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17. Amate i vostri nemici: pace, giustizia e perdono (Mt 5,38-48)

 

Dal vangelo secondo Matteo.

 

Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guanciadestra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.
E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celest
e

 

            Sono le ultime due “antitesi” delle sei che Matteo fa pronunciare a Gesù nel discorso della montagna, quasi come esemplificazione delle beatitudini e per spiegare cosa significa che Gesù non è venuto per abolire, ma per dare compimento alla legge e ai profeti, con l’autorevolezza del legislatore e non come un semplice scriba (Mt 7,29). E’ un cammino di perfezione che Gesù indica ai discepoli perché lo trasmettano alle folle e lo testimonino nella quotidianità della vita.

            La “legge del taglione”, che pure aveva un suo valore giuridico e pedagogico perché limitava la vendetta permettendo un castigo non superiore al danno provocato, deve essere superata: l’unica strada per vincere il male è quella di togliere alla reazione il veleno dell’odio e della vendetta e di sostituirli con un supplemento di perdono e d’amore, che si traducano in condivisione e solidarietà.

            Il distintivo del discepolo di Cristo deve essere un amore che supera quello dei pagani e dei pubblicani e arriva a voler bene anche ai nemici. Solo così si può essere segno dell’amore di Dio Padre che “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”. Il modello di perfezione da copiare è sempre quello del “Padre celeste”, e il figlio deve tendere a imitare i comportamenti del padre. Un amore che si tinge di perdono e abbatte gli steccati che definiscono il vicino e il lontano, l’amico e il nemico, forse può far correre dei rischi, ma è l’unico che sconvolge i calcoli delle grettezze umane e scioglie il gelo delle paure.

            Per costruire la pace il cristiano deve osare il coraggio della riconciliazione e del perdono.

 

1. Educare alla pace

           

            Anche se fa continuamente esperienza di tensioni e discordie, l’uomo, nell’intimo del suo cuore, ha una forte aspirazione alla pace. Essa è dono di Dio, che va accolto e fatto fruttificare nelle varie situazioni di vita personale, familiare, sociale e internazionale fino a quando si realizzeranno le parole del profeta: “Con le loro spade costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra” (Is 2,4).

            Il concilio (GS 78: EV 1/1587) afferma che la pace non è solo assenza di guerra, né può essere raggiunta con un gioco di equilibrio di forze contrastanti e nemmeno con una dispotica dominazione, ma la pace è “opera di giustizia” (Is 32,7). La vera pace, secondo Giovanni Paolo II, non è

 

mai il risultato della vittoria militare, ma implica il superamento delle cause della guerra e l’autentica riconciliazione tra i popoli… Una folla corsa agli armamenti assorbe le risorse necessarie per lo sviluppo delle economie interne e per l’aiuto alle nazioni più sfavorite. Il progresso scientifico e tecnologico, che dovrebbe contribuire al benessere dell’uomo, viene trasformato in uno strumento di guerra” (CA 18: EV 13/127-128).

 

Al modo di pensare secondo il quale la pace si regge sull’equilibrio degli armamenti, occorre sostituire la convinzione che la vera pace si può costruire solo con il dialogo,il negoziato, la vicendevole fiducia, la collaborazione leale ( GS 16 e 67: EV/1522-1525.1545-1547). La pace è il frutto della giustizia e della solidarietà. Lo ricordava con molta chiarezza Benedetto XVI nel messaggio per la giornata mondiale della Pace, Combattere la povertà, costruire la pace (1.01.2009):

 

Una delle strade maestre per costruire la pace è una globalizzazione finalizzata agli interessi della grande famiglia umana Per governare la globalizzazione occorre però una forte solidarietà globale tra Paesi ricchi e Paesi poveri, nonché all'interno dei singoli Paesi, anche se ricchi. È necessario un « codice etico comune », le cui norme non abbiano solo un carattere convenzionale, ma siano radicate nella legge naturale inscritta dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano (cfr Rm 2,14-15). Non avverte forse ciascuno di noi nell'intimo della coscienza l'appello a recare il proprio contributo al bene comune e alla pace sociale? La globalizzazione elimina certe barriere, ma ciò non significa che non ne possa costruire di nuove; avvicina i popoli, ma la vicinanza spaziale e temporale non crea di per sé le condizioni per una vera comunione e un'autentica pace. La marginalizzazione dei poveri del pianeta può trovare validi strumenti di riscatto nella globalizzazione solo se ogni uomo si sentirà personalmente ferito dalle ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse connesse. La Chiesa, che è « segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano », continuerà ad offrire il suo contributo affinché siano superate le ingiustizie e le incomprensioni e si giunga a costruire un mondo più pacifico e solidale” (n. 8).

 

Le condizioni della pace, sia sociale che internazionale, sono assicurate dall’amore che stimola la fraternità universale fra gli uomini (OA 23: EV 4/746): il timore e la paura devono lasciare il posto alla fratellanza e all’accoglienza che vanno oltre quello che può assicurare la semplice giustizia (GS 78: EV 1/1588)

 

“Ma la pace rimane solo suono vuoto di parole, se non è fondata su quell’ordine fondato sulla verità costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà” (PT 60: EV 2).

 

La pace è dono ripetutamente offerto da Dio all’uomo lungo tutta la storia della salvezza; anche quando l’alleanza veniva infranta Dio continuamente proponeva itinerari e promesse di pace. Cristo è l’uomo della riconciliazione perché abbatte per mezzo della croce il muro che divide i popoli (Ef 2,14). Il Risorto, dono aver vinto la morte, si presenta ai discepoli con il dono della pace, offerto nella speranza e affidato all’uomo, che può rifiutarlo o custodirlo con zelante impegno come dono prezioso.

E’ necessario educare alla pace in famiglia e nella scuola, nei rapporti sociali e attraverso i mezzi di comunicazione, ponendo segni di pace. Occorre rifiutare la logica delle armi, perché, come proclamava Pio XII alla vigilia della seconda guerra mondiale, “nulla è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra”. Scegliere la non violenza come stile di vita personale e di gruppo fa assaporare il gusto di vivere rapporti nuovi con gli altri, anche quando le tensioni potrebbero giustificare atteggiamenti di forza. Il volontariato sociale e l’impegno per la cooperazione internazionale educano al dono e alla solidarietà, aprendo la propria vita verso orizzonti più ampi.

 

2. Impegno per la giustizia

 

Giovanni Paolo II, riflettendo sull’insegnamento della Rerun Novarum, afferma che Leone XIII “era ben consapevole del fatto che la pace si edifica sul fondamento della giustizia: contenuto essenziale dell’enciclica fu appunto quello di proclamare le condizioni fondamentali della giustizia nella congiuntura economica e sociale di allora” (CA 5: EV 13/83). Condizioni di giustizia, che spesso, sono raggiungibili solo con l’impegno e la lotta. Anche il conflitto ha un ruolo positivo quando è lotta per la giustizia sociale, per impedire che i bisogni fondamentali dell’uomo rimangano insoddisfatti. La promozione della giustizia concretizza l’amore per l’uomo e soprattutto per il povero, nel quale la Chiesa vede Cristo (CA 58: EV 13/252).

L’esigenza di giustizia può essere soddisfatta solo a livello mondiale, perché il rapporto fra le persone e i popoli ha acquistato dimensioni universali. E’ la pace “che esige sempre più il rispetto rigoroso della giustizia e, consapevolmente, l’equa distribuzione dei frutti del vero sviluppo” perché “sono relativamente pochi quelli che possiedono molto, e molti quelli che non possiedono quasi nulla. E’ l’ingiustizia della cattiva distribuzione dei beni e dei servizi destinati originariamente a tutti (SRS 26 e 28: EV 10/2591.2601).

Il concilio aveva affermato con decisione che “le troppe disuguaglianze economiche e sociali, tra membri e tra popoli dell’unica famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all’equità, alla dignità della persona umana, nonché alla pace sociale e internazionale” (GS 29: EV 1/1411).

Senza giustizia, non c’è pace, quindi per costruire la pace è necessario un maggiore impegno per la giustizia, per il rispetto dei diritti umani a cominciare dal diritto alla vita, per la promozione umana, per attuare uno sviluppo rispettoso della natura e dei diritti delle generazioni future: ogni delitto contro la vita e la natura è un attentato contro la pace.

La giustizia sociale obbliga all’attenzione verso i bisogni degli altri e all’impegno perché le istituzioni pubbliche e private siano efficienti e a servizio delle condizioni di vita degli uomini. Ci ricordava il Concilio a questo riguardo:

 

 “Vi sono quelli che, pur professando opinioni larghe e generose, tuttavia in pratica sempre vivono come se non avessero alcuna cura delle necessità della società” (GS 30: EV 1/1413).

 

Ciò comporta, prima di tutto, l’osservanza delle leggi sociali: “Non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, alle giuste imposte o agli altri obblighi sociali” (GS 30: EV 1/1413).

Lo Stato ha come compito necessario l’impegno di fare sì che i rapporti fra le persone e gli organismi nei vari settori della vita sociale siano sempre più improntati a giustizia, sia in senso distributivo, sia come uguaglianza delle possibilità di partenza.

La giustizia affonda le sue radici in un’autentica solidarietà; essa è capace di superare ogni divisione e contrapposizione per una collaborazione produttiva.

 

3. Dal conflitto alla solidarietà

 

La virtù cristiana della solidarietà tende a rivestire le dimensioni specificatamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo, che è la viva immagine di Dio Padre, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore.

La solidarietà deve tendere a realizzare fra gli uomini una comunione che sia il riflesso di quel modello di unità espresso da Dio, uno in tre persone (SRS 40: EV 10/2661).

La solidarietà esprime la sintesi fra giustizia e amore nella costruzione della società; essa è il nome laico dell’amore verso il prossimo. Vivendo la solidarietà il singolo vince l’egoismo e l’individualismo, le categorie superano il corporativismo e gli esclusivi interessi di parte, le nazioni evitano il protezionismo e lo sfruttamento sugli altri popoli. Solo la solidarietà permette di risolvere i conflitti sociali nel rispetto della giustizia e può giustificare rinunce personali o di gruppo  a vantaggio del bene comune.

L’Italia negli ultimi cinquant’anni ha visto lo sviluppo di flussi migratori diversi. Dopo essere stata terra di emigrazione è diventata una nazione di grande migrazione interna dal sud al nord, dalla campagna alla città. Nell’ultimo decennio le nostre città hanno registrato l’arrivo sempre più massiccio di immigrati provenienti da paesi in via di sviluppo, vicini e lontani. La loro presenza porta con sé potenzialità di arricchimento culturale e sociale, ma anche problemi di integrazione e di inserimento nella realtà locale.

Il rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona, soprattutto nei momenti di bisogno, richiede solidarietà per affrontare insieme problemi e difficoltà, in un atteggiamento di reciprocità, perché l’accoglienza non si limiti all’assistenzialismo, ma sia espressione di un comune impegno per la giustizia, nelle città che accolgono gli immigrati, ma anche nei loro paesi di provenienza.

Si sperimenta la pace quando si impara il linguaggio dell’amore, quando l’altro viene conosciuto nella sua piena realtà umana e culturale e accolto nella sua somiglianza e diversità. La pianta della pace può crescere solo se viene estirpata la zizzania dell’indifferenza e dell’odio e se viene innaffiata con l’acqua della giustizia e della solidarietà. Ma la giustizia umana è sempre imperfetta, essa ha bisogno del perdono che rimargina le ferite della violenza, ricostruisce i tessuti di rapporti spezzati dall’odio e sparge semi di speranza.

Occorre passare dal rifiuto all’accoglienza, dal senso di superiorità alla disponibilità al confronto, dall’indifferenza al dialogo, dallo sfruttamento alla giustizia, dal conflitto alla solidarietà.

 

 

Per la preghiera personale

 

O Dio, che chiami tuoi figli gli operatori di pace,

 fa che noi, tuoi fedeli, lavoriamo senza mai stancarci

per promuovere la giustizia

che sola può garantire una pace autentica e duratura.

 

O Dio, che estendi a ogni creatura la tua paterna sollecitudine,

fa che tutti gli uomini, che hanno da te un’unica origine,

formino una vera famiglia, unita nella concordia e nella pace.

 

Dio della pace,

non ti può comprendere chi semina la discordia,

non ti può accogliere chi ama la violenza;

dona a chi edifica la pace di perseverare nel suo proposito,

e a chi la ostacola di essere sanato dall’odio che lo tormenta,

perché tutti si ritrovino in te, che sei la vera pace.

 

 

 

Per la vita personale

 

Senza giustizia, non c’è pace, quindi per costruire la pace è necessario un maggiore impegno per la giustizia, per il rispetto dei diritti umani a cominciare dal diritto alla vita, per la promozione umana, per attuare uno sviluppo rispettoso della natura e dei diritti delle generazioni future: ogni delitto contro la vita e la natura è un attentato contro la pace. Essere operatori di pace (GS 91-93) significa impegnarsi per rendere la vita più bella, degna e piena.

 

                                                                                              P. José Fidel Antón

 

 
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