15. La visitazione: la carità è donna (Lc 1,39-45)
Dal vangelo secondo Luca:
“In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la
montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di
Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria,
il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed
esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del
tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena
la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di
gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle
parole del Signore" (1,39-45).
Non mancano,
nell’Antico Testamento, importanti figure di donne che segnano tappe
fondamentali nella storia della salvezza. Anche i vangeli documentano il ruolo
che le donne hanno avuto nella preparazione della venuta del Messia e nella
vita dei suoi discepoli. Partendo dai loro esempi è possibile tracciare alcuni
modelli di vita cristiana anche per i discepoli di oggi.
1. Spiritualità di Nazaret: silenzio, preghiera e carità
Maria,
nell’annunciazione, viene presentata in un atteggiamento attento e riflessivo,
pronta a accogliere il significato e le conseguenze delle parole dell’angelo.
E’ nel silenzio e nella preghiera che è possibile ascoltare la Parola e cogliere il senso
della propria chiamata e missione. La carità diviene feconda se è preceduta dal
silenzio e dalla preghiera.
Dopo
l’annuncio dell’angelo, Maria si fa portatrice del mistero dell’incarnazione e
arca della nuova alleanza. La visitazione è la tappa della carità che segue la
contemplazione e si esprime nel servizio,
però alla parente Elisabetta, in stato di bisogno, Maria non offre solo un
aiuto, ma porta Gesù, il dono più grande che ha ricevuto: ascoltare, capire, discernere per servire con una carità che si fa
missione. Anche le
“nostre comunità devono diventare
autentiche scuole di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprima solo
in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione,
contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino a un vero invaghimento del
cuore. Una preghiera intensa, dunque, che tuttavia non distoglie dall’impegno
nella storia: aprendo il cuore all’amore di Dio, lo apre all’amore dei
fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio (NMI 33).
La
spiritualità di Nazaret, che guiderà la vita della sacra famiglia prima del
ministero pubblico di Gesù, è già iniziata in Maria: una vita nascosta, passata
nell’oscurità e nella povertà, nella preghiera e nel lavoro. Con la visitazione
si esprime anche la dimensione missionaria: portare Gesù a chi ancora non lo
conosce e annunciare il vangelo con la vita.
La famiglia di
Nazaret non era certamente composta da personaggi affetti da sindrome di
protagonismo. Se l’incarnazione è il mistero della piccolezza e dell’amore di
Dio, la gratuità è il segno della tenerezza di Dio, perché esprime un amore che
non aspetta niente in cambio.
La famiglia è il luogo dove sperimentare
la natura di un Dio che è amore e l’ambito nel quale educare alla carità nel
quotidiano. Nel rapporto fra uomo e donna e fra genitori e figli è possibile
scoprire l’amore di Dio e contemplare il suo volto. Nelle relazioni calde e
personali che si vivono in famiglia la persona cresce e matura nell’amore
gratuito, espressione della carità di Dio che fa dono della sua vita all’uomo.
Anche la
comunità cristiana deve imparare dalla famiglia a tessere rapporti di carità e
di comunione per aiutare i suoi membri a scoprire la natura profonda della
Chiesa, e, attraverso la pastorale ordinaria, permettere all’uomo di scoprire
la propria vocazione all’amore e indicare la strada di un’autentica
realizzazione.
Maria, madre
del Signore e icona dell’amore trinitario, è la primizia dell’umanità nuova
rivestita della veste nuziale della carità: “A lei la Chiesa guarda, per imparare
con umiltà e perseveranza la verità della carità” (ETC 19; ECEI 4/2737).
2. La suocera di Pietro: lavoro come servizio
Nella “giornata
di Cafarnao” (Mc 1,21-39) la visita in casa di Pietro sottolinea il momento
della fraternità e della convivialità del gruppo dei discepoli con Gesù. Ciò è
reso possibile dalla disponibilità della suocera di Pietro che si trovava a
letto con la febbre. Gesù, “accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la
febbre la lasciò ed essa si mise a servirli” (Mc 1,3). La donna guarita
ringrazia Gesù mettendosi a servizio di lui e dei discepoli, con un lavoro che
dà risposta alla loro fame, genera gioia e costruisce comunione attorno alla
tavola.
Il lavoro è
occasione per mettersi al servizio degli altri; ha un carattere sociale perché
permette di procurare beni e servizi che sono utili a tutti; è un mezzo di
unione e di solidarietà fra gli uomini perché fa entrare in un rapporto
operativo e concreto con altre persone; pone inoltre le premesse per una
migliore condizione della vita di oggi e prepara il futuro della storia
dell’uomo (GS 33-35: EV 1/1423-1429).
Il lavoro è
strumento per partecipare all’opera del creatore, perché l’uomo è l’unica
creatura capace di collaborare con Dio. Il lavoro offre anche la possibilità di
realizzarsi come essere umano, esprimendo la propria natura e creatività, che
lo distinguono dal resto delle creature.
“Mediante il
lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità,
ma realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, “diventa più uomo”
(LE 9: EV 7/1427). Per il cristiano il lavoro è anche un ambito nel quale
vivere la croce e la risurrezione di Cristo e uno strumento non solo di
progresso terreno, ma anche di sviluppo del regno di Dio /LE 27: EV 7/1512).
Per questo il
lavoro è un valore importante per l’uomo: un diritto fondamentale che va
assicurato e garantito a tutti, ma anche un dovere
di giustizia e di solidarietà.
3. Le donne al sepolcro: dalla tomba si può uscire.
Un altro
esempio le donne lo offrono al momento della crocifissione di Gesù. Mentre i
discepoli fuggono, “molte donne stavano a osservare da lontano; esse avevano
seguito Gesù dalla Galilea per servirlo” (Mt 27,55). Un altro discepolo,
Giuseppe di Arimatea, dopo aver ricevuto in consegna da Pilato il corpo di
Gesù, “lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia;
rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò”. Ma lì,
davanti al sepolcro, restano due donne, Maria di Magdala e l’altra Maria (Mt
27,60-61).
Le donne
vengono presentate come il modello del discepolo perché percorrono tutte le
tappe di un completo cammino di fede: seguono e servono Gesù, osservano con
partecipazione sofferente la morte in croce del Maestro, continuano la
contemplazione amorosa davanti alla pietra del sepolcro, proseguono nella
ricerca anche nella notte del dubbio, ascoltano le parole dell’angelo che annuncia
la risurrezione di Gesù, adorano il Risorto che appare loro e infine partono
per la missione dopo aver ricevuto il comando di portare l’annuncio ai
fratelli.
A ogni
cristiano e alla comunità viene chiesto di essere come gli angeli, cioè
annunciatori credibili della vittoria della vita sulla morte, perché prima ci
si è impegnati a rotolare via la pesante pietra del sepolcro. C’è il rischio di
rimanere chiusi nella tomba di pietra dell’egoismo e nella gabbia della
violenza, di farsi avvinghiare dalla piovra del potere e del successo, di
sprofondare nelle sabbie mobili del piacere e della droga, di perdersi nelle
sabbie delle illusioni e delle depressioni. Occorre dare il proprio aiuto per
rotolare la pietra di tutti i sepolcri che tengono racchiusi i poveri cristi
per offrire spiragli di gioia e ragioni di speranza. Credere nella risurrezione
è avere la certezza che dalla tomba si
può uscire. La risurrezione è avere la certezza che dalla tomba si può
uscire. La fede nel Risorto aiuta a scommettere sulla pace e sull’amore anche
quando c’è violenza e odio. L’amore taglia i lacci della sofferenza e spezza
perfino le catene della morte.
4. L’umanizzazione del lavoro
secondo la dottrina sociale della Chiesa
Il lavoro è oggi un argomento a cui
si riconosce giustamente un’importanza
prioritaria nei programmi di politica economica dei singoli stati.
Nella visione di fede cristiana nel lavoro vi è sempre un ideale da perseguire e una realtà su cui
intervenire. Tra l’ideale e la realtà ci sarà sempre una distanza: la lotta tra
il progetto di Dio e l’egoismo umano. Noi siamo chiamati ad inserirci in questa
lotta ed impegno per accorciare le distanze mediante l’atteggiamento critico.
Il discorso è contemporaneamente teologico
e umanista. Limitarsi a proclamare che il lavoro è al servizio dell’uomo e
che bisogna combattere la disoccupazione serve a poco, e forse solo a mettersi
la coscienza in pace senza troppi rischi. Occorre approfondire il significato che il lavoro ha o deve
avere per il lavoratore stesso e per la convivenza umana. La conoscenza della
realtà economica attuale ci indica il cammino per i nostri interventi e
proposte concrete. Il problema del lavoro, nella sua complessità, è anzitutto
un problema culturale, di mentalità, di stili di vita, di visione dell’uomo,
della società e della vita.
Per cogliere la sua complessità,
possiamo richiamare alcuni problemi del
lavoro oggi particolarmente avvertiti: la disoccupazione, la precarietà, lo sfruttamento,
l’alienazione, l’insicurezza, le ingiustizie, la mancanza di preparazione, di
protezione e di tutela professionali, pressioni di ogni tipo…., per esaminare,
poi, la loro ricaduta sulla sua
famiglia, sulla società, sull’economia, sulla politica, sulla esperienza
religiosa…
Per umanizzarlo, per ridargli un vero senso e significato per l’uomo,
il lavoro dovrebbe diventare, prima di tutto, “attività umana”. Potrebbe sembrare ovvio e scontata questa
definizione, ed, invece, è fortemente disattesa e piena di implicanze.
Una difficoltà nel definirlo nasce dalla variazione storica subita dal lavoro
inteso come inerente a una condizione sociale subordinata. Nella rivoluzione industriale, per esempio, il lavoro è prevalentemente inteso
come “salariato” e dipendente, all’interno di un’attività produttiva gestita
dal capitale. E questa è oggi l’accezione dominante del lavoro, anche se le
nuove tecnologie dell’informatica lasciano oramai intravedere nuove dimensioni
del lavoro odierno. In questa prospettiva diventa “attività produttiva”, “forza
lavoro”, prestazione che viene retribuita: in una parola, “merce” di scambio tra il capitale e il
lavoratore, un mezzo o fattore di produzione, senza che sia ovvio o scontato
che dietro vi è un uomo, soggetto di diritti e titolare di una dignità.
Lavisione biblica del lavoro lo considera
una benedizione o un dono di Dio.
L’invito a “dominare la terra” (Gn 1,28) è da interpretare come una
partecipazione alla stessa opera creatrice di Dio. Il lavoro però non esaurisce tutto il senso
dell’esistenza: vi è anche il riposo
a cui è connessa la vita familiare, la contemplazione della bontà di Dio e dei
valori più autenticamente umani legati alla comunione con gli altri. E’ il
significato ultimo del sabato e degli anni sabatici e giubilari, a cui si
oppone la logica del lavorare troppo per avere molto.
Nel NT. Il lavoro va interpretato nella
logica del Regno e quindi nel
rapporto tra l’uomo e l’uomo: Cristo è venuto per servire e la pace che lui ci
dona e chiede è fatta di solidarietà e servizio reciproco. In quest’ottica il
lavoro deve dare l’onesto sostentamento quotidiano, rifiutando la logica del
lavorare molto per accumulare molto.Il
dovere del lavoro sorge dalla logica del vivere insieme e dalla carità.
L’insegnamento sociale della Chiesa (DSC)
precisa molto bene il senso e il valore del lavoro come attività umana
finalizzata alla produzione di beni e di servizi: si lavora per il necessario
sostentamento, per servire la società e per prolungare l’opera di Dio-Creatore,
dando un contributo personale al progetto di Dio sulla storia. Mediante il
lavoro, dunque, l’uomo risponde con libertà e fede alla chiamata di Dio per
ciascun essere umano e allo stesso tempo si autoperfeziona e sviluppa le sue
capacità per rispondere meglio alla sua vocazione:
“Gli uomini e le donne, infatti, che
per procurare il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano il proprio
lavoro così da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon
diritto ritenere che col loro lavoro essi prolungano l’opera del Creatore, si
rendono utili ai propri fratelli, e donano un contributo personale alla
realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia…
L’attività umana, come deriva
dall’uomo, così è ordinata all’uomo. L’uomo, infatti, quando lavora, non
soltanto modifica le cose e la società, ma anche perfeziona se stesso. Apprende
molto cosi, sviluppa le sue facoltà, è portato a uscire da sé e a superarsi.
Tale sviluppo, se è ben compresso, vale più delle ricchezze esteriori che si
possono accumulare. L’uomo vale più per quello che “è” che per quello che “ha”.
(GS,34 -35).
L’alienazione
odierna del lavoro dipendente è molto maggiore che al tempo di Marx:
l’operaio oggi non sa per chi lavora, né a che cosa lavora perché il controllo
finanziario delle imprese è in mani ben lontane da quelle dell’imprenditore.
Non sa cosa sta producendo e non è poi interessato a saperlo.
Se il fine ultimo e principale del
lavoro è il guadagno, in vista del tempo libero che permette, emerge meglio un
altro aspetto del lavoro: la sua
banalizzazione; un lavoro vale l’altro, basta che si guadagni bene!
E, infine, si deve sottolineare un
terzo aspetto morale del lavoro: il problema dell’occupazione. L’immoralità della disoccupazione
radica non solo nella miseria che genera, ma soprattutto nella preclusione di
autoperfezionamento, di servizio sociale, di collaborazione col Creatore: viene
negato un diritto fondamentale e lesa la dignità umana. Con la rivoluzione
dell’elettronica e dell’informatica e a partire dagli anni ’70 si investe per ridurre i posti di lavoro attraverso
l’automatizzazione del lavoro. Non il profitto dell’imprenditore, ma la massimizzazione del profitto del
capitale è la regola suprema del sistema economico mondiale. Licenziare il
maggior numero possibile di lavoratori dipendenti è ormai un credo a cui nessun
imprenditore si può sottrarre.
E tuttavia la tragedia ha dimensioni
ancora più profonde. La logica della massimizzazione del profitto, imposta
dalla cultura regnante del vantaggio economico, è ormai diventata anche la logica del lavoratore, dal grande
dirigente al manovale. L’unico interesse è massimizzare il vantaggio economico:
l’idea del lavoro come fattore essenziale di umanizzazione, di
autorealizzazione – cioè del lavoro come attività umana, sta sparendo. La
logica dei padroni è diventata la logica stessa dei lavoratori dipendenti: è un
aspetto rilevante di quello che si dice “il consumismo”.
Che fare di fronte a questo
desolante panorama? Possiamo indicare due
direzioni di trasformazione e di umanizzazione del lavoro, richiamate anche
dalla DSC:
a) il lavoratore è sempre un essere umano e quindi soggetto di
scelte sulla propria esistenza. Un suo diritto fondamentale perciò è quello di
partecipare attivamente nella gestione dell’impresa e nelle sue scelte più
decisive: che cosa produrre, come produrre, quanto produrre, per chi produrre.
b) l’internalizzazione
del lavoro e dei suoi problemi. I diversi problemi legati al lavoro sono
correggibili soltanto con autorità politiche, enti finanziari e sindacali a
livello internazionale, proprio per la planetarietà dei problemi economici.
Senza proporre un modello economico
concreto, la DSC presenta
questi principi per la valutazione dei sistemi economici vigenti e per
l’umanizzazione, quindi, del lavoro:
a.
l’uomo è il soggetto e fine del processo economico;
b.
la dignità del lavoro radice nella sua dimensione soggettiva: è l’uomo che
lavora;
c.
il lavoro ha priorità sul capitale: l’uomo che lavora è superiore ai frutti del
lavoro;
d.
esiste un vincolo tra lavoro e capitale: si necessitano reciprocamente;
e.
qualsiasi sistema di proprietà deve servire al destino universale dei beni.
Per la preghiera
personale
Per la santificazione del
lavoro
O Padre che chiami gli uomini a cooperare, mediante il lavoro
quotidiano, al disegno immenso della tua creazione, fa che nello sforzo comune
di costruire un mondo più giusto e fraterno ogni uomo trovi un posto
conveniente alla sua dignità per attuare la propria vocazione e contribuire al
progresso di tutti.
O Dio, che hai sottomesso al lavoro dell’uomo le immense risorse del
cosmo, donaci di svolgere la nostra attività con spirito cristiano nella
consapevolezza che ogni uomo è nostro fratello
Per
la vita:
La donna
guarita ringrazia Gesù mettendosi a servizio di lui e dei discepoli, con un lavoro che dà risposta alla loro
fame, genera gioia e costruisce comunione attorno alla tavola…
·Quale senso e significato do al lavoro nella mia
vita? Diviene un luogo di santificazione?