
tutto tu guardi e prendi nelle tue mani.
A te si abbandona il misero,
dell'orfano tu sei il sostegno.
Spezza il braccio dell'empio e del malvagio;
Tu accogli, Signore, il desiderio dei miseri,
rafforzi i loro cuori, porgi l'orecchio
per far giustizia all'orfano e all'oppresso;
e non incuta più terrore l'uomo fatto di terra.

Per la vita:

La solidarietà è autentica quando si concretizza nell’aiuto concreto e personale verso il bisognoso:

· rendo credibile il Vangelo con l’impegno effettivo per la liberazione del povero?

 
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