Un testo che ha guidato per vari decenni la vita
spirituale, comunitaria e apostolica dei giuseppini è stato il Direttorio del 1936. Tratta delle virtù
caratteristiche dei giuseppini (l’umiltà e la carità), della vita di preghiera,
dei voti religiosi, di molte modalità concrete di vita. Contiene anche un
importante capitolo intitolato «Regole per l’educazione cristiana». L’invito
all’umiltà e alla confidenza in Dio, l’esortazione a vedere nei ragazzi il
volto di Gesù, ad amarli come li amerebbero i loro stessi genitori, a vivere
per loro, a curarsi con passione della loro educazione cristiana... hanno
accompagnato l’impegno di tanti buoni educatori e hanno formato quel bagaglio
di tradizione educativa giuseppina e murialdina che ancora oggi costituisce la
ricchezza del nostro carisma.
7.1 «Mai si perda di mira la parte principale della
nostra missione» (approfondimento)
Il Direttorio del 1936 affonda le sue
radici nei primi anni del Novecento, quando si sentì l’esigenza di affiancare
il testo delle Costituzioni (il
codice fondamentale della vita della congregazione) con alcune «regole», cioè prescrizioni
di ordine spirituale, apostolico, disciplinare. Fu don Reffo a stilare queste
«regole», riviste poi da altri confratelli e pubblicate infine in due parti,
rispettivamente nel 1906 e nel 1907. Furono ristampate nel 1917 e assunsero il
titolo di Direttorio con l’edizione
del 1936. In
questo testo «si trova la ricchezza spirituale che si era persa nel cammino di
stesura delle Costituzioni [del 1904], non solo, ma anche quella tradizione che
si era formata nella congregazione, soprattutto attraverso l’insegnamento del
Murialdo» (Giuseppe Fossati, Una storia per la vita..., I, p. 64). Naturalmente il tema dei giovani poveri si
ritrova anche in questo Direttorio.
«Le Costituzioni dichiarano che i fanciulli,
oggetto della nostra missione, devono essere specialmente i poveri; con queste
parole, non escludendosi del tutto i giovanetti di civil condizione, si fa
intendere che la Pia Società,
di regola generale, si occupa di preferenza dei poveri. Ciò è conforme allo
spirito della nostra Società, che dev’essere di umiltà e di carità, e più
consentaneo all’origine della stessa Pia Società, che nacque in seno
all’Associazione di Carità pei giovani orfani od abbandonati di Torino. E’
d’uopo pertanto, che dove le circostanze esigono che si abbiano opere per la
gioventù di civil condizione, non si trascurino i giovanetti poveri, ma questi
si radunino in patronati o scuole gratuite, perché mai si perda di mira la
parte principale della nostra missione.
Le Costituzioni aggiungono che la
Pia Società deve, non meno che ai poveri,
rivolgere le sue cure ai giovani bisognosi di emendazione, ministero arduo
assai, ma molto meritorio e tanto caldeggiato e raccomandato dal venerando D.
Giovanni Cocchi, che fu fondatore degli Artigianelli, e già esercitato da alcuni
fra i primi membri della Congregazione nel riformatorio di Bosco Marengo» (Direttorio della Pia Società di S. Giuseppe di Torino, Scuola
Tipografica Pio X, Roma 1936, nn. 368-369).
Più oltre il Direttorio
invitava i giuseppini a «coltivare nel proprio cuore affetto e riverenza per
tutti indistintamente i nostri alunni, anche pei più poveri e meno forniti
d’ingegno, pei buoni e pei cattivi, pei docili e pei caparbi, imparando a molto
compatire e a molto perdonare, riconoscendo la loro fragilità e debolezza.
Non trascureranno alcuno degli alunni loro affidati, col pretesto che
egli sia di poco ingegno o che non corrisponda, né si faranno preferenze ai
giovani di più civile condizione a scapito dei poveri.
Eviteranno qualunque parola di disprezzo o titolo oltraggioso, anche
quando devono riprendere qualche mancanza, e si guarderanno assolutamente dal
rimproverare o schernire i fanciulli pei loro difetti naturali, come dal
dimostrare poca stima del loro paese nativo, della condizione della loro
famiglia, dei loro parenti, ecc.» (nn. 381-383).