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5. Don Reffo, il legislatore


Stendere regole e statuti era un’abilità specifica di don Eugenio Reffo. San Leonardo gli affidava l’incarico di redigere i regolamenti necessari al Collegio Artigianelli e i testi legislativi della congregazione. Le pagine che don Reffo ha scritto con questo fine (le cosiddette «minute») testimoniano il dialogo e l’interazione tra lui e il Murialdo, con interventi anche di altri confratelli, al fine di precisare nel miglior modo possibile idee, valori, stili di vita e metodi educativi che si volevano «fissare» nelle regole. Don Reffo stese dei commenti alla regola della congregazione (lo si è già visto) e lasciò pure alcuni manoscritti che contenevano le sue riflessioni sulla vita religiosa dei giuseppini, sul loro apostolato e il loro stile educativo. Anche sotto la sua penna torna la dichiarazione che la congregazione estende la sua opera «a tutti i fanciulli e adolescenti; ai poveri e ai facoltosi, ma con preferenza ai poveri; ai giovani corrigendi bisognosi di emendazione»  (Eugenio Reffo, Il fine della Pia Società Torinese di San Giuseppe, Tipolitografia PP. Giuseppini, Pinerolo [1961], p. 123).

 

5.1 «I facoltosi non sono esclusi, ma i poveri sono preferiti» (approfondimento)

Commentando le Costituzioni del 1923, che parlavano dell’educazione dei fanciulli e degli adolescenti, don Reffo scriveva: «si abbraccia così tutta l’età giovanile che si estende dalla prima puerizia fin dove si protrae l’adolescenza. [...] Ma quali condizioni sociali di giovani comprende il nostro istituto? Lo dice l’articolo 109 delle stesse Costituzioni, in cui è dichiarato che l’opera della nostra Pia Società è la institutio puerorum vel adolescentium, praesertim pauperum [l’educazione dei fanciulli e degli adolescenti, specialmente se poveri].

In queste parole è manifestato l’intento del nostro Venerato Fondatore il Murialdo che, tra i figli di famiglie facoltose e quelli di famiglie povere, si dia sempre la preferenza a questi ultimi. In tal modo i facoltosi non sono esclusi, ma i poveri sono preferiti, come la porzione migliore del campo affidatoci da Dio. Questo è conforme all’origine stessa della Congregazione, la quale è sorta nel seno di una istituzione (Artigianelli di Torino) che ha per suo programma l’educazione dei giovani poveri, orfani o abbandonati.

E’ vero che la Pia Società, fin dalla fondazione, è uscita alquanto dalla esclusività di questo programma, ma essa lo ha fatto per i bisogni dei tempi, nei quali tanti giovani di civile condizione non hanno meno bisogno di cristiana educazione, di quello che l’abbiano i derelitti e i diseredati.

Così, presentandosi l’occasione, la Congregazione, senza alterare menomamente i suoi statuti, apre pensioni o collegi anche per le famiglie facoltose, preferendo ancora quelle di mezzana condizione. Tali giovani sono più affini ai poveri e più proporzionati agli studi ed alla forma propria della Congregazione nostra. Ciò però si deve fare in modo che, per favorire i giovani di civile condizione, non solo non si trascurino i poveri, ma, anzi, questi abbiano per sé la parte migliore delle nostre occupazioni.

E’ poi desiderabile, sebbene nelle Costituzioni non sia prescritto, che, accanto ad un collegio più signorile, s’istituisca e si faccia fiorire qualche opera per la gioventù povera, in modo che i nostri Confratelli, chiamati dall’obbedienza ad una classe più elevata di giovani, non abbiano a dimenticare ciò che è più proprio della nostra vocazione» (Eugenio Reffo, Il fine della Pia Società Torinese di San Giuseppe, Tipolitografia PP. Giuseppini, Pinerolo [1961], pp. 121-123). 


P. Giovenale Dotta

 
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