6. Il samaritano: buono perché
solidale (Lc 10,25-37)
Dal vangelo di
Luca (10,25-37)
“Un dottore
della legge si alzò per metterlo alla prova: “Maestro, che devo fare per avere
la vita eterna?”. Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che
cosa vi leggi?". Costui rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto
il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua
mente e il prossimo tuo come te stesso". E Gesù: "Hai risposto bene;
fà questo e vivrai". Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù:
"E chi è il mio prossimo?". Gesù riprese:
"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo
spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per
caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò
oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò
oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e
n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e
vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese
cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede
all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo
rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di
colui che è incappato nei briganti?". Quegli rispose: "Chi ha avuto
compassione di lui". Gesù gli disse: "Và e anche tu fà lo
stesso".
Durante
il viaggio che dalla Galilea lo porta a Gedrusalemme (Lc 9,51-19,27), Gesù
istruisce i suoi discepoli con insegnamenti e miracoli.
La
parabola del “buon samaritano” viene raccontata da Gesù in risposta alla
domanda di un dottore della legge: “E chi è il mio prossimo?” (Lc 10,29). Il
brano termina con l’invito all’imitazione del comportamento del samaritano: “va
e fa anche tu lo stesso”. Inizia con un fatto
di cronaca: sulla strada da Gerusalemme a Gerico c’è un agguato: un uomo è
aggredito dai briganti, che dopo averlo spogliato e percorso lo lasciano mezzo
morto. Una persona viene a trovarsi in grave necessità: con le sole sue
forze non potrà mai rialzarsi, ha bisogno dell’aiuto di qualcuno.
Rappresenta quelle persone in
situazioni drammatiche per scelte personali sbagliate o causate dalle
difficoltà del vivere: è un carico pesante che non può essere portato da
soli, ma é necessario che qualcuno si fermi per ascoltare, condividere e
servire.
Può essere anche l’icona della situazione
di interi popoli che non possono incamminarsi sulla strada dello sviluppo
senza l’intervento solidale di altre nazioni. In questi casi occorre chiedersi
chi siano stati i briganti che gli hanno spogliati e lasciati al limite della
sopravvivenza. Forse i briganti devono convertirsi in samaritani solo per
giustizia, restituendo quello che hanno portato via. I tornanti della storia
dei popoli sono pieni di aggrediti e oppressi: “siano adempiuti gli obblighi
di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che à già
dovuto a titolo di giustizia” (AA 8: EV 1/946) .
1. Il sacerdote
e il levita
Di fronte a
una persona che ha bisogno si può reagire in maniera diversa: Gesù
presenta tre personaggi, tre modi
diversi di porsi di fronte al povero spogliato e malmenato in mezzo alla
strada: un sacerdote, un levita e un samaritano.
Il sacerdote “scende per caso
per la medesima strada”. Niente avviene “per caso” e va letto come
occasione per incontrarsi con Dio nell’altro; è un incontro non previsto e non
programmato, che, anzi, spesso intralcia i propri progetti. Fa una scelta
netta: “quando lo vide passò oltre dall’altra parte” (Lc 10,11), cioè il più
lontano possibile. Forse aveva terminato il suo turno di servizio nel tempio
di Gerusalemme e tornava a casa. Se si fosse macchiato col sangue del ferito o
avesse toccato un cadavere si sarebbe reso legalmente impuro e non idoneo a
svolgere azioni sacre: il suo lavoro e il culto sono ritenuti più importanti
della vita di un uomo.
Anche il levita pure
“giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre” (Lc 10,32). Nel testo italiano,
che traduce la versione latina, sembra esserci meno determinazione nella scelta
del levita rispetto a quella del sacerdote. Hanno motivazioni simili, dato che
pure il levita svolgeva il suo lavoro al tempio. Forse il suo cuore è stato
scalfito dalla condizione dell’aggredito, ma è una compassione sterile. Come un
moderno passante avrà pensato: “ma guarda come ci siamo ridotti, non si può più
girare tranquilli per la strada! La polizia cosa fa, lo stato perché non
interviene, ci devo pensare io?”. Ma
anche l’inserviente del tempo non si ferma e non muove un dito per aiutare il
ferito.
Il bisognoso, diceva Giovanni Paolo II, può esser visto come un
importuno e un fardello, oppure come “un’occasione di bene in é, la
possibilità di una ricchezza più grande” (CA 58: EV 13/252). Il
disgraziato che si trova nella polvere della strada, per il sacerdote e il
levita è un ostacolo da evitare e un inciampo per i loro progetti, mentre per
il samaritano è capitale di grazia per un investimento in umanità.
2. Dalla compassione alla solidarietà
Di tutti i tre personaggi della
parabola si dice che “videro”, ma solo per il terzo è scritto che “ebbe
compassione”. Mentre i due funzionari del tempio, rappresentanti della società
che conta e stimati dalla gente, guardano e passano, il samaritano viene
indicato come modello da Gesù, nonostante sia uno straniero, di razza bastarda
e di religione eretica e scismatica.
Anche lui aveva i suoi buoni motivi
per non fermarsi e per andare diritto. Infatti, mentre per il sacerdote e il
levita si afferma che passavano per quella strada, del samaritano si precisa
che “era in viaggio”: forse un viaggio d’affari e si sa che negli affari il
tempo è denaro. Eppure, “gli si fece vicino”: non ci può essere condivisione se
manca la disponibilità a fermarsi e ad ascoltare; perché l’intervento sia
efficace bisogna osservare e discerne.
Il “centro di ascolto” è il cuore
della Caritas: è il luogo di incontro con le persone che vengono per
manifestare problemi e bisogni. Il colloquio esprime accoglienza, serve a capire,
per cercare soluzioni e per accompagnare la persona. L’obiettivo è quello di
aiutare a recuperare sicurezza in se stessi, autonomia e fiducia negli altri: è
un aiuto ad alzarsi per riprendere il cammino.
Dopo aver ascoltato e visto, il
samaritano mette in atto una precisa strategia di intervento, facendo ricorso a
tutto ciò di cui può disporre e coinvolgendo altri perché l’intervento sia
concreto ed efficace.
Compassione è com-patire, cioè patire insieme, nasce dalla disponibilità a farsi
carico delle difficoltà e dei bisogni dell’altro. La solidarietà
“non è un
sentimento di vaga compassione o superficiale intenerimento per i mali di tante
persone vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e
perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di
ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti” (SRS 38: EV
10/2650).
Il samaritano e` mosso da vera compassione, tanto da superare le barriere sociali e i tabù etnici e religiosi. C`è
un primo intervento: il vino per desinfettare, l’olio usato come pomata per
ungere e lenire il dolore, le fasce per coprire le ferite. Dopo averlo messo in
piedi, lo carica sul suo giumento e lo porta a una locanda. Occorre sempre
tracciare un percorso di intervento che tenga conto di tutte le risorse
presenti nel territorio. Il ferito non viene scaricato e abbandonato dal
samaritano, che continua a “prendersi cura di lui”. Perde un giorno del
suo tempo e quando parte si assicura che qualcuno continui ad aiutare il
bisognoso: le istituzioni pubbliche vanno stimolate perché i poveri
trovino risposta ai loro bisogni e vedano rispettati i loro diritti. Il
samaritano tornerà a chiedere conto all’albergatore del lavoro fatto e a verificare la completa guarigione del
ferito: preso dalla polvere della strada ora è guarito e può riprendere la
strada con le sue gambe.
Il miracolo è avvenuto grazie
all’aiuto del samaritano, che adesso si trova con qualche denaro in meno nella
borsa, ma con un capitale enorme di umanità ottenuto investendo in solidarietà.
3. Servizio e
gratuità
Nella parabola non si fa
cenno a ringraziamenti, è un servizio vissuto in totale gratuità e in
pieno disinteresse. La molla che spinge alla solidarietà non può essere la
ricerca di gratificazioni, anche se l’amore gratuito e il servizio
disinteressato riempiono interiormente e generano gioia.
Ogni comunità cristiana deve saper annunciare
il vangelo dell’amore con la concretezza del samaritano, buono perché
solidale e disposto ad entrare in un rapporto fraterno con il bisognoso.
Nell’amore che apre all’altro ogni uomo può trovare la piena realizzazione di
sé e dare senso alla propria vita.
Il buon samaritano è Gesù che “nella
sua vita mortale passò beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri
del male. Ancora oggi, come buon samaritano, viene accanto a ogni uomo piagato
nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione
e il vino della speranza”(Prefazio).
4. Marta e Maria
E’ significativo che il brano del
“buon samaritano” sia immediatamente seguito da quello di Marta e Maria (Lc
10,38-42). Ad una prima lettura possono sembrare due testi in netto contrasto:
il primo invita all’impegno concreto e al servizio disponibile verso l’altro,
mentre, pochi versetti dopo, l’esempio che Gesù indica è quello di Maria che
non fa niente. In realtà il significato del brano delle due sorelle è
strettamente legato a quello precedente.
“Marta è tutta presa dai molti
servizi” (Lc 10,40): il desiderio di fare una buona figura, preparando un
pranzo indimenticabile, spinge Marta a preoccuparsi esageratamente per troppe
cose, ad agitarsi e ad affannarsi. E’ il pericolo che si corre quando il fare
tende a soffocare l’essere, con il rischio di provocare un corto circuito fra
l’impegno e le motivazioni che lo sostengono. A quel punto viene sovvertita la
scala dei valori: il servizio più generoso può diventare burocratico,
l’incontro con l’altro si fa sempre più superficiale, diminuisce la capacità di
ascolto e si offusca la lucidità di discernimento.
Maria, al contrario, si è scelta la “sola cosa
di cui c’è bisogno” (Lc 10,42): sedersi ai piedi di Gesù. E`
l’atteggiamento richiesto al discepolo che nelle scelte della vita vuole farsi
orientare dalla parola del Maestro: è la parte migliore, quella che non può mancare.
Non è un atteggiamento di remissivo disimpegno, al contrario è
particolarmente rischioso perché Gesù non vuole che si rimanga troppo a lungo
ai suoi piedi. Chi desidera limitare il proprio rapporto con Gesù a un consolatorio
spiritualismo non incarnato nell’azione è bene non si metta in serio
ascolto della sua parola, perché, dopo un po’
che si trova ai suoi piedi, si sentirà ripetere il comando con il quale
Gesù chiude la parabole del samaritano: “va e anche tu fa lo stesso”. Dall’ascolto
disponibile della Parola occorre passare all’impegno di solidarietà.
5. Solidarietà ed
impegno per il prossimo nella dottrina sociale della Chiesa
La finalità immediata
della dottrina sociale della Chiesa è quella di proporre i principi e i valori
che possono sorreggere una società degna dell’uomo. Tra questi principi, quello
della solidarietà in qualche misura comprende tutti gli altri: esso
costituisce “uno dei principi basilari della concezione cristiana dell’organizzazione
sociale e politica” (CA 10: AAS 83(1991 905-806).
Tale principio viene
illuminato dal primato della carità “che è il segno distintivo dei discepoli di
Cristo” (cfr. Gv 13,35). Gesù “ci insegna che la legge fondamentale della
perfezione umana, e quindi della trasformazione del mondo, è il nuovo
comandamento della carità (GS 38). Il comportamento della persona è pienamente
umano quando nasce dall’amore, manifesta l’amore ed è ordinato all’amore.
Questa verità vale anche in ambito sociale: occorre che i cristiani ne siano
testimoni profondamente convinti e sappiano mostrare, con la loro vita, come
l’amore sia l’unica forza che può guidare alla perfezione personale e sociale e
muovere la storia verso il bene.
L’amore deve essere
presente e penetrare tutti i rapporti sociali: specialmente coloro che hanno il
dovere di provvedere al bene dei popoli
“alimentino
in sé e accendano negli altri, nei grandi e nei piccoli, la carità, signore e
regina di tutte le virtù. La salvezza desiderata dev’essere principalmente
frutto di una effusione di carità: intendiamo dire quella carità cristiana che
compendia in sé tutto il Vangelo e che, pronta sempre a sacrificarsi per il
prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e a sacrificarsi per il
prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo”
(RN 11).
Questo amore può
essere chiamato “carità sociale” o “carità politica” (MM: AAS 52 (1961)
410) e deve essere esteso all’intero genere umano (AA 8). L’amore sociale si
trova agli antipoli dell’egoismo e dell’individualismo: senza assolutizzare la
vita sociale, come avviene nelle visioni appiattite sulle letture
esclusivamente sociologiche, non si può dimenticare che lo sviluppo integrale
della persona e la crescita sociale si condizionano vicendevolmente.
Per rendere la società
più umana, più degna della persona, occorre rivalutare l’amore nella vita
sociale – a livello politico, economico, culturale- facendone la norma costante
e suprema dell’agire. Se la giustizia “è di per sé idonea ad “arbitrare” tra
gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l’equa
misura, l’amore invece, e soltanto l’amore (anche quell’amore benigno, che
chiamiamo “misericordia”) è capace di restituire l’uomo a se stesso” (Dives
in misericordia, 14: AAS 72 (1980) 1223). Non si possono regolare i
rapporti umani unicamente con la misura della giustizia: “Il cristiano sa che
l’amore è il motivo per cui Dio entra in rapporto con l’uomo. Ed è ancora
l’amore che Egli s’attende come risposta dall’uomo. L’amore è perciò la forma
più alta e più nobile di rapporto degli esseri umani tra loro. L’amore dovrà
dunque animare ogni settore della vita umana, estendendosi all’ordine
internazionale. Solo un’umanità nella quale regni la “civiltà dell’amore” potrà
godere di una pace autentica e duratura” (CCC 2212). In questa prospettiva, il
Magistero raccomanda vivamente la solidarietà perché è in grado di garantire il
bene comune, aiutando lo sviluppo integrale delle persone: la carità “fa vedere
nel prossimo un altro te stesso” (Giovanni Crisostomo, Homilia De perfecta
caritate, 1,2).
Solo la carità può
cambiare completamente l’uomo (NMI 49-51). Un simile cambiamento non significa
annullamento della dimensione terrena in una spiritualità disincarnata (CA 5).
Chi pensa di conformarsi alla virtù soprannaturale dell’amore senza tener conto
del suo corrispondente fondamento naturale, che include i doveri di giustizia,
inganna se stesso: “La carità rappresenta il più grande comandamento sociale.
Essa rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e
soltanto essa ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sé:
“Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la
salverà” (Lc 17,33) (CCC 1889). Né la carità può esaurirsi nella sola
dimensione terrena delle relazioni umane e dei rapporti sociali, perché deriva
tuta la sua efficacia dal riferimento a Dio: “Alla sera di questa vita
comparirò davanti a Te con le mani vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di
tener conto delle mie opere. Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie
ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo
amore l’eterno possesso di te stesso…” (Santa Teresa di Gesù Bambino).
Per la preghiera personale
Dal prefazione comune
VII: Gesù, buon samaritano
E’ veramente giusto
lodarti e ringraziarti, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, in ogni momento
della nostra vita, nella salute e nella malattia, nella sofferenza e nella
gioia, per Cristo tuo servo e nostro Redentore.
Nella sua vita mortale
egli passò beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del amale.
Ancor oggi, come buon samaritano, viene accanto ad ogni uomo piagato nel
corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il
vino della speranza. Per questo dono della tua grazia, anche la notte del
dolore si apre alla luce pasquale del tuo Figlio crocifisso e risorto.
Per la vita
- Il samaritano fu “buono” e “prossimo”
perché compassionevole e solidale: il mio amore verso il prossimo assume
questi gesti propri del samaritano
- Dalla parola alla vita: “Và e anche tu fà lo stesso": c’è in
me questa continuità tra la parola ascoltata e la vita?
José
Fidel Antón