12. La
samaritana: accoglienza e dialogo (Gv 4,1-42)
Dal Vangelo secondo Giovanni
Quando il Signore venne a sapere che i
farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni sebbene
non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli lasciò la Giudea e si diresse di
nuovo verso la Galilea. Doveva
perciò attraversare la Samaria. Giunse
pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che
Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù
dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò
intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: "Dammi da
bere". I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di
cibi. Ma la Samaritana
gli disse: "Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una
donna samaritana?". I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i
Samaritani. Gesù le rispose: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è
colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto
ed egli ti avrebbe dato acqua viva". Gli disse la donna: "Signore, tu
non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'
acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede
questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?". Rispose
Gesù: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve
dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli
darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna". "Signore,
gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non
continui a venire qui ad attingere acqua". Le disse: "Và a chiamare tuo
marito e poi ritorna qui". Rispose la donna: "Non ho marito". Le
disse Gesù: "Hai detto bene "non ho marito"; infatti hai avuto
cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il
vero". Gli replicò la donna: "Signore, vedo che tu sei un profeta. I
nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme
il luogo in cui bisogna adorare". Gesù le dice: "Credimi, donna, è
giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il
Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo,
perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in
cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre
cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in
spirito e verità". Gli rispose la donna: "So che deve venire il
Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa". Le
disse Gesù: "Sono io, che ti parlo". In quel momento giunsero i suoi
discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno
tuttavia gli disse: "Che desideri?", o: "Perché parli con
lei?". La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla
gente: "Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto.
Che sia forse il Messia?". Uscirono allora dalla città e andavano da lui. Intanto
i discepoli lo pregavano: "Rabbì, mangia". Ma egli rispose: "Ho
da mangiare un cibo che voi non conoscete". E i discepoli si domandavano
l'un l'altro: "Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?". Gesù
disse loro: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e
compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la
mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano
per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita
eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza
il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non
avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro
lavoro". Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole
della donna che dichiarava: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". E
quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli
vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla
donna: "Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi
abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo".
L’incontro di
Gesù con la donna di Samaria aiuta a capire l’importanza della relazione. L’accoglienza e il dialogo, anche nella diversità, permettono un
rapporto vero che fa crescere e stimola la responsabilità e l’impegno.
1. L’emergenza della relazione
Questo
incontro sembrava non potesse mai avvenire. La diversità di sesso era un
ostacolo insuperabile nel contesto culturale del tempo: un maestro rispettabile
non si sarebbe mai fermatocon una
donna, per giunta non moralmente impeccabile. Anche “i suoi discepoli si
meravigliarono che stesse a discorrere con una donna” (Gv 4,27). In più la
donna era samaritana, quindi di razza bastarda e di religione scismatica, tanto
che i samaritani adoravano Dio sul monte che sovrasta la città e non andavano
al tempio di Gerusalemme, simbolo dell’unica fede e luogo nel quale si
esprimeva l’unità del popolo. Lo stesso attraversamento della Samaria era da
evitare perché rendeva ritualmente impuri. Per giunta la donna era fuori
orario, perché l’acqua si andava a prendere al mattino e alla sera, nelle ore
meno calde della giornata, non a mezzogiorno. Ma Gesù supera ostacoli, infrange
tabù pur di stabilire una relazione vera. Con un colloquio paziente aiuta la
donna a capire, un’accoglienza calda facilita il rapporto, il bisogno divine
occasione di un dialogo che scava in profondità, fa emergere potenzialità
soffocate, fa ripartire con un nuovo entusiasmo, aiuta a ridare senso alla
propria esistenza mettendola a servizio degli altri. La relazione nasce dalla
verità sull’uomo e dall’incontro nella libertà. La verità e l’amore suscitano e
fanno crescere la responsabilità.
Il pozzo nel deserto è il luogo della vita
e dell’incontro; il pozzo di Sicar era pieno di storia e le sue sorgenti
partivano dai patriarchi. A quell’acqua si erano abbeverati gli armenti dei
padri e si erano dato appuntamento personaggi importanti della storia della
salvezza. L’acqua è il simbolo della fecondità: al pozzo Mosè aveva incontrato
le figlie di Reuel e avevano trovato moglie Isacco e Giacobbe.
L’incontro e la relazione con l’altro
sono ancora più importanti dell’acqua che disseta fisicamente, perché ci sono
bisogni ed esigenze interiori che possono essere appagati solo quando si arriva
a scoprire la sorgente giusta: “chi beve dell’acqua che io darò, non avrà mai
più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che
zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14).
Il pozzo
indica l’importanza dell’incontro; la
brocca vuota e abbandonata mostra che pure i bisogni ritenuti primari possono
trovare un’altra collocazione in una scala di valori che recupera quelli
fondamentali della relazione con l’altro e del servizio; la città è il luogo
dove testimoniare l’incontro avvenuto e raccontare il ritrovamento di una
sorgente che cambia la vita.
Gesù realizza
con la samaritana una relazione accogliente che percorre le tappe del dialogo e
dell’ascolto, si pone al suo servizio raggiungendo il suo cuore, aiutandola a
liberarsi dai bisogni e indirizzandola al cambiamento e al dono di sé per il
bene del suo villaggio.
Dio è
relazione trinitaria e comunione; l’uomo, creato a sua somiglianza, si realizza
nell’incontro con l’altro e nell’amore. Anche di fronte alle accuse rivolte
all’adultera (Gv 8,1-11), Gesù smaschera le intenzioni degli accusatori e mette
in primo piano la dignità della donna, che, da oggetto di piacere nelle mani di
un uomo, ora è diventata strumento per cercare un capo d’accusa contro Gesù. Se
si guarda solo il peccato, tutti hanno bisogno di perdono, “dai più anziani
fino agli ultimi”. La legge data a Mosè non è una gabbia per la libertà
dell’uomo, ma l’indicazione di un cammino per la sua piena realizzazione. La
misericordia usata verso la peccatrice è espressione dell’amore di Dio,
l’invito alla conversione indica la strada della liberazione.
Nella società
di oggi, che tende a massificare e a stordire, a creare miti e a emarginare, è
necessario trovare luoghi nei quali sia possibile ascoltarsi e dialogare e
persone che aiutino a riflettere e a ripartire.
Lo stile di
Gesù potrebbe suggerire una verifica sul modo di intendere e gestire le diverse
forme e “centri d’ascolto” oggi
esistenti nella realtà civile ed ecclesiale. Il Centro d’ascolto della Caritas, per esempio, vuole essere “il luogo
che accoglie globalmente la persona, nella profondità del proprio essere,
andando oltre il bisogno; che sa ascoltare fino nell’intimo che sa essere ponte
tra il tempo della sofferenza e il tempo della festa; che sa interrompere il
flusso continuo di pensieri di dolore e di angoscia; che cerca di dare
significato all’esistenza delle persone, facendo intuire qualcosa che fino a
quel momento era soffocato, e a mobilitare le proprie risorse”.
L’ascolto è
segno e strumento di una società diversa, fondata sul rispetto della persona e
sulla fraternità, sulla giustizia e sulla solidarietà.
2. La diversità
Oggi quasi
nessuno è disponibile all’ascolto, quindi il dialogo diventa difficile. La
parola e i gesti manifestano la propria interiorità, attraverso di essi è
disponibile togliersi la maschera e farsi vedere “nudi” senza provare vergogna
(Gen 2,25). Se chi ascolta segue, manifesta attenzione ed esprime
partecipazione, allora è più facile, per chi parla, mostrarsi per quello che
realmente è, altrimenti la diversità viene coperta con il mantello della
superficialità.
La diversità e
la propria originalità sono valorizzate dalla ricerca di autenticità e di
autorealizzazione. Essere autentici è una prospettiva positiva, perché rifiuta
il formalismo di facciata e stimola attenzione verso le esigenze
dell’individuo. Ma è una falsa autenticità quella di chi si abbandona ai propri
istinti e reprime la ragione e la coscienza, affidandosi a stati d’animo sempre
mutevoli ed esposti alla strumentalizzazione della pubblicità e delle mode. Per
essere veramente autentici a volte bisogna avere il buon senso e il coraggio di
andare contro i propri impulsi e aprirsi alla dimensione del “totalmente
altro”, per non diventare avvizziti e disidratati per mancanza di “quell’acqua
che zampilla per la vita eterna”.
La ricerca
dell’autorealizzazione è fortemente sentita dall’uomo di oggi e questa
aspirazione può incrociare l’annuncio che la salvezza portata da Cristo è per
la felicità e la pienezza di vita. Ma la realizzazione di sé deve tener conto
del rischio dell’isolamento dagli altri e avere dei valori etici di riferimento,
perché i rapporti sociali, sganciati dal bene comune e fondati solo
sull’individualismo, portano all’autodistruzione collettiva. Si è sempre più
insicuri e insoddisfatti quando non si tiene conto che gli altri sono dentro di
noi. L’ansia di autorealizzazione senza priorità etiche porta a considerare il
matrimonio come un contratto a termine, il bene dei figli può diventare
secondario e gli anziani possono essere lasciati soli e abbandonati.
La diversità è
nel progetto di Dio che “crea secondo la propria specie”; anche la Trinità è un modello di
unità nelle diversità e la
Chiesa è un unico corpo formato di più membra. Ma la
diversità, al di fuori di un unico e condiviso orizzonte di valori, diventa
complessità non componibile, pulviscolo di frammenti. Senza la ricerca di
relazione non c’è diversità, ma parcheggio di individui,e allora la differenza può essere cancellata
dalla massificazione. In una prospettiva individualistica tutti i progetti
diventano uguali e la tolleranza può tramutarsi in indifferenza, cioè non
differenza, perché non si cerca l’incontro con la persona, ma si accostano
degli individui: questa tolleranza è figlia della superficialità e può
trasformarsi presto in rifiuto, emarginazione e sfruttamento. Se tutto si
equivale non c’è più bisogno di confronto.
Quando la
spontaneità è esasperata può arrivare fino all’aggressività; se il proprio
punto di vista è unico e non soggetto a verifiche, l’altro diventa un ostacolo
da rimuovere, il vicino è solo colui del quale ci si fida e si cercano solo
quelli che ci capiscono, escludendo gli altri. La diversità, invece, fa rima
con unità quando si sottomette alla fatica di costruire una relazione fondata
sull’ascolto e sul dialogo.
3. Dialogo e missione
Il dialogo
vero è quello che impegna nell’ascolto e rende attivo l’ascoltatore perché sa
leggere nel cuore di chi parla e lo coinvolge con una parola che non lo
zittisce, ma lo stimola al confronto e all’impegno.
Gesù facilita
il dialogo con la samaritana chiedendo il favore di un po’ d’acqua, per aiutarla
poi ad accogliere il dono di un’acqua diversa. Quando il dialogo è avviato si
possono poi affrontare anche le situazioni familiari e le discussioni
teologiche. Ma chi ha incontrato Gesù non può tenerselo per sé, e così la donna
diventa strumento di comunicazione e di incontro con Gesù per i suoi
compaesani.
Oggi i mezzi
di comunicazione permettono un’informazione continua, totale e in tempo reale.
Essa, però, rischia di diventare talmente invadente che il mondo finisce per
identificarsi con la comunicazione: esiste ed è importante solo ciò che viene
fatto vedere. Ma la solitudine e l’incomunicabilità non sono eliminate dalla
potenza tecnologica di comunicazione, il rapporto interpersonale è qualcosa di
più di uno scambio di informazioni, perché è
l’incontro della ricchezza di due persone.
Gli abitanti
della città di Sicar ricevono dalla donna una comunicazione che stimola la loro
ricerca, però nel cammino di fede non è sufficiente la curiosità, occorre un
incontro personale con Gesù, e prendere sul serio la sua Parola. La presenza
nelle nostre città di molti immigrati provenienti da tutto il mondo, con
culture e professioni religiose diverse, obbliga a un confronto serio e a una
testimonianza coerente.“Per annunciare il vangelo, come anche per dialogare, si
richiede una forte e limpida coscienza della propria identità cristiana” (Episcopato
italiano, Orientamenti pastorali per gli
anni 90. Evangelizzazione e testimonianza della carità, 08.12.1990, n. 32),
frutto di un incontro personale con Cristo e sostenuta da una vitale esperienza
ecclesiale. Allora sarà possibile dialogare con tutti e cogliere i semi di
verità presenti in ogni uomo. Come ha fatto la samaritana, occorre farsi
strumento per suscitare il desiderio di ricerca del Signore, con dolcezza, umiltà
e rispetto, pronti a rendere ragione della fede che sostiene la speranza e la
carità: il vangelo della carità si annuncia solo attraverso la carità.
4. Solidarietà familiare e accoglienza
nella dottrina sociale della Chiesa
L’incontro di
Gesù con la samaritana ci insegnano che l’accoglienza
e il dialogo, anche nella diversità, permettono un rapporto vero che fa
crescere e stimola la responsabilità e l’impegno. La famiglia è il luogo connaturale per farne l’esperienza di tutto
ciò.
La famiglia è
la cellula della società. La soggettività sociale delle famiglie, sia singole
che associate, si esprime anche con manifestazioni di solidarietà e di
condivisione, non solo tra le famiglie stesse, ma pure mediante varie forme di
partecipazione alla vita sociale e politica. Si tratta della conseguenza della
realtà familiare fondata sull’amore: nascendo dall’amore e crescendo
nell’amore, la solidarietà appartiene
alla famiglia come dato costitutivo e culturale.
E’ una
solidarietà che può assumere il volto del servizio e dell’attenzione a quanti
vivono nella povertà e nell’indigenza, agli orfani, agli handicappati, ai
malati, agli anziani, a chi è nel lutto, a quanti sono nel dubbio, nella
solitudine o nell’abbandono; una
solidarietà che si apre all’accoglienza, all’affidamento o all’adozione;
che sa farsi voce di ogni situazione di disagio presso le istituzioni, affinché
intervengano secondo le loro specifiche finalità.
Le famiglie,
lungi dall’essere solo oggetto dell’azione politica, possono e devono diventare
soggetto di tale attività,
adoperandosi “affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non
offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della
famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere
“protagoniste” della cosiddetta “politica familiare” e assumersi la
responsabilità di trasformare la società” (FC 44: AAS 74(1982) 136). A tale
scopo va rafforzato l’associazionismo familiare:
“Le famiglie hanno il diritto di formare
associazioni con altre famiglie e istituzioni per svolgere il ruolo della
famiglia in modo conveniente ed effettivo, come pure per proteggere i diritti,
promuovere il bene e rappresentare gli interessi della famiglia. Sul piano
economico, sociale, giuridico e culturale, deve essere riconosciuto il
legittimo ruolo delle famiglie e delle associazioni familiari nella
elaborazione e nell’attuazione dei programmi che interessano la vita della
famiglia”(Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art.
8,a-b; Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1983, p. 12).
Per la preghiera personale
Dal Salmo 85: Preghiera per la pace e la
giustizia
Signore, sei stato buono con la tua terra,
hai ricondotto i deportati di Giacobbe.
Hai perdonato l'iniquità del tuo popolo,
hai cancellato tutti i suoi peccati.
Hai deposto tutto il tuo sdegno
e messo fine alla tua grande ira.
Rialzaci, Dio nostra salvezza,
e placa il tuo sdegno verso di noi.
Forse per sempre sarai adirato con noi,
di età in età estenderai il tuo sdegno?
Non tornerai tu forse a darci vita,
perché in te gioisca il tuo popolo?
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annunzia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con tutto il cuore.
La sua salvezza è vicina a chi lo teme
e la sua gloria abiterà la nostra terra.
Misericordia e verità s'incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
La verità germoglierà dalla terra
e la giustizia si affaccerà dal cielo.
Quando il Signore elargirà il suo bene,
la nostra terra darà il suo frutto.
Davanti a lui camminerà la giustizia
e sulla via dei suoi passi la salvezza.
Per la vita
Accogliamo
l’invito del Murialdo a guardare e a dire
il bello di ciascuna persona. “Dio
guarda me con tenerezza e misericordia”: anche noi siamo chiamati a far
nostro tale sguardo, intessendo relazioni
di fraternità e amicizia come segno della tenerezza e misericordia di Dio
(XXIº Capitolo Generale, 1.2.3).