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6. Don Reffo, l’educatore

Don Eugenio Reffo non era solo un abile estensore di regolamenti, né solo un ottimo autore di rappresentazioni teatrali, o un arguto giornalista. Era anche un bravo educatore e maestro di educatori. Trascorse tutta la sua vita nel Collegio Artigianelli, a contatto con i ragazzi poveri, intento ad insegnare ai giovani l’arte di essere a loro volta educatori. Lo testimoniano le lettere con cui seguiva e incoraggiava i giovani giuseppini, a volte rattristati da alcuni insuccessi, soprattutto tra i ragazzi più difficili. Ecco allora don Reffo che li invita a guardare con ottimismo ai giovani, a vedere in loro quel che ci può essere di buono, a far leva sui lati positivi e comunque a trattarli sempre con dolcezza e misericordia.

 

6.1 «Non chiamarli mai canaglie questi poveri fan­ciulli» (approfondimento)

Il P. Marco Apolloni, giovane sacerdote giu­seppino di 26 anni, aveva chiesto a Don Reffo di essere trasferito dall’orfanotrofio di Rovereto ad altra istituzione per le difficoltà di lavoro che trovava tra ragazzi «cattivi, intrattabili». Don Reffo gli risponde il 15 luglio 1905: «Senti, Marco, tu fai così: fa’ del tuo meglio per assistere bene giorno e notte; riferisci al Direttore quello che vedi e quello che sai, e poi lascia a lui la responsabilità di tutto. Basti a te di aver fatto il tuo dovere e il Signore non ti domanderà conto di altro. Ricordati anzi, che quando Giacomo e Giovanni volevano invocare il fulmine sopra Samaria, il buon Gesù disse loro: «figli del tuono».

Ma tu mi domandi come devi fare, come rego­larti con codeste canaglie.

Ed io ti rispondo:

1. Non chiamarli mai canaglie questi poveri fan­ciulli, fai loro un torto anche solo al pensarlo. Procura invece di persuaderti che sono più buoni di quello che credi, e che non li conosci ancora perfettamente.

2. Prendi le cose con calma, sia per i rimproveri, sia per i castighi. Persuaditi che si guadagna più a perdonare che a castigare.

3. Cerca di indurre anche gli altri assistenti col tuo esempio e colle tue parole a trattare con mitezza e non più con durezza codesti poveri ragazzi.

4. Caso per caso consultati con il Direttore, e sta a quello che dice, ancorché a te non paia né giusto, né prudente; fa’ l’ubbidienza e non te ne avrai a pentire.

5. Ultima regola: la migliore, anzi l’unica, quella data da San Paolo, brevissima, ma efficace, in­fallibile: «vinci il male con il bene».

Sono cattivi? e voi siate buoni. Sono più catti­vi ancora? e voi siate più buoni ancora. Sono pessimi addirittura? E voi siate ottimi, di una bontà eccezionale, inalterabile. Questa è la regola delle regole. Sai perché molte volte non si ottiene niente? Si vuol vin­cere la malizia dei ragazzi con una maggiore malizia, si vuole riuscire a punta di furberie e di malignità.  Questo è proprio il rovescio di quello che insegnava S. Paolo.

Bisognerebbe fare un trattato per dire tutto; ma io mi limito solo a questo. Non amareggiate il povero Direttore, non vo­gliate saperne più di lui, aiutatelo e non impedite­lo; consolatelo come buoni ausiliari e cooperatori nell’opera dell’educazione di codesti orfani.

Umiltà, grande umiltà; riconoscete di essere ancora giovani; e di saperne ancora poco di questa difficile arte dell’educare. Io dopo 44 anni, con­fesso di non essere che all’abbicì.

Su via, mettiti una bella volta a fare l’uomo, ad aiutare il tuo Direttore, a confortare i tuoi confra­telli, a persuadervi tutti che non siete poi in una spelonca di ladri e che i     giovani sono sempre qua­li li facciamo noi» (Eugenio Reffo, Lettere scelte, a cura di Giuseppe Bellotto, Libreria Editrice Murialdo, Roma 1996, pp. 198-199).


Giovenale Dotta



 
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