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9. Gli anni Settanta

Nel 1970 fu celebrato a Roma il XV Capitolo Generale. Vi ebbe grande spazio l’esame dei documenti del Capitolo speciale, divenuti, come si è visto, la nuova legislazione della congregazione, seppure ad experimentum. Questo Capitolo dedicò grande attenzione al problema delle vocazioni, dal momento che la crisi cominciava a farsi sentire. Si raccomandava ai promotori vocazionali di presentare la specificità del sacerdozio giuseppino, che non è solo un sacerdozio ministeriale, ma anche carismatico, dal momento che assume «i carismi evangelici della vita comunitaria, della castità, povertà e obbedienza e della carità apostolica verso i poveri nella categoria dei giovani» (Raccomandazione n. 1).

Si confermava l’impegno missionario nel vicariato del Napo, ma si considerava auspicabile qualche altro apostolato missionario, anche in territori non affidati alla congregazione (n. 3): erano i primi passi verso le future aperture in Africa, nuovo campo di lavoro in mezzo ai poveri.

Il problema dell’apostolato tra i poveri, e di una vita effettivamente povera, sarebbe poi emerso meglio nel Capitolo del 1976.

 

9.1 Rispondere alle nuove forme di povertà (approfondimento)

Il XVI Capitolo Generale (Roma, 1976) incoraggiava a continuare nello sforzo già in atto per una maggiore conoscenza del carisma del Murialdo (Raccomandazione n. 1), richiamava l’attenzione sul problema del rapporto tra carisma della congregazione e carismi personali, in relazione alla ricerca di vie apostoliche nuove (n. 2), invitava i confratelli «a solidarizzare, con la testimonianza dello loro vita, con i più poveri e i più bisognosi» e, ancor prima di mettere a tema l’argomento dell’apostolato tra i giovani poveri, chiedeva «un ritorno coraggioso alla povertà evangelicamente vissuta, con la scelta di uno stile di vita personale e comunitario che si accontenta dell’essenziale» (n. 4).

Riaffermava poi «la finalità specifica della nostra congregazione per i giovani poveri, abbandonati e per il mondo del lavoro», chiedendo «una permanente revisione delle nostre opere, perché rispondano alle attese dell’ambiente e alle nuove forme che assume oggi la povertà dei giovani»; si suggeriva inoltre che ogni comunità avesse, tra le altre, qualche attività significativa a favore dei giovani poveri (n. 7).

Per la prima volta un Capitolo generale sottolineava che i collaboratori laici sono «con noi [...] membri attivi di apostolato» e chiedeva loro di avere una «conoscenza adeguata delle linee che identificano l’educazione giuseppina (carisma)» (n. 8).

All’interno delle «Linee di programmazione», e precisamente nel paragrafo dedicato all’apostolato giuseppino, si riaffermava «nelle scelte concrete il fine primario della nostra congregazione: dedicarsi ai giovani poveri e abbandonati e al mondo del lavoro» e si ribadiva la richiesta che in ogni opera ci fosse una qualche attività significativa che rispondesse «alle nuove forme di povertà in cui versano i giovani d’oggi (abbandonati, drogati, orfani, figli di genitori in difficoltà...)». Ritornava poi la richiesta di «qualificare spiritualmente ed apostolicamente i laici nostri collaboratori».


P. Giovenale Dotta

 

 
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