Fino agli anni Sessanta, la congregazione aveva
toccato il suolo di sette nazioni, oltre all’Italia. Le presenze all’estero,
non molto diversificate, erano però caratterizzate dal tentativo di impiantare
varie comunità nelle nazioni in cui si lavorava ed erano contemporaneamente
accompagnate dalla consapevolezza di dover sostenere in forma precipua la
missione del Napo.
Si può dire che dalla fine degli anni Settanta sia
cambiata la strategia della congregazione: si cominciò a puntare verso una
maggiore diversificazione delle presenze, per rispondere al desiderio di
missionarietà espresso da molti confratelli e da numerosi laici che gravitavano
attorno ai Giuseppini, e anche per cercare nuovi «sbocchi» vocazionali in altre
nazioni. Le «aperture» degli anni Ottanta e Novanta sono il segno di un nuovo
dinamismo che non scaturiva soltanto dal governo centrale della congregazione,
ma anche e prima ancora dalle realtà periferiche, cioè dalle province.
Ecco allora i Giuseppini del Veneto partire verso la Sierra Leone (1979), come si è
già detto, e quelli della provincia piemontese verso la Guinea Bissau (1984). Nel
frattempo la provincia ecuadoriana aveva cercato una propria espansione a
Bogotà, in Colombia (1983).
Il XVIII Capitolo Generale (Viterbo, 1988), pur
percorso da vari temi, registrava e sosteneva anche questo nuovo slancio
missionario.
12.1 Le
«realtà a rischio» (approfondimento)
Nel Capitolo del 1988 emergeva vistosamente il tema
della «comunione con i laici, partecipi dell’unica missione». Era un
cambiamento di prospettiva: da collaboratori, i laici diventavano partecipi
della missione apostolica dei giuseppini (Deliberazioni,
2).
E’ chiaro che il concetto di «collaboratore» rimaneva
ancora, ma, sotto la parola, si stava facendo strada la nuova visione. Si
affermava che la vocazione giuseppina, cioè il carisma, offriva ai laici «una
tensione profetica, sia personale che comunitaria, verso i tempi ultimi [e] un
carisma spirituale e apostolico, [insieme] ad una tradizione educativa
consolidata» (2.2). La presenza dei laici era considerata un «elemento
stimolante» per le comunità e «costitutivo» per le opere (2.3), mentre si
chiedeva che si diffondesse «lo stile della partecipazione nell’elaborazione,
nella gestione, nella verifica dei progetti apostolici» (2.3).
Il Capitolo si preoccupava di assicurare ai laici
«itinerari formativi attorno ai temi del carisma giuseppino, della spiritualità
dei laici e a quelli più tipicamente laicali, come impegno sociale e politico,
vita familiare, mondo del lavoro e dell’educazione, ecc.». Si parlava anche di
eventuali forme di consacrazione laicale e di assunzione di responsabilità
«nella conduzione di attività, specie educative e di assistenza», nel quadro di
una «nuova e diffusa vocazionalità» (2.4). La conseguenza era la richiesta che
anche i confratelli si formassero al rapporto e alla collaborazione con i laici
(2.5).
I giuseppini, descritti come «apostoli fra i giovani
specialmente poveri» (3), erano invitati, comunitariamente, «ad entrare nei
luoghi di aggregazione giovanile, preoccupandosi sempre di più delle realtà a
rischio» e a sensibilizzare i giovani «a forme di volontariato, di
cooperazione, di servizio civile e di obiezione di coscienza agli orientamenti
antievangelici delle leggi e della società» (3.2.1).
L’impegno, per il sessennio, era quello di rinnovare
«la scelta prioritaria dei giovani poveri e abbandonati», con una
sottolineatura nuova, quella dell’interazione con le altre forze pastorali,
educative e sociali operanti sul territorio, andando oltre il puro
assistenzialismo e mettendosi «in ascolto delle forme sempre nuove di povertà
[...:] ragazzi di strada, di periferia, di borgata popolare, [...] o di
fenomeni quali l’immigrazione, l’inadeguatezza delle strutture scolastiche, la
crisi della famiglia, la cultura della droga e delle bande giovanili, ecc.»
(3.4).
Si riaffermava, infine, l’importanza di una nostra
presenza «attenta, coraggiosa e culturalmente approfondita nel mondo del lavoro»
(3.5) e si invitava ad una maggiore sensibilità nei confronti dei problemi del
Terzo e del Quarto Mondo (3.7).