3.
Giovani poveri o discoli
Per individuare il modo con cui è stato percepito
il carisma apostolico della congregazione giuseppina nei primi tempi, occorre
leggere il Regolamento del 1873. E’ la regola sulla quale san Leonardo e
i primi sacerdoti e chierici hanno professato nel giorno della fondazione della
congregazione, il 19 marzo 1873. In
essa si trova l’ideale di congregazione che san Leonardo e i suoi primi
collaboratori sognavano e desideravano. Il primo articolo afferma che la Congregazione
di San Giuseppe si propone la santificazione dei confratelli «mediante le opere
di educazione dei giovani poveri o discoli», cioè problematici, difficili,
«cattivi». L’articolo 10 elenca gli ambiti in cui l’opera dei Giuseppini si
poteva esplicare: collegi di artigianelli (cioè di giovani avviati al lavoro),
orfanotrofi, riformatori, penitenziari, colonie agricole, scuole operaie,
oratori festivi, patronati e «qualunque opera giovi al soccorso della povera
gioventù o ad emendazione dei giovani bisognosi di correzione».
3.1 Dai primi testi legislativi (approfondimento)
Il Regolamento della Congregazione di San
Giuseppe del 1873 si apre con l’affermazione che «la Congregazione
di San Giuseppe ha per iscopo la santificazione dei suoi membri, mediante le
opere di educazione dei giovani poveri o discoli» (art. 1). Ogni giuseppino si
farà per ciascun giovane «amico, fratello e padre» (art. 4).
Delineando le opere della congregazione, il Regolamento
del 1873 ribadisce che non si tratta semplicemente di accoglienza e di
istruzione dei «giovani poveri, orfani o abbandonati od anche solo discoli», ma
della loro «cristiana educazione» (art. 176).
«La congregazione pertanto vivrà in mezzo alla
gioventù più bisognosa di soccorso materiale e morale, e ad essa, dopo Dio,
darà tutti i suoi pensieri e spenderà tutte le più amorevoli sollecitudini»
(art. 177).
«Fra i loro giovani [i giuseppini] saranno come
amici e padri; li ameranno in Dio con tutto il loro cuore ed avranno per essi
un profondo rispetto, massime pei più piccoli, più poveri, più infermi e più
bisognosi di aiuto» (art. 183). I confratelli sono poi invitati a preferire «i
giovani che la natura ha meno favoriti e pei quali si sente minore
inclinazione» (art. 186).
Nel 1875 si fece una stesura abbreviata del
precedente Regolamento, il cosiddetto Ristretto, il quale,
approvato dall’arcivescovo di Torino, entrò in vigore al posto del Regolamento
del 1873. Riprendeva l’invito, già contenuto nel testo precedente, a
«riconoscere nei giovani le membra stesse di Gesù Cristo», aggiungendo però il
riferimento a san Giuseppe come modello di educatore: «felici di continuare fra
i nostri poverelli l’invidiabile missione di San Giuseppe verso il divin
fanciullo Gesù» (art. 8).
Commentando il Ristretto, don Reffo
affermava che la congregazione aveva «una meta da raggiungere e una strada per
arrivarvi». La meta era quella di ogni vita religiosa e, diremmo meglio oggi,
di ogni vita cristiana, quella della santificazione; la strada era l’impegno
nell’educazione «dei giovani poveri o bisognosi di emendazione» ([Eugenio Reffo], Spiegazione ... del ...
Ristretto..., p. 42). Questa strada dava alla nostra congregazione il suo
carattere distintivo: «Il Signore [...] vuole [...] che [...] ci facciamo santi
coll’educazione della povera gioventù» (ivi, p. 47). Don Reffo aggiunge che non
si è nemmeno trattato di una scelta operata dai primi fondatori: è stata la
mano di Dio a collocarli a contatto dei giovani poveri e questo ha posto le
condizioni per la nascita di quel gruppo di religiosi (p. 48).
Infine don Reffo
scrive che, insieme alla gioventù povera, «noi ammettiamo a far parte delle
nostre sollecitudini, anche quella bisognosa di emendazione. Se l’opera è più
ispida e scabra e priva di consolazioni, è però più cara a Dio. Abbondano tra
noi le istituzioni, anche di religiosi, che si prendono a cuore la gioventù
studiosa [...], non mancano pie opere per le malattie fisiche dei fanciulli, ma
ben pochi si danno briga delle malattie morali di quella gioventù in cui la
patria e la religione hanno più a temere» (p. 49).