LA SOLIDARIETÀ SI FA LEGGE
Dal libro dell’Esodo 22, 20-30:
“Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto.
Non maltratterai la vedova o l'orfano.
Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l'aiuto, io ascolterò il suo grido,
la mia collera si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani.
Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse.
Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole,
perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando invocherà da me l'aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono pietoso.
Non bestemmierai Dio e non maledirai il principe del tuo popolo.
Non ritarderai l'offerta di ciò che riempie il tuo granaio e di ciò che stilla dal tuo frantoio.
Il primogenito dei tuoi figli lo darai a me.
Così farai per il tuo bue e per il tuo bestiame minuto: sette giorni resterà con sua madre, l'ottavo giorno me lo darai.
Voi sarete per me uomini santi: non mangerete la carne di una bestia sbranata nella campagna, la getterete ai cani”.
Con l’alleanza Dio dona all’uomo anche la legge, che indica la strada per la piena comunione con lui e per costruire una comunità nella pace, fondata su rapporti di giustizia e di solidarietà.
1. A difesa del povero
I poveri, soprattutto nell’Antico Testamento, sono rappresentati da alcune categorie precise come lo straniero, l’orfano, la vedova, il levita.
a) Lo straniero: “non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (Es 22,20). Il forestiero era colui che risiedeva in Israele, stabilmente o per un periodo limitato di tempo, ma non godeva dei diritti di un membro del popolo ebraico. Poteva, quindi, con facilità essere oggetto di maltrattamenti; inoltre, non possedendo beni, viveva da salariato in una situazione di povertà.
La parola di Dio ricorda che anche Israele era stato forestiero in Egitto e quindi conosce la sofferenza dovuta alla lontananza dalla propria gente e il peso della miseria. Dio comanda agli Israeliti di evitare agli stranieri le pene che loro stessi hanno subito: il loro amore deve allargarsi anche ai forestieri. La motivazione è sempre teologica: gli israeliti devono amare gli stranieri perché Dio li ama, così come ha amato i figli del suo popolo quando erano stranieri in Egitto, perché il Signore è dalla parte dei poveri; è il loro redentore (go’el).
b) l’orfano e la vedova erano due categorie di bisognosi verso i quali la Bibbia richiama spesso l’attenzione: “non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido” (Es 22, 21-22).
La vedova e l’orfano, non avendo più un uomo che potesse difenderne i diritti, erano più facilmente oggetto di ingiustizia, di angherie e di maltrattamenti, la loro situazione economica era spesso precaria perché non potevano contare sul reddito del marito o del padre.
Dio, particolarmente sensibile al loro grido, come lo era stato per la voce del sangue di Abele (Gn 4,10) e per il lamento degli israeliti umiliati in Egitto (Es 3,7), ridurrà l’oppressore nella stessa condizione dell’oppresso: “la mia collera si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani” (Es 22,23). Dio si fa difensore di chi è debole e solo. Chi opprime il povero offende il suo creatore (cf Pr 14,31).
Il forestiero, l’orfano e la vedova vanno sempre aiutati: “Quando facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo: sarà per il forestiero, per l’orfano e la vedova” (Dt 24,19). Allo stesso modo, il buon israelita, memore di quanto Dio ha fatto per lui, non dovrà ripassare i rami di ulivo dopo la prima bacchiatura e non dovrà ritornare a racimolare le viti, lasciando l’oliva e l’uva rimaste è per chi ha bisogno e non possiede terra (Dt 24,19-22). Nel versamento delle decime annuali bisogna ricordarsi del levita che svolge il suo servizio sacro a tempo pieno: a lui, all’orfano e alle vedove, devono essere devolute tutte le decime ogni tre anni (Dt 14,28-29).
La gioia della festa è piena quando viene condivisa con i poveri: “Celebrerai la festa delle capanne per sette giorni, quando raccoglierai il prodotto della tua aia e del tuo torchio; gioirai in questa tua festa, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava, e il levita, il forestiero, l’orfano e la vedova, che saranno entro la tua città” (Dt 16, 13-14).
Per questo l’edificante narrazione del libro di Tobia presenta Tobi che versa con scrupolo tutte le decime e dà la terza decima ogni tre anni agli orfani, alle vedove e ai proseliti aggregati a Israele (Tb 1,8) e li invita a pranzo nelle feste. Ogni pio israelita, di cui Tobi rappresenta il modello perfetto, deve insegnare così al proprio figlio: “ Dei tuoi beni fa’ l’elemosina. Non distogliere mai lo sguardo di Dio… Da’ il tuo pane a chi ha fame e fa’ parte dei tuoi vestiti agli ignudi. Da’ in elemosina quanto ti sopravanza e il tuo occhio non guardi con malevolenza, quando fai l’elemosina” (Tb 4,7.16). Gli stessi salmi considerano Dio come protettore dei poveri, padre degli orfani e difensore delle vedove (Sl 68,6). Il Salmo 10 afferma: “A te si abbandona il misero, dell’orfano tu sei il sostegno… Tu accogli il desiderio dei miseri, rafforzi i loro cuori, porgi l’orecchio per fare giustizia all’orfano e all’oppresso” (Sl 10,35-39). Ed ancora il salmo 146: “Il Signore rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova” (Sl 146,7-8).
Il povero è spesso costretto, per il suo stato di indigenza, a chiedere aiuto. Per non fare diventare il povero sempre più povero, il Signore ordina: “Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usurario, voi non dovete imporgli alcun interesse” (Es 22,24).
c) Il prestito ad interesse è uno sfruttamento dello stato di bisogno del povero prché non gli è offerta la possibilità di superare le difficoltà finanziere, ma si cerca di spingerlo in uno stato sempre peggiore di asservimento: gli viene lentamente tolta la libertà, anzi è come ucciderlo pian piano. Infatti, il quinto comandamento “non uccidere” (Es 20,13), impegna non solo a non togliere violentemente la vita, ma anche a non lasciar morire quando si dispone in qualche modo della vita dell’altro: “Il pane dei bisognosi è la vita dei poveri, toglierlo a loro è commettere un assassinio. Uccidede il prossimo chi gli toglie il nutrimento, versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio” (Sir 34,21-22).
L’obbligo di non prestare a interesse ha una motivazione teologica: quello che si possiede lo ha dato Dio gratuitamente, quindi bisogna metterlo a disposizione di chi può averne bisogno. Anche il versamento del pegno non deve creare difficoltà alla vita del povero: “Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il matello per la sua pelle: come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono pietoso” (Es 22,25-26). Bisogna assicurare all’uomo non solo la sopravvivenza, ma anche ciò che serve per una vita decorosa. E’ necessario prestare ogni attenzione a non umiliare nessuno, soprattutto colui che vive in condizioni di povertà: “Quando presterai qualsiasi cosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il suo pegno; te ne starai fuori e l’uomo a cui avrai fatto il prestito ti porterà fuori il prestito” (Dt 24,10).
La legge vuole stimolare l’amore reciproco, l’attenzione verso coloro che maggiormente hanno bisogno: i rapporti fra i membri del popolo di Dio non devono essere improntati all’egoismo e allo sfruttamento, ma al servizio vicendevole e alla solidarietà. Aiutare il fratello che si trova nel bisogno vuol dire inserirsi nell’opera di liberazione di Dio che ha fatto uscire il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto e prolungarla nella storia.
Anzi, l’amore e la solidarietà non vanno vissuti solo verso il fratello, ma anche verso il nemico: “Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui ad aiutarlo” (Es 23,4-5). Cristo farà dell’amore verso i nemici una delle caratteristiche qualificanti e più rivoluzionarie dell’amore dei suoi discepoli: l’antica alleanza viene portata a compimento dalla nuova.
2. Amerai il tuo prossimo come te stesso (Lv 19,1-18)
Il brano fa parte della sezione del libro del Levitico che viene definita “legge di santità” e che comprende i cc. 17-26. Il Signore riferisce a Mosè tutte le disposizioni che il popolo deve seguire per non compromettere il suo rapporto di comunione con Dio e per avere l’atteggiamento che si conviene verso una creatura fatta ad immagine e somiglianza del Creatore: “Parla a tutta la comunità degli israeliti e ordina loro: Siate santi perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2). Essere popolo di Dio è un privilegio che richiede, da parte di tutta la comunità, l’impegno di riprodurre il più possibile l’immagine della santità del Signore. Per passare da un clan di schiavi in fuga a un popolo, occorre darsi delle leggi e per cementare il rapporto comunitario bisogna mettere a fondamento delle leggi l’amore del prossimo, specialmente del più povero e debole.
I vv. 11-18 stabiliscono come debba essere il comportamento sociale fra i membri del popolo ebraico. Il rispetto reciproco esige, innanzitutto, attenzione verso le cose e le persone degli altri: “Non ruberete, né userete inganno o menzogna gli uni a danno degli altri e non giurerete il faso…” (Lv 19,11-12). Vengono, poi, denunciate l’oppressione e l’angheria verso il prossimo; così come viene affermato il diritto del lavoratore a ricevere con tempestività e giustizia il suo salario, per dare la possibilità di vivere a lui e alla sua famiglia (Lv 19,13). Ma la solidarietà si manifesta, soprattutto, verso gli handicappati e gli emarginati, quelle categorie di persone verso le quali neanche la natura sembra essere stata benevola: “non disprezzerai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco ma temerai il tuo Dio” (Lv 19,14).
L’ambito nel quale con maggiore facilità si verificano privilegi è il tribunale, il luogo dove si amministra la giustizia degli uomini: “Non commettere ingiustizia in giudizio, non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia” (Lv 19,15). Così come non bisogna lasciarsi andare alle calunnie che possono essere causa di morte morale del prossimo o causa di inquinamento delle prove in tribunale (Lv 19,16).
Il cuore dell’uomo può dare ospitalità a sentimenti disgreganti per una vita di comunità, capaci di uccidere qualsiasi rapporto fraterno: odio, vendetta, rancore. Tra i membri del popolo di Dio occorre franchezza e cordiale accoglienza: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,17-18).
L’amore del prossimo nasce dalla convinzione di far parte dell’unica famiglia di Dio, nella quale bisogna vivere rapporti fraterni. L’unità del popolo ebraico deve fondarsi sull’amore concreto fra tutti i suoi membri, per costruire una società più giusta, nella quale la legge della giungla a favore del più forte viene sostituita dal diritto e il privilegio del potente lascia il posto alla solidarietà verso l’ultimo e l’emarginato.
3. Anno sabbatico e giubileo
La scarsa osservanza della legge sul prestito senza interesse costringeva chi si trovava in ristrettezze economiche a far ricorso agli usurai. Le conseguenze erano peggiori della situazione iniziale: aumento dello stato di povertà, passaggio dei propri beni al creditore per il pagamento dei debiti o addirittura asservimento di sé e dei propri familiari in caso di impossibilità di pagamento. Così, oltre ai beni, era persa anche la libertà. Ma in questo modo come parlare ancora di uguaglianza sociale e di giustizia fra i membri del popolo di Israele?
La legislazione definì due istituzioni per porvi rimedio: l’anno sabbatico e l’anno giubilare, che oltre a un profondo significato religioso avevano anche importanti risvolti sociali.
Come il sabato è giorno di riposo consacrato al Signore, che nel settimo giorno della creazione ha riposato, così ogni sette anni deve essere celebrato l’anno di remissione: “Ecco la norma di questa remissione: ogni creditore che abbia diritto a una prestazione personale in pegno per un prestito fatto al suo prossimo, lascerà cadere il suo diritto: non lo esigerà dal suo prossimo, dal suo fratello, quando si sarà proclamato l’anno di remissione per il Signore” (Dt 15,2-3). L’ideale del Deuteronomio è: “non vi sarà alcun bisognoso fra di voi” (Dt 15,4), perché il Signore protegge chi obbedisce fedelmente alla sua legge. Ma a causa della scarsa osservanza della legge, l’egoismo e l’ingiustizia assicureranno sempre la presenza dei poveri. Occorrerà affrontare queste sacche di povertà con solidarietà attiva e concreta: “… non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso; anzi gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alle necessità in cui si trova… Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel tuo paese … apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese” (Dt 15,7-11).
Nell’anno sabbatico devono essere ristabiliti i rapporti di uguaglianza, almeno nei diritti fondamentali, voluti dalla Legge: “Se un tuo fratello ebreo o un’ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo manderai via da te libero. Quando lo lascerai andare via libero, non lo rimanderai a mani vuote; gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio; gli darai ciò con cui il Signore tuo Dio ti ha benedetto” (Dt 15,12-14). Lo schiavo non deve riavere solo la libertà, ma gli devono essere offerti anche i mezzi per rifarsi una vita. E’ una forma di indennità di licenziamento dovuta per giustizia, perché un “mercenario sarebbe costato il doppio” (Dt 15,18), ma anche per amore: è un far partecipe della benedizione di Dio chi è stato meno fortunato, nel ricordo della solidarietà di Dio che ha liberato tutti dall’Egitto. Perfino il suolo deve osservare l’anno sabbatico: i frutti che la terra spontaneamente produce devono essere lasciati ai poveri (Es 23,10-11).
Le stesse disposizioni valgono per l’anno del giubileo. Esso, chiamato così perché il suo inizio veniva solennemente proclamato con il suono della tromba (yobel), ritornava ogni cinquant’anni: “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia… non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete le vendemmie delle vigne non potate… in quest’anno del giubileo ciascuno entrerà in possesso del suo” (Lv 25,8-13). Viene così affermata l’uguaglianza di tutti gli uomini e l’appartenenza della terra a Dio: “Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini” (Lv 25,23).
4. Un culto che piace a Dio: giustizia e misericordia
Il culto di Yahvé ha avuto per il popolo di Israele anche una funzione politica e sociale. L’unità nazionale fra le tribù era assicurata dall’esercizio comune del culto, l’alleanza fra di esse era fatto presso il luogo sacro; nella vicinanza dell’arca veniva eletto e agiva il “giudice”, il capo carismatico e politico del popolo.
Durante il periodo dei re, Gerusalemme diviene il cuore d’Israele: lì c’è il santuario del re e il tempio di Stato; il pellegrinaggio alla capitale e il culto presso il tempio sono elementi costitutivi dello Stato. Dopo la divisione dei due regni vengono costruiti altri luoghi sacri. I profeti criticano aspramente i loro contemporanei per il modo di esprimere la propria religiosità e mettono il culto in relazione con la vita.
Il culto ha cambiato il suo effetto: anziché vita genera morte. Quando mancano giustizia e solidarietà, il Signore non può accettare l’espressione vuota di un culto falso. Dice il profeta Amos: “Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei tuoi canti; il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne” Amos 5,21-24).
Da Gerusalemme sembra fargli ecco Isaia:
“ Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero? Dice il Signore. Sono sazio degli olocausti di montini e del grasso di giovenchi; il sangue dei tori e di agnelli non lo gradisco… Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere io non le ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,11-17).
Quando i gesti e le azioni di culto, che dovrebbero essere espressione di fede nel Signore, vengono contraddetti dal comportamento sociale e dalla mancanza di rettitudine morale, allora non può essere la sola presenza del luogo sacro a garantire il favore di Dio. Per questo il profeta Geremia di fronte al pericolo d’invasione dei babilonesi, denuncia la magica sicurezza che ai politici proveniva dalla presenza del tempio: “Non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo!” (Ger 7,4). Non si può pretendere la salvezza del Signore e poi rubare, uccidere, commettere adulteri, giurare il falso, rendere culto agli idoli, opprimere il povero.
Il profeta Osea, con scultorea sinteticità, si fa interprete della volontà di Dio affermando: “Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti” (Os 6,6). Una religiosità rituale si esprime solo nella scrupolosità e nella sontuosità dell’azione liturgica, mentre Dio vuole una fede che stimoli a un impegno di amore e di misericordia. Un culto che non va di pari passo con la giustizia sociale è falso. Per camminare lungo le strade di Dio bisogna percorrere sentieri di giustizia.
5. La solidarietà di Cristo verso i poveri, epifania dell’amore solidale di Dio-Padre
La pratica della giustizia, della misericordia e della solidarietà, soprattutto verso i più poveri, sono il culto a Dio gradito.
Il messaggio della dottrina sociale della Chiesa circa la solidarietà mette in evidenza il fatto che esistono stretti vincoli tra solidarietà e bene comune, tra solidarietà e destino universale dei beni, solidarietà e uguaglianza tra gli uomini e i popoli, solidarietà e pace nel mondo.
Il principio della solidarietà comporta che tutti gli uomini del nostro tempo coltivino maggiormente la consapevolezza del debito che hanno nei confronti della società entro la quale sono inseriti: sono debitori di quelle condizioni che rendono vivibile l’umana esistenza, come pure di quel patrimonio indivisibile e indispensabile, costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica e tecnologica, dai beni materiali e immateriali, da tutto ciò che la vicenda umana ha prodotto.
Il vertice insuperabile della prospettiva indicata è la vita di Gesù di Nazaret, l’uomo nuovo, solidale con l’umanità fino alla “morte di croce” (Fil 2,8): in Lui è sempre possibile riconoscere il Segno vivente di quell’amore incommensurabile e trascendente del Dio-con-noi, che si fa carico delle infermità del suo popolo, cammina con esso, lo salva e lo costituisce in unità (GS 32: AAS 58(1966)1051. In Lui, e grazie a Lui, anche la vita sociale può essere riscoperta, pur con tutte le sue contraddizioni e ambiguità, come luogo di vita e di speranza, in quanto segno di una grazia che di continuo è a tutti offerta e che invita alle forme più alte e coinvolgenti di condivisione.
Gesù di Nazaret fa rispendere dinanzi agli occhi di tutti gli uomini il nesso tra solidarietà e carità, illuminandone l’intero significato (SRS, 40: AAS 80(19888)568):
“Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posto sotto l’azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: “Dare la vita per i propri fratelli” (cfr 1Gv 3,16)” (SRS, 40: AAS (1988) 569.)
Per la preghiera personale
Salmo 145: Non confidate nei potenti: è il Signore che libera
E’ inutile che l’uomo si appoggi e ponga la sua fiducia in chi è potente. Il salmo dice che è un errore perché anche lui è un uomo mortale. Solo la speranza posta nel Signore non viene delusa perché è lui il creatore, è fedele per sempre, è capace di rendere giustizia, è premurosamente vicino a chi ha bisogno ed è disponibile a venire in aiuto: “il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion per ogni generazione”.
Loda il Signore, anima mia:
loderò il Signore per tutta la mia vita,
finché vivo canterò inni al mio Dio.
Non confidate nei potenti,
in un uomo che non può salvare.
Esala lo spirito e ritorna alla terra;
in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni.
Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe,
chi spera nel Signore suo Dio,
creatore del cielo e della terra,
del mare e di quanto contiene.
Egli è fedele per sempre,
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri,
il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge lo straniero,
egli sostiene l'orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie degli empi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione.
Per la vita:
- In chi poni la tua fiducia?
- Quando mancano giustizia e solidarietà, il Signore non può accettare l’espressione vuota di un culto falso.
P. J. Fidel Antón